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22 Ottobre 2024
8:45

Perché gli animali si estinguono?

L'estinzione è un fenomeno naturale, ma oggi giorno, con l'avvento dell'uomo, è divenuto sempre di più il prodotto di un'ingerenza umana sulla natura che ha esiti il più delle volte negativi.

A cura di Aurelio Sanguinetti
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L'estinzione è una componente principale del processo evolutivo. Non sempre, però, è facile comprendere perché determinate specie si estinguono o abbiano subito dei processi che li hanno portati a svanire, senza lasciare traccia.

Chiariamo sin da subito che questo argomento è uno dei più sensibili all'interno del dibattito scientifico moderno, anche se è ormai certo che l'estinzione faccia parte della stessa esistenza degli organismi ed è una delle componenti fondamentali della storia della Terra. In maniera simile infatti a quanto osservato nell'arco vitale degli individui, una specie "nasce", cresce e si evolve maturando in delle forme che necessitano anche alcuni milioni di anni per manifestarsi, a secondo della complessità dell'animale, per poi "morire" tramite l'estinzione.

Questo però non ci deve indurre a credere che l'estinzione sia un fattore esclusivamente negativo. Anzi, è ben altro. Estinzione infatti nella maggioranza dei casi equivale a dire anche nascita di nuove specie e comparsa di maggiori opportunità per un altro organismo, tanto che ormai i biologi evolutivi non caricano questa parola esclusivamente di significati negativi, come invece avveniva precedentemente alla grande sintesi moderna dell'evoluzione, sviluppata e raffinata a cavallo degli anni 40 e 50 del secolo scorso. Estinguersi non equivale più  a morire parlando di specie ma indica anche il processo di rigenerazione che porta gli organismi a cambiare modello di sviluppo, secondo le moderne teorie evolutive.

Per quale motivo però quando gli scienziati affermano che gli elefanti, i panda o gli orsi polari rischiano l'estinzione continuiamo a percepire un tono di tragedia imminente nelle loro parole? E per quale ragione il destino di tutti gli organismi dovrebbe essere per forza quello di mutare o di scomparire se non ci sono ragioni apparenti che spingono a credere che sia impossibile per una specie mantenere un delicato equilibrio con le altre creature e l'ambiente? Insomma, detto in parole semplici, perché l'estinzione sembra essere un fenomeno essenziale all'interno della storia della vita?

Per capire ciò dobbiamo conoscere le conseguenze di ciascun fenomeno estintivo e dobbiamo sapere che possono esserci molte cause che spingono un determinato organismo a scomparire. Una specie infatti può non essere più adatta alle condizioni ambientali e climatiche del suo territorio di riferimento ma può essere anche andata incontro a una serie di mutazioni che hanno permesso di cambiare forma e comportamento. Un cambiamento che concede di risultare più adatti a una nuova condizione ecologica che nel tempo favorisce l'insorgere di così tanti cambiamenti rispetto alle condizione originale che spinge la specie ad essere qualcos'altro, rispetto a prima. Una specie può anche estinguersi per colpa dell'eccessiva predazione o perché mancano le prede di cui si nutre. Ed anche i grandi disastri geologici (eruzioni, meteoriti eccetera) possono influenzare i tassi d'estinzione, portando alla scomparsa di un gran numero di forme di vita.

Conoscere ciò permette ai paleontologi di capire quali sono stati i passaggi della storia evolutiva della vita sulla Terra e consente ai biologi d'intervenire preventivamente in favore di quelle specie che oggi rischiano di svanire. Saper inoltre che determinati animali possono estinguersi induce l'uomo a immaginare quanto sia difficile la vita sul Pianeta a seguito alla scomparsa di molteplici organismi: oggi per esempio sappiamo che non potremmo vivere senza gli alberi o senza le api e comprendiamo che più intacchiamo la biodiversità dei nostri territori, più essi appariranno poveri e saranno meno in grado di rifornirci con i loro servizi ecosistemici.

Le cause naturali dell'estinzione degli animali

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Nei 3,7 miliardi di vita sulla Terra, sono state innumerevoli le estinzioni che hanno cambiato la biodiversità del nostro pianeta. Secondo alcuni evoluzionisti, tra cui Stephen Jay Gould e Ernst Mayr, le specie attualmente viventi (che potrebbero avvicinarsi anche a oltre 30 milioni) non sarebbero neppure l'1% delle specie che sono esistite e che sono andate incontro ad estinzione nel corso della lunga storia della Terra. E la maggior parte di essi non avrebbe neppure lasciato traccia fra i fossili e i sedimenti da cui i paleontologi traggono le loro conclusioni inerenti la fauna e la flora preistorica.

Se un così grande numero di specie è andato incontro all'estinzione, le cause naturali che portano alla scomparsa degli organismi devono essere molte ed in effetti è da oltre due secoli che i paleontologi discutono su questi processi, talvolta andando incontro a pesanti scontri accademici. Senza andare così tanto indietro nel tempo da rifarsi all'antico confronto fra plutonisti e nettunisti e le diatribe fra i sostenitori della teoria del Diluvio universale e Darwin, basta considerare l'acceso dibattito inerente la scomparsa dei dinosauri per comprendere quanto è complesso il dibattito scientifico.

