C'è per tutti il momento in cui ci accorgiamo che il cane o il gatto che vive con noi non è semplicemente un animale, ma un membro della famiglia, e non uno qualsiasi, bensì quello di cui dobbiamo avere più cura. Spesso questa consapevolezza arriva quando i loro occhi sofferenti incontrano i nostri. In quello sguardo non c'è solo dolore, ma la totale fiducia nelle nostre capacità di risolvere il problema. È quello che fa scattare in noi il bisogno di proteggerli a tutti i costi.
È questo il sentimento che asserisce di aver provato anche il medico Gianluca Fanelli quando la sera di lunedì 27 gennaio ha utilizzato una Tac dell'ospedale Parini di Aosta in cui lavora per visitare la sua gatta Athena, precipitata dal tetto del condominio per sei piani. Fanelli però non è un medico qualsiasi: è il responsabile della struttura semplice di Radiologia e neuroradiologia interventistica dell'ospedale, e il suo gesto non è stato apprezzato dalla direzione del Parini che per questo ha aperto un'indagine interna a suo carico.
Il medico ha risposto alla notizia dell'indagine con una lunga lettera in cui spiega le ragioni profonde delle sue azioni. In realtà, andando oltre il caso specifico, anche la scienza ci dice che se proviamo un dolore particolarmente intenso davanti alla sofferenza o alla morte del nostro animale c'è un motivo.
La lettera del medico: "Non me lo sarei mai perdonato"
"Ringrazio la mia gatta, che ha vinto la battaglia per la vita, che oggi sta bene, e che, quando la tengo tra le mie braccia e mi guarda negli occhi, mi trasmette quell'amore e gratitudine che mi riempiono il cuore, contribuendo ad alimentare quella forza che anima ogni giorno la voglia di andare a lavorare per fare del Bene". Sono queste le parole che il medico dedica alla sua gatta al termine della lunga lettera in cui spiega perché ha scelto di usare le Tac dell'ospedale per curarla.
Fanelli ha asserito di non avere avuto scelta, anche in considerazione della sua missione: quella di salvare vite, umane o animali che siano. "Mi permetto di osservare che essere medico significa svolgere una missione – scrive – quella di dedicarsi completamente al servizio della vita. Lavoro ogni giorno a contatto con il dolore delle persone, in ambienti chiusi, senza finestre, come quello della sala operatoria, respirando e vivendo sulla mia pelle la sofferenza fisica, emotiva e mentale dei pazienti. La forza propulsiva che spinge a fare questo è proprio la vita che scorre negli occhi di chi si affida alle tue cure e la speranza che leggi in quegli occhi che ti chiedono di fare di tutto ciò che puoi per aiutare. E questa vita scorre in ogni essere vivente".
La gatta Athena si trovava in condizioni disperate dopo essere precipitata dal tetto del condominio in cui viveva con Fanelli, i suoi figli e gli altri 5 gatti di casa. Dopo la caduta, l'uomo l'ha trovata ancora viva ma in condizioni disperate: "Non si muoveva e respirava a malapena. Portata dal veterinario, ad un primo esame sommario sono emerse fratture posteriori, distacco di almeno uno dei due polmoni con un sospetto pneumotorace e possibili lesioni degli organi interni: era tra la vita e la morte. Di professione faccio il Radiologo interventista e sapevo di poterla salvare solo con un tempestivo intervento".
Ha preso quindi una decisione controversa, quella di usare le Tac dell'ospedale in cui lavorava per poterle dare una chance di sopravvivenza: "In un momento in cui le Tre tac non erano in orario di servizio, dopo le 20:00 del giorno lunedì 27 gennaio, quando gli esami programmati per la giornata sono terminati e tutte le macchine diagnostiche sono in attesa di eseguire eventuali esami urgenti, verificato non vi fossero pazienti e, ovviamente, non in timbratura, ho deciso di verificare quali fossero le sue condizioni e cosa potessi eventualmente fare per salvarla. Sono quindi andato a prendere la gatta, le ho fatto un esame radiologico di pochi secondi utilizzando una delle tre Tac e, valutata così la gravità delle condizioni del pneumotorace, ho poi eseguito il drenaggio, permettendole finalmente e immediatamente di respirare: da quel momento la gatta ha ripreso a respirare e si è gradualmente ripresa. Questi i fatti".
