Patricia Masithela aveva 29 anni e un figlio piccolo quando la sera di domenica 12 gennaio 2025 è stata uccisa da un gruppo di cani nel giardino di un conoscente alla periferia di Latina. Il proprietario non si trovava in casa quando la donna ha varcato il confine della villetta e i cani l'hanno ferita a morte. Sul posto sono arrivati i soccorsi, allertati dai vicini di casa che avevano sentito le urla, ma per Patricia non c'è stato nulla da fare: è deceduta poche ore dopo all'ospedale Santa Maria Goretti di Latina.
Secondo le prime ricostruzioni, dopo l'episodio i cani sono stati trovati in stato di denutrizione, in un contesto di degrado e di semi abbandono. Ma anche questo non basterebbe per spiegare quello che è accaduto. Quello che è certo è che i cani non impazziscono, come sottolinea l'istruttore cinofilo esperto Luca Spennacchio: «Prima di fare una "diagnosi di pazzia" dobbiamo valutare tutti gli elementi che abbiamo: si tratta di cani che hanno già aggredito e che da quanto si apprende erano tenuti in condizioni non ottimali, e in alto numero. Simili episodi dovrebbero ricordarci che i cani sono animali e non sono pupazzi: se non ce lo mettiamo in testa e impariamo a gestirli in maniera corretta gli incidenti continueranno, non per colpa loro ma nostra».
Perché i cani potrebbero aver aggredito Patricia Masithela a Latina: la motivazione territoriale e lo stress
L'esatta dinamica che può aver spinto i cani ad aggredire Patricia Masithela non è nota. Esistono però dei fattori che possono aumentare il rischio e che dipendono dalla tipologia del cane, dal modo in cui viene gestito e da come ci si relaziona con lui. Fattori spesso ignorati o sottovalutati sia da chi gestisce gli animali che da chi si relaziona con loro.
I cani sono animali domestici, significa che si sono co evoluti con l'essere umano e che la nostra specie ha avuto un ruolo importante nella definizione delle loro caratteristiche. «Sono tendenzialmente protettivi nei confronti del loro spazio vitale – spiega Spennacchio – e questo vale soprattutto per alcune tipologie che a causa della selezione artificiale hanno esasperato questo aspetto della personalità, noto in ambito cinofilo come motivazione territoriale».
La motivazione territoriale è il bisogno innato di preservare la sicurezza dei propri spazi. Contraddistingue soprattutto cani molossoidi, come ad esempio il Corso o il Mastino Napoletano che per secoli hanno svolto il compito di guardiani delle abitazioni e delle proprietà, e hanno ancora ben presente come si fa. Ma questa motivazione, trasversale a moltissimi individui non è pericolosa per l'uomo di per sé: perché produca effetti tragici bisogna ampliare lo sguardo al contesto in cui il cane la esprime.
«La protezione del territorio può essere enfatizzata se il cane si trova in uno stato di degrado e magari di malnutrizione, condizioni che lo rendono più stressato e reattivo. Aggiungiamo poi che di notte il livello di allarme può essere ancora maggiore».
In questi casi anche la conoscenza pregressa con gli animali può non essere sufficiente. «Un ospite che ha incontrato i cani qualche volta in presenza della loro persona di riferimento non viene percepito come un membro della famiglia e quindi non dovrebbe entrare da solo nella proprietà su cui vigilano, soprattutto se sono più di uno». Anche la dinamica del gruppo può contribuire a fare aumentare la tensione: «È molto complesso in presenza di più individui, perché magari si è effettivamente sviluppato un rapporto con uno o due, ma gli altri non hanno nessuna intenzione di consentire il passaggio, e il gruppo sostiene la protezione».
Come per gli altri esseri viventi, anche i cani compiono un gesto irreparabile spinti da un contesto ambientale complesso di cui spesso le persone non sono consapevoli, comprese quelle che vivono con loro. «Per tutti la sopportazione ha un limite e questo non si raggiunge solo nei casi di maltrattamento – sottolinea Spennacchio – certe volte non sappiamo distinguere un contesto degradato per noi da uno degradato per un cane. Un giardino pieno di erbacce per noi è un luogo fatiscente mentre per un cane può essere perfetto, basta che abbia la possibilità di esprimere se stesso e non vi sia confinato».
