Entrare nel merito di una scelta eticamente da condannare è molto complesso. Chi abbandona è bollato da un giudizio feroce e che non lascia adito a ulteriori riflessioni, in linea generale. Dei ricercatori australiani, però, hanno voluto andare a fondo sul problema, ovvero analizzare cosa porta una persona ad arrivare a scegliere di lasciare l'animale che si era inserito nel contesto familiare all'interno di un rifugio.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Animals, ha esaminato le ragioni per cui cani e gatti vengono abbandonati per comprendere se sia dovuto a problemi legati agli animali stessi o a difficoltà che riguardano la vita quotidiana della persona di riferimento, come questioni economiche o di salute.
I motivi dell’abbandono degli animali secondo lo studio
«Gli animali da compagnia continuano a essere abbandonati – scrivono i ricercatori australiani – Storicamente, il comportamento animale è stato visto come la causa principale … Ricerche precedenti indicano che le difficoltà socioeconomiche del tutore, come vincoli finanziari e alloggi inadeguati, contribuiscono all'abbandono degli animali da compagnia».
Lo studio è partito da un'analisi dei dati sull'abbandono di cinque rifugi australiani dal 2018/19 al 2022/23, prendendo a campione ben 46.820 animali da compagnia che sono stati lasciati in canili e gattili del Paese. Ciò che è emerso è che il motivo più comune è stato la difficoltà di trovare una casa per i «gruppi socioeconomici sia bassi che alti». Problemi finanziari, invece, sono quelli che hanno portato i ceti economici più bassi a decidere per l'abbandono, mentre le spese per motivi di salute umana (quindi non quella relativa all'animale) sono state il motivo principale di rinuncia nei gruppi socioeconomici più alti.
Lì dove dunque questi risultati evidenziano che le questioni finanziare decisamente contribuiscono alla scelta di queste persone, c'è un altro dato che emerge dalla ricerca che va però analizzato con un taglio cui i ricercatori non hanno dato peso, sebbene nelle premesse abbiano specificato che spesso all'abbandono corrisponde una motivazione che riguarda il comportamento animale.
Perché l’età media è un fattore importante?
Anche da questo studio, in realtà, si piò dedurre infatti che ciò continua ad accadere, al di là di quello che il panel ha dichiarato. Leggendo bene, infatti, emerge che l'età media dei cani abbandonati che sono stati presi come target di riferimento «è di circa 16 mesi».
E' un dato molto importante perché è l'età che in media si riscontra nei canili che sono strapieni di soggetti che vengono abbandonati in un periodo di vita che corrisponde all'adolescenza del cane. Ciò mette in luce e conferma dunque un dato di fatto: quando i cuccioli crescono e sono stati adottati (o comprati: i canili sono strapieni di cani di razza) senza alcuna conoscenza dell'etologia del cane rischiano di essere poi abbandonati.
Ciò accade perché arrivano ad una fase della vita in cui sono in trasformazione dal punto di vista non solo fisico ma anche cognitivo e la relazione necessariamente deve cambiare: l'umano deve infatti confrontarsi con un individuo che si sta formando e che esprime con i tratti tipici dell'adolescenza il suo periodo esistenziale, come del resto accade anche a noi umani attraverso comportamenti come ribellione, contrasto alle regole, necessità di trovare un posto del mondo, etc..
Sì: il cucciolotto che tanta tenerezza infondeva in grandi e piccoli nel contesto familiare non è più quel tenero "peluche" con cui si è "sfogato" il proprio desiderio di avere un oggetto a quattro zampe per la casa, ma un individuo che deve essere seguito e compreso, soprattutto, perché diventi un adulto responsabile.
Aggiungiamo anche che non è un caso se la maggior parte degli abbandoni continua ad avvenire in estate: i cuccioli vengono comprati/adottati a Natale all'età media di due-tre mesi e arrivano ad agosto ad averne intorno ai 10-11, momento appunto di passaggio che determina un cambiamento fisiologico nel comportamento che – unito alle "difficoltà" di muoversi con un cane – determina in alcuni la scelta di abbandonarlo al suo destino, allontanandolo dal contesto familiare. È un argomento che abbiamo trattato sia d'estate che d'inverno, attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione in cui abbiamo affrontato sia il tema della compravendita forsennata sotto le feste natalizie che specificamente per descrivere cosa accade poi durante il periodo delle ferie.