Questa scelta ha contribuito a salvare l'animale ma potrebbe comportare una sanzione severa a carico del medico per aver utilizzato attrezzature dell'ospedale per una sua esigenza personale. "Se non avessi fatto tutto ciò che potevo, visto che faccio proprio il medico radiologo interventista che dunque è abituato a prendere decisioni immediate per salvare vite e la mia gatta fosse morta, non me lo sarei potuto mai perdonare, anche per i miei figli che la adorano".
Questo gesto potrebbe quindi avere un costo molto alto, eppure moltissime persone in situazioni analoghe avrebbero fatto lo stesso per salvare il proprio compagno animale. Per capire cosa scatta dentro di noi in queste circostanze possiamo dare un'occhiata alle ricerche scientifiche che recentemente hanno indagato il profondo legame tra noi e gli altri animali.
Cosa accade dentro di noi quando il nostro animale sta male
Cani e gatti si trovano ormai in una casa su quattro, in Italia ce ne sono ormai 20 milioni, e muovono un giro d'affari oltre 3 miliardi di euro. Eppure vengono considerati ancora individui di serie B. La realtà che vivono milioni di persone però è ben diversa. Per tantissimi cani e gatti rappresentano un tassello fondamentale della propria vita, e perderli comporta un lutto parificabile a quello che si prova davanti alla morte di un familiare umano.
Questo avviene sia in ragione della sensibilità personale di ognuno, ma anche in conseguenza di un rapporto di co evoluzione durato migliaia di anni. Per quanto riguarda i cani si parla di ben 40 mila anni durante i quali, progressivamente alcuni ‘lupi ancestrali' si sono allontanati dal loro ambiente per vivere a ridosso delle comunità umane fino a diventare i compagni di vita che conosciamo adesso. Le modificazioni che derivano da questa evoluzione e dalla domesticazione che ne è seguita li hanno resi particolarmente capaci di capire chi siamo e cosa proviamo. I cani infatti sanno interpretare il nostro tono di voce, leggere le nostre espressioni, e persino a capire se siamo ubriachi, e giudicarci quando siamo incapaci nel fare qualcosa.
Ma non dobbiamo essere tanto presuntuosi da pensare che questo processo così profondo e duraturo non ci abbia toccato allo stesso modo. Anche noi abbiamo instaurato con gli animali un'alleanza che nei secoli si è trasformata in un legame intimo. È proprio su questa relazione millenaria che riguarda l'homo sapiens si innestano i rapporti che costruiamo individualmente con i nostri animali.
Questo tipo di legame però non è lo stesso che si instaura all'interno delle relazioni con gli esseri umani, ma si fonda su basi diverse. I cani infatti non giudicano secondo i parametri in uso tra noi: con loro possiamo creare un rapporto non performativo in cui siamo liberi di esprimere davvero noi stessi. Anche le relazioni di potere legate al nostro status sociale e personale non hanno valenza davanti al nostro cane. A lui non importa quanto siamo bravi al di fuori, e questo contribuisce a creare rapporti totalmente nuovi rispetto a quelli che abbiamo con i nostri conspecifici.
Per i gatti il discorso è analogo, con le dovute differenze. L’origine del gatto domestico non è ancora certa: la teoria più accreditata sostiene che sia avvenuta in maniera analoga a quella del cane quando in Medio Oriente alcuni esemplari di gatto selvatico africano Felis lybica abbiano iniziato ad avvicinarsi ai primi villaggi. Anche in questo caso la lunga prossimità ha determinato la creazione di un linguaggio comune condiviso, basti pensare al miagolio. I gatti selvatici adulti non miagolano tanto quanto quelli domestici, gli scienziati ritengono che ciò sia dovuto proprio alla domesticazione e alla necessità di interagire con la nostra specie. Anche per questo due scienziati hanno ideato il concetto di "co-cultura" per descrivere quando tra due specie esiste una cultura condivisa tra specie diverse.
Alla luce di questo, è molto altro, è comprensibile che quando il nostro animale sta male noi siamo portati a fare più di quanto faremmo in altre circostanza per poterlo salvare.