Le cause naturali che portano però alla scomparsa o relativa comparsa di nuove specie sono state identificate da tempo e si sono rivelate quasi sempre quelle.

Innanzitutto, una specie può non essere più adattata alle condizioni climatiche del territorio in cui vive, risultando quindi vulnerabile alla predazione o alla competizione con specie simili o maggiormente competitive. In questo caso la specie può cambiare areale, migrando in regioni della Terra che presentano condizioni ambientali più favorevoli, può mutare a seguito della selezione di individui meglio adattati alle più moderne condizioni ecologiche o può cadere vittima della competizione e svanire, senza lasciare traccia, creando "uno spazio" all'interno della biosfera che può essere colmata da un'altra specie.

Le specie possono però scomparire anche a seguito dell'eccessiva predazione o per il concatenarsi di molteplici fenomeni avversi, come avvenuto per i dinosauri. Le malattie, l'avvelenamento del suolo e dell'atmosfera dovuto ai fenomeni geologici e i grossi impatti con i meteoriti possono infatti spazzare via le forme di vita sulla Terra, repentinamente, superando di gran lunga in velocità l'estinzione basale per competizione che è quella che permette a tutte le specie di rimanere in una certa maniera "aggiornati", dinnanzi alle altre creature che abitano le stesse tipologie di habitat.

Quando uno dei tanti processi sopra descritti colpiscono gli organismi, non sempre però sopraggiunge la parola fine. Spesso infatti, seppur alcune delle estinzioni più famose sono state incredibilmente rapide e molto violente, nella maggior parte dei casi questi processi sono molto lunghi, portando le popolazioni a calare molto lentamente di numero, giungendo fino ad un punto in cui viene minata la loro capacità riproduttiva e s'intacca così la variabilità genetica, preludio della definitiva estinzione. Per questa ragione talvolta le testimonianze fossili danno modo di osservare il costante declino di alcune forme di vita che può trascinarsi anche per diversi milioni di anni.

Le cause antropiche dell'estinzione degli animali

orso polare

Considerando i fattori che abbiamo tentato di riassumere nel paragrafo precedente, dobbiamo anche ricordare che gran parte delle sofferenze provate dalle attuali specie presenti sul pianeta non ha un'origine naturale ma è il prodotto dell'antropizzazione dell'intera superficie della Terra. È lo stesso attuale tasso di estinzione delle specie a dimostrarlo: non si era mai visto sul pianeta un momento storico così complicato se non durante una delle grandi cinque estinzioni di massa, provocate da fenomeni geologici e biologici molto complessi.

Oggi in ogni ecosistema, in ogni condizione ambientale o climatologica sussistono infatti delle specie che soffrono per colpa dell'essere umano o dei suoi comportamenti. Ed è ormai scientificamente dimostrato che gran parte delle recenti estinzioni – come quelle che avverranno nel prossimo futuro – ha un'origine e una causa antropica, per quanto esistono ancora una minoranza di animali che si estinguono naturalmente per via dei normali processi biologici.

Tra le cause che portano alla scomparsa degli orsi polari, come dei panda, degli elefanti, di migliaia di insetti e di tante specie di uccelli abbiamo per esempio la riduzione delle dimensioni delle aree selvatiche a causa del peggioramento dei fenomeni atmosferici, di cui anche l'essere umano comincia a divenire vittima.

Il bracconaggio, l'avvelenamento delle risorse idriche e l'eccessiva competizione fra le specie causata dall'arrivo di specie aliene sono altri fenomeni che stanno arrecando serissimi danni alla biosfera, con l'ingente perdita di biodiversità. Anche però l'eccessiva pesca, la diffusione degli incendi e della pratica del disboscamento, l'eccessivo consumo di suolo e l'arrivo di centinaia di mandrie partecipano nel mettere a ginocchio le specie selvatiche.

A mettere però KO gran parte degli attuali esseri viventi è il repentino riscaldamento delle correnti e del clima che sta provocando la desertificazione in moltissime aree precedentemente fertili e lo scioglimento dei ghiacci che, seppur reca maggior danno all'interno degli ecosistemi glaciali, porterà presto dei danni anche a livello globale con l'innalzamento del livello dell'oceano e la distruzione di migliaia di chilometri di costa in giro per il mondo.

Anche se però la situazione sembra molto fosca, secondo gli scienziati non è questo il momento di disperare visto che è possibile ancora migliorare la situazione e cominciare ad adeguarsi e ad adattarsi, insieme alle altre specie, ai danni provocati dall'espansionismo umano degli ultimi due secoli.

Le conseguenze dell'estinzione degli animali

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Comprese le ragioni che spingono gli animali ad estinguersi, dobbiamo capire anche cosa succede quando diverse specie scompaiono da un dato territorio. A secondo dell'ecosistema e della natura dell'estinzione (se essa in pratica sia di origine antropica o meno) possiamo infatti osservare dei vantaggi o degli svantaggi dal punto di vista ambientale.