Il fenomeno dell'abbandono, poi, ha visto un incremento post pandemia covid-19, periodo nel quale molte persone, spinte dall'obbligo di rimanere in casa, hanno pensato che adottare un cane fosse una buona idea per passare il tempo. Per poi non riuscire più a seguirlo una volta ritornati alla "vita normale".
Interessante dunque e assolutamente condivisibile la conclusione dei ricercatori che sottolineano l'importanza di una visione olistica e di quanto incide «il ruolo critico dei fattori socioeconomici nel comprendere perché le persone abbandonano i loro animali da compagnia» al fine di «trovare interventi mirati a supporto del benessere degli animali da compagnia in diversi contesti socioeconomici». Ma nulla cambia se non cambia una cosa fondamentale: accompagnare le persone nel momento dell'unica scelta importante che non è quella legata all'abbandono ma all'adozione. Se non si lavora a monte, nulla si potrà fare a valle.
I dati sull’abbandono
Secondo l'ultimo report "Animali in città" di Legambiente, nel nostro Paese nel 2023 sono stati abbandonati 85.000 cani e sono 358 mila i randagi sul nostro territorio. Soffermando l'attenzione su questi dati, bisogna subito sottolineare – come è indicato del resto anche nel report – che «solo 41% dei Comuni conosce il numero complessivo dei cani iscritti in anagrafe canina».
Ebbene sì: in Italia non esiste un censimento esatto del numero di cani ospiti effettivamente nei canili e nei rifugi, sia quelli pubblici che quelli privati. Infatti se si va sul sito del Ministero della Salute l'ultimo aggiornamento risale al 2 novembre 2023 e riguarda, comunque, le sole strutture pubbliche. Il numero che emerge è pari, tra canili sanitari e canili rifugio, a 89607 cani entrati contro 32.620 andati in adozione e 20.357 restituiti alle persone di riferimento.
Tirando le somme, dunque, secondo quanto pubblicato dal Dicastero, sono 36630 quelli ad oggi ancora all'interno dei canili che non hanno trovato una famiglia che li accolga. Il numero, come evidente, è inferiore a quanto riportato da Legambiente ma la spiegazione è chiara: mancano i rifugi privati e ancora ci sono Regioni che non forniscono i dati al Ministero. Sorprendentemente però questa volta quelle che mancavano sistematicamente nel report, come la Sicilia, ci sono e risulta "non pervenuta" le Marche.
Come sottolinea Legambiente, il 2023 «per l’Italia è stato un anno da bollino rosso in fatto di gestione degli animali d’affezione e segnato dall’aumento della piaga dell’abbandono». Il numero dei individui abbandonati, infatti, rispetto al 2022 sale di un + 8,6%.
Uscendo dai numeri, e ricordandoci appunto che ogni "cifra" rappresenta un individuo, c'è un dato di fatto che è molto importante mettere in evidenza: l'abbandono è un fenomeno che viene percepito come in diminuzione ma la realtà dei fatti è che non si abbandona più legando il cane ad un palo o lasciandolo sulla piazzola di sosta dell'autostrada ma si procede con la "cessione di proprietà".
Si tratta di un istituto legale previsto dalla Legge quadro sul randagismo (281/91) e che era stato concepito dal legislatore come strumento, in realtà, a tutela dell'animale per preservalo nel caso si presentassero situazioni straordinarie, come la morte della persona di riferimento o comprovati problemi economici, perchè appunto le strutture potessero accoglierlo e garantire poi un percorso di adozione.
Le cose non sono andate così e oggi si tratta di una vera e propria forma di "abbandono legalizzato", come anche sottolineato dall'Associazione Nazionale Medici Veterinari (ANMVI) che recentemente è intervenuta sul tema. «Per la giurisprudenza questo non è vero abbandono, perché generalmente si cerca di trovare una sistemazione alternativa per l’animale di cui non si vuole o non si può più prendersi cura, prevalentemente nei canili e nei rifugi ma anche presso altri familiari – ha dichiarato il Presidente ANMVI – Per alcuni cani, specie nei molossoidi, la rinuncia è un problema aggravato dal fatto che per questi esemplari è molto più difficile che l'adozione vada a buon fine».