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Tra 23 e 3,6 milioni di anni fa, gli oceani del nostro pianeta erano dominati da un predatore tanto affascinante quanto temibile: il megalodonte (Otodus megalodon). Questo squalo preistorico è considerato il più grande mai esistito, con una lunghezza che poteva raggiungere addirittura i 24 metri, più o meno come due autobus messi uno dietro l'altro. Il suo nome, che significa "dente gigante", deriva proprio dai fossili più comuni attraverso cui conosciamo questa iconica specie: i suoi enormi denti triangolari e seghettati.
E nonostante si sia estinto milioni di anni fa, il fascino che suscita sugli scienziati e sul grande pubblico rimane immutato. L'assenza di uno scheletro completo ha però costretto i paleontologi a ricorrere a studi comparativi con squali attuali, come lo squalo bianco, per provare a dedurne sia l'aspetto che il comportamento. Ora però, recenti scoperte stanno portando alla luce indizi sempre più intriganti su un aspetto finora poco esplorato: la possibilità che i megalodonti combattessero tra loro utilizzando proprio le loro poderose mascelle.
Segni sui denti dei megalodonti: lotte tra giganti o semplice necrofagia?
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Un team di ricercatori guidato da Stephen Godfrey del Calvert Marine Museum, nel Maryland, ha recentemente pubblicato una nota in cui sono stati analizzati quattro denti fossili di megalodonte trovati in alcuni siti della Carolina del Nord e del Sud, risalenti a circa 12 milioni di anni fa. Su ciascuno di questi enormi denti sono state trovate delle incisioni parallele, graffi lasciati dai denti seghettati di un altro megalodonte. Una scoperta inaspettata, poiché i denti con segni di morsi della stessa specie sono molto rari nei fossili.
Uno di questi denti presentava graffi perpendicolari alla sua lunghezza, tracce che rendono molto improbabile l'ipotesi che l'animale si sia morso da solo. Questi segni hanno spinto i ricercatori a ipotizzare due possibili scenari: un combattimento tra due megalodonti fatto a suon di morsi in faccia o un episodio di necrofagia, ovvero un megalodonte che ha mangiato un suo simile già morto. Naturalmente, avere una risposta certa solo con questi pochi elementi è molto difficile, ma se facciamo un confronto tra le specie attuali non possono essere escluse.
Come facciamo a sapere cosa facevano animali scomparsi da milioni di anni?
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I fossili, ovvero ossa, tracce e segni di animali ormai scomparsi, possono dirci molto sia sull'aspetto che sulle abitudini di esseri viventi di milioni di anni. Gli squali, tuttavia, avendo uno scheletro prevalentemente cartilagineo, raramente lasciano tracce diverse dai denti o dalle vertebre, le parti più dure e che più facilmente si fossilizzano. Eppure, i paleontologi, mettendo insieme fossili, segni, confronti con le specie attuali e ciò che sappiamo sulla biologia degli animali, possono come degli investigatori provare a ricostruire le loro vite.
Sono stati ritrovati, per esempio, anche denti di capodogli preistorici con segni di morsi attribuibili al megalodonte. Sebbene non sia chiaro se questi segni siano stati lasciati su prede vive o su animali ormai, l'ipotesi che un megalodonte possa competere e combattere con altri predatori, inclusi i propri simili, è più che plausibile. Anche gli squali attuali, infatti, lottano, si mordono mangiandosi a vicenda e consumano anche animali già morti, quindi è più che plausibile che anche il megalodonte avesse abitudini simili.
L'analisi dei segni lasciati su ossa denti fossili rappresenta quindi un tassello importante per comprendere meglio la vita di questo gigante degli oceani ormai scomparso per sempre e il suo ruolo all'interno degli ecosistemi marini preistorici. Anche se la possibilità che i megalodonti si scontrassero tra loro a colpi di fauci spalancate rimane solo un'ipotesi, i segni lasciati dai loro impressionanti denti raccontano comunque una storia fatta di predazioni, potenti morsi e, forse, combattimenti epici tra giganti degli oceani.