Prendiamo per esempio una "estinzione standard" che non prevede un eventuale intervento diretto – neanche a livello di concause – da parte dell'uomo. Può essere vista anche da un punto di vista positivo da parte delle altre creature che precedentemente convivevano con la specie pronta ad estinguersi poiché l'avvenuta scomparsa di un competitor è ovviamente gradita. Per questa ragione quando i dinosauri si estinsero i mammiferi e gli uccelli se ne approfittarono per occupare le loro nicchie ecologiche. Stessa cosa che è accaduta a seguito della scomparsa delle tigri dai denti a sciabola in Nord America: gli erbivori come i bisonti cominciarono a essere più numerosi, per via dell'assenza dei grossi predatori.

La scomparsa però di una specie può però portare a un grande danno ambientale quanto l'impatto di un meteorite. Un esempio molto famoso è quello connesso all'eventuale scomparsa delle api, che ha alimentato la fantasia di moltissimi scienziati e autori di fantascienza. Se dovessero infatti scomparire gli impollinatori naturali di moltissime specie di piante si osserverebbe quello che è già avvenuto sul finire del Cretaceo, quando la scomparsa degli impollinatori dovuta all'acidificazione e all'avvelenamento dell'atmosfera, promossa dal vulcanismo, provocò l'inizio del declino dei dinosauri, che di punto in bianco si trovarono senza cibo e con un'aria irrespirabile, per la mancanza di piante che compivano la fotosintesi.

L'estinzioni invece provocate dall'uomo, come quelle del Quagga, del Dodo o della Tigre della Tasmania sono diverse rispetto a quelle che i paleontologi hanno trovato nel passato. I zoologi di tutto il mondo infatti confermano che quando il comportamento umano provoca dei danni alla struttura stessa degli ecosistemi, la scomparsa si dimostra molto più rapida rispetto a quella naturale.

I casi dei tre animali sopra citati ne sono un esempio: sono stati necessari neppure due secoli di caccia scriteriata per decretare la scomparsa di alcune specie che precedentemente erano perfettamente in salute. Disboscando ad un ritmo davvero spaventoso, inoltre, abbiamo messo nell'arco di 60 anni in estremo pericolo animali come il panda gigante, il gorilla di montagna o gli scimpanzé e tutto per amore del profitto. Spesso neppure ci rendiamo conto di quanto siamo stati rapidi nello sterminare le specie che un tempo avevano convissuto per millenni con i nostri antenati. Caso esemplare è il rinoceronte bianco settentrionale, vittima di una caccia folle.

L'umanità ha provocato vittime non solo nella storia recente: molto probabilmente abbiamo infatti sulle spalle anche la scomparsa di tantissime altre specie come i Mammuth che sono finiti direttamente sul nostro menù sul finire dell'era glaciale e l'inizio del Paleolitico.

La scomparsa di questi animali ha portato a riduzioni spaventose delle catene trofiche, ad uno stravolgimento complessivo degli ecosistemi e alla perdita di diverse funzioni ecologiche. Ciò che però attualmente porta a preoccupare di più gli scienziati è l'eventuale aumento del rischio di estinzione delle specie connesse a quelle che potenzialmente potrebbero scomparire a breve.

Immaginiamo la biosfera come un castello formato da mattoni: ciascuno rappresenta una specie che, seppur sottoposta al logorio del tempo, resiste finché giunge il momento in cui l'architetto del castello (la selezione naturale) non decide di eliminarla, per far posto a un nuovo mattone. Se però un fattore esterno come l'uomo o un'eruzione intensiva porta diversi mattoni a logorarsi anticipatamente, provocandone la scomparsa, la struttura ne soffre e può persino collassare se la crisi non rientra o i mattoni non cambino dall'argilla al cemento (mutazioni che permettono di affrontare il problema).

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Cosa possiamo fare però per aiutare i mattoni del castello nel resistere ai cambiamenti climatici provocati da noi stessi e non scomparire?

Per prima cosa dobbiamo aumentare la resistenza delle specie, tramite adeguate politiche di conservazione. Esse possono essere legate a divieti di caccia, all'istituzione di riserve o a progetti di riproduzione delle specie selvatiche. È possibile inoltre favorire la salvaguardia delle specie in alcuni territori tramite la reintroduzione, come sta avvenendo per i rinoceronti bianchi meridionali.

La clonazione delle specie estinte tramite il concepimento con specie imparentate invece è una pratica potenzialmente possibile dal punto di vista teorico che attualmente viene però considerata controversa, visto che non sappiamo come potrebbero reagire gli attuali ecosistemi alla comparsa di vecchie specie estinte come i Dodo, i Quagga o i Mammut. Inoltre la clonazione è un processo costoso, che potrebbe rubare fondi a progetti di conservazione più semplici da attuare, e poco etico.

Uno strumento molto più importante per aiutare le specie attualmente in crisi è sicuramente la sensibilizzazione che oltre a porre l'accento sulla salvaguardia delle forme di vita permette alle persone anche di assumersi le proprie responsabilità e d'instillare in essi dei cambiamenti profondi al livello del comportamento.

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