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7 Aprile 2025
11:16

Perché non cloniamo gli animali che rischiano l’estinzione?

Secondo un nuovo studio, la clonazione animale è già uno strumento valido per la conservazione, ma è frenata dai pregiudizi. Potrebbe invece aiutare a salvare le specie a rischio, se usata con attenzione e consapevolezza insieme agli strumenti e alle misure di conservazione più tradizionali.

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Un furetto dai piedi neri (Mustela nigripes), la prima specie selvatica a rischio clonata con successo e che si è anche riprodotta

La pecora Dolly è stata la prima e a distanza di quasi 30 anni da quella storica nascita la clonazione animale è diventata una vera realtà scientifica. Eppure, quando si parla di salvare dall'estinzione le specie più a rischio, la clonazione resta una scelta ancora poco battuta, quasi un tabù. Ma perché? Una risposta interessante arriva da uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Animals e firmato da Revive & Restore, un'organizzazione no profit americana che si occupa di conservazione attraverso soluzioni biotecnologiche.

Si tratta della più ampia analisi mai condotta sulla clonazione animale e il messaggio che ne esce, secondo gli autori, è piuttosto chiaro: la clonazione è già uno strumento valido per la conservazione delle specie a rischio, ma continua a essere frenata da una serie di pregiudizi. Per i ricercatori il primo, e forse quello più radicato, riguarda la salute e la fertilità degli individui clonati. Nell'immaginario comune, gli animali clonati sono fragili, destinati a vivere poco e a non potersi poi riprodurre da soli.

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Dal 1957 a oggi, sono state clonate con successo 56 specie e sottospecie diverse, tra cui 33 mammiferi, 14 anfibi, 8 pesci e 1 insetto. Immagine di Ben Novak via Revive & Restore

In realtà, i dati dicono il contrario: il 90% delle specie e sottospecie finora clonate (56 in tutto) ha raggiunto o superato l'aspettativa di vita naturale e tra quelle per cui sono disponibili informazioni sulla fertilità, il 95% degli individui è risultato fertile e in grado di riprodursi. Alcuni esempi? I furetti dai piedi neri (il primo animale selvatico a rischio clonato con successo) e i cavalli di Przewalski, entrambi con individui clonati negli ultimi anni che stanno bene e si riproducono.

Il punto, però, non è tanto tecnico, quanto strategico. Secondo gli autori, gli sforzi di clonazione sono stati isolati, casi sporadici senza un vero e proprio piano d'azione a lungo termine condiviso. Questo aspetto avrebbe contribuito a dare l'idea che si tratti di tentativi ancora troppo complicati e poco affidabili da un punto di vista tecnico, rendendo più difficile attrarre investimenti e sostegno da parte delle istituzioni. Un circolo vizioso che continuerebbe a penalizzare una tecnologia con un potenziale importante per la tutela della biodiversità.

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Anche il cavallo di Przewalski, considerato a rischio, è stato clonato con successo ed è stato in grado di riprodursi. Foto da Wikimedia Commons

Ma allora, perché non si investe di più sulla clonazione? La risposta non può essere solo scientifica, naturalmente, ma deve tenere conto necessariamente anche degli aspetti etici. Clonare un animale significa, in qualche modo, replicare la vita, "giocare a fare Dio". E ogni volta che qualcuno ha provato a fare qualcosa di simile, sono sempre emersi dubbi e domande a cui è difficile trovare una risposta: stiamo davvero rispettando la natura o stiamo cercando di piegarla ai nostri scopi? Qual è il confine tra conservazione e manipolazione?

A queste domande non esistono risposte facili o univoche. Per alcuni è giusto però considerare la clonazione come una risorsa estrema, da affiancare – e mai sostituire – agli strumenti e alle misure di conservazione più tradizionali, come la tutela degli habitat, la lotta al bracconaggio e la riproduzione in cattività finalizzata a rinforzare le popolazioni in natura. Clonare una specie senza preservarne l'ambiente e il contesto ecologico in cui vive, non avrebbe alcun senso e sarebbe come salvare una pagina da un libro che sta andando a fuoco.

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Per alcuni, la clonazione delle specie a rischio andrebbe incentivata e affiancata agli strumenti e alle misure di conservazione più tradizionali. In foto elefanti africani di foresta (Loxodonta cyclotis), un specie in pericolo critico di estinzione

Anche per questo, ma non solo, la possibilità di clonare persino animali ormai estinti e senza più una "casa" in cui vivere, come il mammut o il tilacino, è un'idea che non sembra piacere alla maggior parte degli scienziati e dei ricercatori che si occupano di biodiversità. La clonazione, insomma, non è una bacchetta magica che può risolvere il problema della perdita di biodiversità e dell'estinzione. Ma potrebbe forse essere un'alleato, soprattutto per quelle specie ormai ridotte a pochi individui o per cui la variabilità genetica è ormai compromessa.

Tuttavia, per molti altri la clonazione rimane una strada da evitare, sia per motivi etici, ma anche per il rischio di ridurre l'attenzione e i fondi verso la conservazione tradizionale. Ma soprattutto, per alcuni ci sarebbe il rischio di ridimensionare ulteriormente un problema, quella della perdita globale di biodiversità, già fin troppo sottovalutato: se possiamo clonare gli animali, perché dovremmo preoccuparci se stanno sparendo? La questione resta quindi aperta.

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