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22 Ottobre 2024
17:38

L’impatto della guerra sulla biodiversità: perché dobbiamo proteggerla

La guerra distrugge non solo le persone, ma anche l'ecosistema e gli animali nelle aree di conflitto. La maggior parte delle aree di scontro coincide con hub di biodiversità fondamentali, eppure i governi internazionali ancora non riconoscono l'importanza di tutelarla.

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Secondo il Global Peace Index (GPI) che ogni anno classifica 163 Stati e territori indipendenti in base al loro livello di pace, oggi sono in corso più conflitti armati che in qualsiasi altro momento dalla Seconda guerra mondiale. Nel 2024 la militarizzazione è peggiorata in 108 Paesi. Questo contesto influisce sulla qualità della vita di tutti coloro che vivono in quella zona, persone e animali.

L'Europa è la regione più pacifica del mondo, sul versante opposto c'è l'area MENA che comprende Medio Oriente e Nord Africa, indicata come la meno pacifica. Una situazione che si traduce in un netto impoverimento della qualità della vita delle persone e della biodiversità, aspetto quest'ultimo che però resta fuori da ogni valutazione sia sociale che etica.

Anche se non ne siamo consapevoli, la ricchezza in termini di biodiversità animale e vegetale fornisce ai cittadini dei servizi ecosistemici fondamentali per il benessere. Vivere in un luogo ricco di specie chiave, cioè di tutti quegli animali che garantiscono il corretto funzionamento dell'ecosistema con conseguenti benefici anche per noi umani. Questo tipo di servizi hanno un impatto sulle nostre comunità, come rilevano gli economisti ambientali dell'Università di Chicago Eyal Frank e Anant Sudarshan, ma non esiste ancora una metodologia unitaria per calcolarne la portata effettiva. La natura e gli animali restano quindi sullo sfondo, benché la loro esistenza sia indissolubilmente legata a quella della nostra specie, e ciò vale anche in tempo di guerra.

Un articolo pubblicato su Nature a prima firma del direttore dell'Osservatorio su conflitti e ambiente (Conflict and Environment Observatory) ha evidenziato come invece l'impatto della guerra sull’ambiente esista eccome, eppure le istituzioni lo ignorano. Questo crea scompensi ambientali difficilmente calcolabili nel breve periodo e va a impoverire ulteriormente le popolazioni già provate dai conflitti. Ma ci mette anche davanti alla considerazione che le persone hanno della natura intorno a loro.

I danni della guerra sulla biodiversità

In questi anni, la consapevolezza circa la senzienza degli animali è cresciuta e in molti paesi, compresa l'Italia in cui sono state approvate norme per offrire maggiori tutele ad animali e ambiente. Tuttavia, nella maggior parte dei paesi del mondo – ancora Italia compresa – gli animali sono ancora considerati dalla legge alla stregua di res, oggetti mobili deperibili. Solo in un caso, in Ecuador, i governanti hanno riconosciuto alla madre terra, la "Pachamama", i diritti fondamentali considerando la Natura come un tutto vivente.

Ad oggi, sette degli 11 Stati del Sudamerica hanno registrato un peggioramento delle condizioni di pace, e tra questi l'Ecuador ha subito il deterioramento più profondo nell'ultimo anno a causa dell'innalzamento dei tassi degli omicidi e del terrorismo interno. I gruppi armati qui trovano ampio spazio per proliferare e organizzarsi proprio grazie alla protezione fornita dalla foresta amazzonica e dalle altre aree verdi ancora vergini, che rischiano di uscirne sfigurate in maniera indelebile.

Guardando allo scenario globale, non è un caso che lo slogan della Cop16, la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla biodiversità, sia «Pace con la natura». La Cop16 è in corso di svolgimento proprio in Sudamerica, precisamente in Colombia, dal 21 ottobre al 1 novembre 2024. Proprio la Colombia negli anni Novanta è stata teatro di un lungo scontro interno che ha cambiato profondamente il volto della società, e anche delle foreste, del paese.

La Colombia rappresenta uno dei più grandi hub di biodiversità del mondo. La regione amazzonica copre il 42% del territorio nazionale e ospita alcune delle specie più rappresentative e carismatiche del Sudamerica, su tutti il giaguaro, diventato negli anni il simbolo di molte proteste ambientaliste in difesa della foresta pluviale.

Per proteggere lui e il resto della fauna amazzonica, nel 2018 è stato ampliato il Parco nazionale del Chiribiquete, che ad oggi è la più grande area protetta tropicale del mondo. Questa estensione è stata possibile anche grazie al ritiro dei guerriglieri dalla zona a seguito dell'accordo di pace firmato tra guerriglieri e governo colombiano nel 2016.

Sembrava che per il Chiribiquete dovesse iniziare una nuova epoca. Il Parco ospita migliaia di specie, decine delle quali a rischio estinzione, tra cui il tapiro di pianura, la lontra gigante, il formichiere gigante, la scimmia lanosa colombiana, nonché il giaguaro.

Ma la recrudescenza del conflitto armato da parte degli ex guerriglieri Farc rischia di vanificare lo sforzo nazionale e internazionale. «Chiribiquete è speciale per il suo valore biologico, culturale e idrologico, ma è anche di vitale importanza per i gruppi indigeni, alcuni ancora oggi sconosciuti», dichiarò Mary Lou Higgins, direttrice del Wwf-Colombia.

Proteggere la pace per proteggere la Natura

Uno studio pubblicato nel 2009 sulla rivista specializzata Conservation Biology ha evidenziato che tra il 1950 e il 2000, oltre l'80% dei conflitti armati ha avuto luogo all'interno di 34 hotspot di biodiversità. Non deve sorprendere dato che i punti caldi della biodiversità sono concentrati in regioni politicamente instabili. Questi 34 hotspot ospitano almeno il 42% delle specie di vertebrati terrestri. La salute di queste aree e della fauna che ospitano sono particolarmente sensibili al disturbo umano, basti pensare che anche solo l’apertura di una strada in una foresta intatta può mettere in pericolo la sopravvivenza dei grandi predatori, come i giaguari, che hanno bisogno di un territorio non frammentato.

Alla minaccia indiretta recata dell'essere umano con le sue attività come deforestazione e urbanizzazione di aree verdi, si aggiungono poi quelle dirette. Il conflitto infatti si accompagna al caos e al proliferare dei crimini che normalmente sarebbero repressi, e tra questi c'è il commercio di fauna selvatica.

L'unico argine alla distruzione sono le popolazioni indigene che custodiscono la flora e la fauna del Paese. Uno studio su Science ha rilevato che la qualità ambientale delle terre dei popoli indigeni nei punti caldi della biodiversità supera quella delle terre non indigene, e questo permane anche quando il conflitto è finito.

Per questo uno dei punti fondamentali per la Cop16 è lavorare su persone e animali, indissolubilmente legati tra loro: «Il messaggio che verrà inviato dalla Colombia al mondo, si basa sul riconoscimento delle attuali relazioni ineguali, delle attività estrattive che sfruttano eccessivamente le capacità della natura e che sollevano la necessità di migliorare il rapporto tra esseri umani ed ecosistemi. Le economie estrattive legali e illegali, in particolare quelle associate alle economie dei combustibili fossili, come quelle dei minerali o degli idrocarburi, come l'estrazione di minerali o idrocarburi, generano pratiche degradanti che violano i diritti umani e aumentano i contesti di conflitto e violenza. È in questo scenario che il mondo deve iniziare a fare “pace con la natura”».

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