Perché le aggressioni dei randagi sono più rare di quelle dei cani familiari
Quando la tragedia di Patricia Masithela è arrivata alla stampa i primi indiziati sono stati i cani randagi. La stessa parola "branco" indica un gruppo di cani liberi per definizione, e non un insieme di individui che vivono in ambito familiare, come invece sembra essere accaduto a Latina.
In realtà, la stragrande maggioranza delle aggressioni alle persone viene condotta da cani di famiglia mal custoditi oppure da cani padronali lasciati senza controllo sul territorio. Quelle da parte di cani randagi sono pochissime, e secondo Spennacchio c'è un motivo preciso: «Un cane randagio se ha dei problemi si sposta, un cane che è confinato in uno spazio delimitato non può farlo. Chiaramente non è l'unico motivo, ma sintetizza una situazione più complessa: generalmente i cani randagi hanno la possibilità di prendere le distanze da ciò che li disturba, hanno molte più alternative. Inoltre, il livello di stress di un cane libero potrebbe non essere così alto come quello di un cane poco compreso dalla sua famiglia».
Entra poi in gioco una particolare «dissonanza cognitiva», secondo l'istruttore cinofilo: «Spesso le persone prendono i cani per sentirsi sicuri in casa, addirittura per protezione, salvo poi restare sorpresi quando questi aggrediscono per difendere confini e proprietà. Questo è il punto. Per tale motivo se ci troviamo davanti a una situazione analoga, in cui uno o più cani sono all'interno del loro spazio tutto quello che possiamo fare è non entrare. I cartelli che indicano di fare attenzione al cane non mettono in allerta circa la pericolosità del cane, ma al fatto che varcare un determinato confine non è una buona idea».
Cosa sappiamo davvero sulle aggressioni di cani in Italia: aneddoti privi di valore scientifico
Secondo le statistiche elaborate dall'Istat su dati Aci, nel 2023 sulle strade italiane si sono verificati oltre 166 mila incidenti d'auto che hanno portato a più di 3 mila decessi. Si tratta di una delle più frequenti cause di morte non riconducibili a malattie. Secondo l'associazione per la tutela dei consumatori Codacons, le aggressioni da parte di cani in un anno sarebbero circa 70 mila, a fronte di quasi 9 milioni di cani nelle case degli italiani.
Il fenomeno delle aggressioni, soprattutto di quelle mortali, è quindi circoscritto. Ma non per questo è da ignorare, sia in considerazione del benessere delle persone che dei cani. Episodi come quello avvenuto a Latina aprono una serie di dibattiti destinati però a non approdare mai a nulla di concreto: appena termina il clamore finiscono anche i buoni propositi. Eppure il fenomeno esiste, ma non conoscendolo non possiamo indagarlo e lavorare per prevenirlo.
Come aveva segnalato l'etologo e filosofo Roberto Marchesini «in Italia non esiste una struttura che raccolga i dati relative a morsicature e aggressioni. Non conosciamo la gravità né il contesto in cui sono maturate, ciò le mette al pari di aneddoti privi di valore scientifico. Manca totalmente una struttura di analisi del rischio sulle aggressioni di cani, di cui non sappiamo nulla, e che arrivano agli addetti e alla politica solo come aneddotica».
La verità è che di questi episodi non ne sappiamo ancora abbastanza, semplicemente perché non vengono raccolte abbastanza informazioni dagli organi ufficiali, e ci si basa quindi sui fatti descritti dalla cronaca, senza però avviare una riflessione seria. Fino a quando l'approccio sarà questo casi simili, per quanto rari, continueranno a ripetersi, e a pagare, come sempre saranno solo i cani e mai chi ha il compito di vigilare sulla loro gestione.