Le oche canadesi (Branta canadensis), una delle specie più diffuse in America del Nord, sembrano avere una sorprendente consapevolezza dei pericoli rappresentati dai cacciatori e dei luoghi in cui questi si trovano, ma scelgono comunque di rischiare rimanendo in queste aree, vicine ai loro habitat preferiti. Questa affascinante scoperta emerge da uno studio condotto dai ricercatori della Penn State University, pubblicato recentemente sulla rivista Landscape Ecology.
I ricercatori si sono concentrati su due aree di gestione faunistica (Wildlife Management Areas, o WMA) in Pennsylvania, il parco di Pymatuning e Middle Creek, territori che ospitano sia laghi e zone umide molto importanti per gli uccelli acquatici, sia attività venatoria regolamentata. In queste due aree, infatti, gli enti gestori cercano di bilanciare due obiettivi spesso opposti tra loro: proteggere e attrarre la fauna selvatica e offrire opportunità "ricreative" alle persone, tra cui la caccia.
La strategia delle oche: rimanere, ma con cautela
Secondo i risultati emersi dallo studio, le oche non abbandonano le WMA neppure durante i periodi di caccia più intensi. Anziché fuggire lontano in altre zone umide, si affidano probabilmente a una "mappa cognitiva del rischio" e a una "tabella di marcia della paura" – così le hanno chiamate i ricercatori – per muoversi all'interno di questi territori e trovare un equilibrio tra rischio, rifugi sicuri e risorse. In sostanza, le oche dimostrano di sapere quando e dove si trovano i cacciatori, ma anche di essere in grado di adattarsi di conseguenza, cercando un rifugio temporaneo o cambiando abitudini nell'immediato, senza però rinunciare nel lungo periodo al loro habitat preferito.
Per comprendere meglio il comportamento e la reazione degli uccelli alla presenza dei cacciatori, i ricercatori hanno dotato 134 oche di dispositivi GPS, monitorando i loro spostamenti durante due stagioni di caccia. In totale, sono stati raccolti ben 7,4 milioni di dati sui loro movimenti. I risultati hanno mostrato chiaramente che, sebbene le oche nel breve periodo tendano ad allontanarsi dalle immediate vicinanze delle aree in cui la caccia è più intensa (mostrando quindi consapevolezza del pericolo), rimangono comunque fedeli a queste aree, non allontanandosi troppo e tornando in quegli stessi luoghi appena possibile.
Un compromesso tra rischio, costi e benefici
Secondo gli autori, questo comportamento apparentemente insolito può essere spiegato dal fatto che le oche riescono comunque a trovare un riparo sicuro all'interno delle aree gestite, dove possono evitare il pericolo immediato senza dover necessariamente abbandonare del tutto quel territorio. La scelta delle oche di "rischiare" rimanendo nei pressi dei cacciatori dimostra quindi non solo che gli uccelli sono in grado di percepire il pericolo immediato, ma anche che evidentemente queste zone umide rimangono indispensabili per la loro sopravvivenza e che gli uccelli preferiscono gestire il pericolo adattando il loro comportamento.
Ci riescono non abbandonando definitivamente l'area, ma cambiando il loro l'utilizzo dell'habitat sia su scala temporale che spaziale, così da ridurre al minimo il rischio di essere uccisi. Secondo i ricercatori, nelle aree in cui è permessa l'attività venatoria è quindi molto importante che il paesaggio sia il più eterogeneo e diversificato possibile, così da fornire zone e habitat con rifugi adeguati anche alle specie che è possibile cacciare. In questo modo, si riduce al minimo la pressione venatoria, evitando di appesantire ulteriormente le già tante minacce legate alle attività umane che uccelli e molti altri animali affrontano in tutto il mondo.