
Tre maialini sono stati destinati a morire di fame a Copenaghen come parte di una installazione artistica dell'artista Marco Evaristti, nato in Cile e residente in Danimarca. I tre maialini chiamati Lucia, Simon e Benjamin, si trovavano all'interno di una gabbia formata da due carrelli della spesa, a rappresentare la sofferenza delle migliaia di maiali sfruttati dall'industria alimentare danese.
L'intenzione dichiarata di Evaristti era proprio quella di accendere l'attenzione su questo tema, ma quello ha scatenato in concreta è stata una ondata di polemiche che ha travolto lui e la sua opera. L'indignazione è cresciuta tanto che i maialini parte della mostra And Now You Care? ("E ora ti interessa?") sono stati portati via dall'associazione di tutela animale Dyreværnsorganisationen OASA con il sostegno di un collaboratore di Evaristti.
Cosa è successo ai maialini condannati a morire di fame
Il giorno dopo l'inaugurazione della mostra i maiali sono stati rapiti ed Evaristti ne ha denunciato il furto indicando da subito come responsabili gli attivisti per i diritti degli animali. Già prima dell'apertura ufficiale migliaia di persone hanno criticato l'opera sia attraverso i social che con proteste organizzate davanti alla galleria. A nulla sono servite le dichiarazioni rilasciate dall'artista all'agenzia di stampa danese, Ritzau: "Si tratta di tre maiali che sarebbero morti comunque perché troppo deboli. qui ricevono cibo e acqua e più spazio di quanto ne avrebbero avuto nei porcili danesi convenzionali, dove ogni giorno muoiono più di 20.000 maiali. Con la mia mostra potrò convincere un maggior numero di danesi a pensarci due volte quando si recano al banco frigo del supermercato".
I maialini erano destinati a una lenta morte per fame all'interno della mostra d'arte. Una immagine inaccettabile per moltissimi cittadini e attivisti, e anche per lo stesso assistente di Evaristti. Sarebbe stato proprio lui ad affidare all'associazione danese OASA i tre maialini, che quindi non sarebbero stati oggetto di furto secondo la versione fornita dai volontari:
L'OASA ha contattato l'artista per ottenere la presa degli animali e assicurargli una casa adatta. Dopo la mancata risposta di Marco Evaristi abbiamo inviato un rappresentante alla mostra per trasmettere personalmente il messaggio. Sabato mattina siamo stati contattati da un collega di Evaristti che ci ha comunicato che i maiali potevano essere ritirati entro le ore 11 dello stesso giorno. Abbiamo rapidamente avviato un piano per il recupero, come concordato. Durante il ritiro non ci sono stati furti e il collega di Evaristti ha consegnato il mangime per maiali al nostro autista.

Adesso sono in corso indagini della Polizia di Copenaghen per chiarire l'esatta dinamica dei fatti, ma nel frattempo si è aperto il dibattito sul confine tra arte e crudeltà: "Denunciare la crudeltà sugli animali è positivo, ma torturarli non è arte, è tortura", ha scritto un'utente sotto al post di Evaristti, e come lei molti.
Evaristi: dai pesci nel frullatore ai maiali in gabbia
Non è la prima volta che Evaristti attira su di se l'odio della comunità animalista. All'interno della categoria degli artisti definibili come controversi il cileno si è ritagliato un proprio spazio già nel 2000 con la mostra Helena & El Pescador al museo Trapholt di Kolding, in Danimarca.
L'opera anche in questo caso consisteva in una installazione interattiva: una stanza con 10 frullatori, ognuno dei quali conteneva un pesce rosso vivo. I pesci erano vulnerabili ai visitatori della mostra che sceglievano di accendere i frullatori per ucciderli. Durante la mostra morirono in questo modo due pesci.

"L'opera riguarda il viaggio di una persona nel mondo in cui Evaristti crede che ci siano tre tipi di persone: il sadico, il voyeur e il moralista – si legge sui canali ufficiali dell'artista – Se una persona è un sadico, premerà il pulsante del frullatore perché è in grado di farlo. Se la persona è un voyeur, osserverà con eccitazione se gli altri premeranno il pulsante. Se la persona è un moralista, si infurierà per il fatto che c'è l'opzione di frullare i pesci".
Qual è il confine tra arte e violenza?
È giusto che l'arte si ponga un limite diverso da quello della realtà che intende raccontare? Se lo è chiesto anche Marina Abramović, l'artista contemporanea più famosa del mondo che nel 1974 scelse Napoli come teatro della sua opera più controversa, Rhythm 0.
Per sei ore Abramović mise se stessa al centro di una grande istallazione consistente in una stanza vuota, ad eccezione di un tavolo con 72 oggetti. Questi includevano oggetti innocui come una rosa, una piuma, un profumo, del miele, e altri più pericolosi forbici, bisturi, chiodi, e persino una pistola e un proiettile. I visitatori erano invitati a scegliere quello che preferivano per usarlo sulla donna.
Il critico d'arte Thomas McEvilley, che quel giorno seguì tutta la performance, ha ricordato che all'inizio le persone erano gentili, ma dopo tre ore le cose iniziarono a cambiare: "La notte napoletana cominciò a scaldarsi. Alla terza ora tutti i suoi vestiti le furono tagliati via con lame affilate come rasoi. Alla quarta ora le stesse lame iniziarono a esplorare la sua pelle. Le fu tagliata la gola in modo che qualcuno potesse succhiarle il sangue. […] Quando una pistola carica fu puntata alla testa di Marina e il suo stesso dito fu manipolato intorno al grilletto, scoppiò una rissa tra il pubblico".
L'intento dell'artista era quello di scoprire fino a che punto si sarebbero spinte le persone. La violenza della performance sarebbe stata graduale a quella del suo pubblico. Si potrebbe allora ammettere che la violenza non può avere un limite nell'arte perché non lo hanno le persone a cui è destinata, moralizzarla significherebbe solo censurare una verità che forse non vogliamo conoscere. Esiste però una profonda differenza tra il lavoro di Abramović ed Evaristti: quello dell'autodeterminazione.
Per la mostra napoletana l'artista aveva fornito ai visitatori poche e scarne istruzioni, tra queste c'era la più importante: "Durante questo periodo mi assumo la piena responsabilità". Una responsabilità di se stessi che non hanno gli animali e che non può essere a loro attribuita in nessun modo.
Sfruttare un animale a nostro piacimento solo perché sappiamo di avere la capacità di decidere della sua vita e della sua morte non dice nulla su come la società lo vede, ma invece dice molto sulla persona che ha giocato a fare dio, o l'artista.