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22 Ottobre 2024
10:27

Patentino per “cani pericolosi”, Marchesini: «Serve un percorso formativo a prescindere dalla razza»

Il patentino per chi vive con cani di razze impegnative non è la soluzione unica al problema delle aggressioni, perché la verità è che non sappiamo ancora abbastanza su come avvengono. Lo denuncia l'etologo e filosofo Roberto Marchesini, fondatore dell'approccio più innovativo alla relazione uomo-cane.

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Intervista a Dott. Roberto Marchesini
Filosofo ed etologo
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«Il patentino non è una panacea che risolve i problemi. Servirebbe un vero percorso formativo indirizzato a tutti coloro che scelgono di vivere un cane, a prescindere dalla razza». È l'analisi di Roberto Marchesini, filosofo ed etologo fondatore dell'approccio cognitivo zooantropologico che è focalizzato sulla relazione tra uomo e cane.

Dalla Regione Lombardia è arrivata la proposta di rendere obbligatorio un patentino rivolto a chi vive con cani di razze considerate «impegnative». Il progetto di legge "Norme specifiche per alcune tipologie di cani a tutela del loro benessere e delle pubblica incolumità" si trova al vaglio della Commissione Sanità, ed è stato ispirato alle “Breed-specific legislation”, le leggi che regolamentano alcune tipologie di cani nel tentativo di prevenire rischi di aggressioni e morsicature a danno sia degli esseri umani che di altri animali. Queste normative adottate in diversi paesi, europei e non, negli anni Duemila erano arrivate anche in Italia con il decreto del Ministero della Salute 26 novembre 2009, dal quale poi l’ordinanza Martini aveva eliminato la "black list" delle razze pericolose.

Oggi il primo firmatario della nuova proposta, il leghista Roberto Anelli, vorrebbe reintrodurre una lista di razze ritenute «potenzialmente pericolose» per l'incolumità pubblica. Una scelta che, secondo Marchesini, ha bisogno di una necessaria premessa, senza la quale ogni discorso appare privo di fondamento: «Non esiste una struttura che raccolga i dati relative a morsicature e aggressioni. Non sappiamo la gravità né il contesto in cui sono maturate, ciò le mette al pari di aneddoti privi di un valore scientifico. Manca totalmente una struttura di analisi del rischio sulle aggressioni di cani, di cui non sappiamo nulla, e che arrivano agli addetti e alla politica solo come aneddotica».

Non conoscendo due elementi fondamentali come il contesto in cui è avvenuta l'aggressione e la l'entità del danno, è quasi impossibile andare ad agire in un'ottica di prevenzione. «Servirebbe un percorso di base rivolto a tutte le persone che hanno cani – spiega Marchesini – Dev'essere di tipo teorico-pratico e pensato per colmare le tante lacune nella relazione con gli animali. Molte volte le persone non sanno come diventare buone guide per il proprio cane o come intervenire per far terminare un comportamento problematico. Le persone dovrebbero conoscere le pratiche applicabili alla vita di tutti i giorni».

Per l'etologo, però, la previsione irrinunciabile di un "patentino per tutti" non cancella il discorso sulle sfide di gestione per le razze più impegnative.

Il patentino per razze pericolose

La nuova proposta elaborata dalla Lombardia prevede l'obbligo di conseguire un patentino per chi vive con alcune tipologie di cani, comprese quelle non riconosciute ufficialmente in Italia come, ad esempio, il Pitbull. Rientrano quindi nell'elenco anche tutti gli incroci e i molossoidi di grande taglia non iscritti ai libri genealogici dell'ENCI e dalla FCI, la federazione internazionale delle associazioni di allevatori canini.

Prevedere un patentino rivolto a razze specifiche non è una scelta errata a priori, secondo Marchesini: «Quando invece parliamo di cani di determinate razze o che derivano da razze di cui mantengono le caratteristiche morfologiche, non stiamo parlando di cani pericolosi ma sicuramente sono più impegnativi di altri e richiedono quindi una persona esperta o con una conoscenza più approfondita della media. Un Rottweiler non è per tutti, si tratta di cani che richiedono maggiore capacità di controllo e conduzione. La persona deve avere le competenze per richiamare il cane in qualsiasi momento e sapere interpretare le situazioni agendo di conseguenza».

Per l'esperto che ha fatto del dialogo aperto con gli altri animali un principio del proprio pensiero sottolinea però l'importanza che il percorso sia qualitativamente adeguato: «Il patentino dovrebbe essere diviso in più momenti: anamnesi del cane, osservazione del binomio uomo-cane, e test. Le figure che devono fare la valutazione sono il veterinario esperto in comportamento e un tecnico come un istruttore cinofilo».

Oggetto dell'esame, devono essere sia la persona che l'animale, e il patentino deve essere il coronamento di un percorso congiunto: «La coppia deve dimostrare di essere in grado di saper stare nelle diverse situazioni – sottolinea l'etologo – se ci sono problemi in fase di test gli si chiede loro di rifare il percorso di formazione, ciò fino al raggiungimento della condizione giusta».

Come ridurre il rischio iniziando dagli umani

La struttura proposta da Marchesini sarebbe possibile realizzare se in Italia ci fosse un dialogo con le istituzioni, nell'ottica di prevenzione della incolumità pubblica e non di sola repressione: «Da un anno sollecito Enci e Ministero della Salute vedendo la crescita del trend delle aggressioni. Questo è il momento per realizzare tavoli di lavoro che rappresentino tutti gli orientamenti nell'ambito della cinofilia. Tutti devono dare il proprio contributo per arrivare a una sintesi: dobbiamo avere un obiettivo comune per il benessere animale, per migliorare la relazione uomo-cane, e per l'integrazione sociale del cane».

I cani sono individui, continuare a vederli come giocattoli o eterni cuccioli contribuisce a marginalizzare la questione e a perpetrare una situazione potenzialmente esplosiva. In Italia infatti ci sono 8,8 milioni di cani secondo le rilevazioni di Assalco-Zoomark, il più autorevole rapporto sul mondo degli animali d'affezione.

«Troppo spesso la politica è svincolata dalla società. Mi auguro che si arrivi a una concezione dove ci si avvale della competenza di tutte le figure professionali, e soprattutto delle persone».

Nella legge ci sono numerosi rimandi al mondo degli allevatori, tuttavia si dà poco spazio alle adozioni e al sistema dei canili. «Questo è un fatto grave – dice l'etologo – i canili sono proprio i luoghi in cui c'è maggiore bisogno di competenza e controllo».

Non esiste infatti in questi luoghi delle regole relative agli adozioni. «Quando sento che un cane che si è mostrato aggressivo con i più piccoli viene dato nuovamente a una famiglia con bambini inorridisco – è la considerazione di Marchesini – Non si può rimettere il cane nelle medesime situazioni che gli hanno causato disagio, vuol dire favorire la rievocazione di quel comportamento. Qualsiasi percorso di recupero, per le persone e anche per gli animali, non funziona come un reset, ma si lavora per rendere meno probabile quel comportamento problematico. Per questo bisogna tenere in considerazione i canili per parlare seriamente di sicurezza».

Stesso discorso riguarda la custodia degli animali: «Avremmo bisogno di assistenti sociali anche nell'ambito della cinofilia, perché spesso le famiglie dove si trovano persone che hanno problemi sociali, psichiatrici, o con la legge sono terreno fertile per gran parte degli incidenti. I problemi nascono all'interno di situazioni di marginalità sociale e dubito che il patentino arrivi lì dove c'è più bisogno. Per questo sarebbe importante una struttura che verifichi le situazioni di custodia».

«Quando si parla di cani c'è una visione edulcorata: sogniamo il "pet", ma i cani sono individui come noi», conclude il filosofo.

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