UN PROGETTO DI
video suggerito
video suggerito
29 Ottobre 2024
12:34

La storia di Dacia Manto e del suo rifugio distrutto dall’alluvione: «Siamo tollerati ma non aiutati»

Il rifugio "La casa selvatica" fondato da Dacia Manto in provincia di Rimini è stato distrutto dall'alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna nelle ultime settimane. In questa intervista la volontaria ci spiega le difficoltà di affrontare l'emergenza con 70 cani.

439 condivisioni
Intervista a Dacia Manto
Volontaria, fondatrice del rifugio La casa selvatica
Immagine

«Quando accogli un cane abbandonato non puoi tornare indietro: lo porti avanti fino a quando non ha trovato una vita migliore». Questa è la missione che da decenni impegna Dacia Manto, 50 anni, nata a Milano ma romagnola d'adozione che dieci anni fa ha fondato il rifugio senza gabbie "La casa selvatica" a Sant’Agata Feltria, in provincia di Rimini. Il 24 ottobre, quando una cascata di acqua e fango si è abbattuta sui 70 cani della sua struttura, lei non si è persa d'animo e svuotando un secchio dopo l'altro li ha salvati tutti.

«Abbiamo avuto molta paura – ci racconta – qui da noi l'acqua sale in maniera molto veloce e nel maggio 2023 eravamo rimasti letteralmente sott'acqua e questa volta ci siamo arrivati vicino». Memori dell'esperienza già vissuta negli anni precedenti, soprattutto con la tragica alluvione del 2023, Dacia era pronta: in suo soccorso si è attivata una rete di volontari pronti a tenderle una mano.

«La Lav è subito arrivata per dare una mano e anche i volontari del rifugio sono tutti intervenuti per supportarci. Abbiamo sentito tanto la vicinanza delle persone e ora che il peggio è passato ne abbiamo ancora più bisogno».

Dei 70 cani che vivevano all'interno del rifugio circa 20 sono stati trasferiti in altre strutture che hanno dato la propria disponibilità ad accoglierli, altri ancora sono stati adottati. Ma ne restano ancora 40 che non hanno trovato ancora una collocazione definitiva.

«Sapevamo quello che era accaduto al canile di Sasso Marconi, dove una cagnolina disabile è morta, e temevamo per i nostri cani con problemi, ipovedenti, o con problemi di mobilità. Per fortuna sono tutti salvi».

Tra i cani che si sono salvati c'è anche Zorro, un cane da caccia abbandonato dai cacciatori perché ormai inservibile: «Quando è arrivato da noi era in condizioni pietose», racconta Dacia.

L'alluvione in Emilia-Romagna

Immagine

L'alluvione che si è abbattuta in queste settimane sull'Emilia-Romagna ha messo in ginocchio soprattutto i cittadini dei Comuni montani. Un'emergenza che dura da più di una settimana e che ha mobilitato più di 7 mila volontari di Protezione civile, mentre migliaia sono le persone allontanate dalle loro abitazioni e prese in carico al sistema pubblico di protezione civile. Tra loro però non c'è Dacia che sta provvedendo da sola allo spostamento.

«Siamo tollerati ma non aiutati. Siamo un'associazione di volontariato e come tale non riceviamo fondi pubblici da nessuno, né io ho mai cercato il supporto delle istituzioni – ammette Dacia – Non c'è una sensibilità diffusa a livello istituzionale, in alcuni casi abbiamo avuto supporto ma per la sensibilità personale di alcuni. Non ho mai pensato di ricevere un aiuto e non ripongo speranze in tal senso».

Eppure il lavoro svolto dai volontari sul territorio per la gestione degli animali vaganti e abbandonati è fondamentale. La competenza relativa alla salute, così come quella per la gestione degli animali del territorio è affidata a Regioni ed enti locali che spesso però l'appaltano in maniera informale alle realtà di volontariato del loro territorio. Questa modalità si è cristallizzata nel tempo e ha portato alla deresposabilizzazione della politica riguardo agli animali, considerati un tema di serie B nonostante il peso importante che la gestione dei cani vaganti ha sui bilanci, soprattutto dei Comuni più piccoli.

Il risultato è un'amministrazione pubblica inconsapevole dei fenomeni del randagismo, dell'abbandono e del maltrattamento, e uno scarico di responsabilità su privati come Dacia e molti altri: «I santuari e i rifugi come il nostro non sono riconosciuti per il loro valore sociale – sottolinea – nessuno riconosce la necessità della loro esistenza, eppure è un dato di fatto che sia così».

Perché salvare i rifugi senza gabbie

Immagine

I rifugi come La casa selvatica sono pensati in maniera del tutto diversa rispetto ai classici canili. I canili comunali nella maggioranza dei casi sono strutture sovraffollate in cui vengono ammassati centinaia di cani che proprio in ragione del loro numero hanno poche possibilità di fare esperienza e diventare individui equilibrati. Sono i Comuni a provvedere per il loro mantenimento ma proprio a causa delle modalità di detenzione i cani che entrano in canile sono destinati a restarci.

I rifugi sono invece realtà più piccole dove i cani hanno la possibilità di esprimersi e fare esperienza grazie ai volontari, questo aumenta l'indice di adottabilità, come spiega Dacia. «Negli anni abbiamo favorito moltissime adozioni. Da noi non esistono gabbie ma grandi recenti e gli animali vivono con noi. Non li vogliamo mai vedere nei box, se non per un periodo limitato e in relazione all'emergenza che stiamo vivendo».

In attesa che l'emergenza rientri, Dacia sta preparando il secondo capitolo della vita sua e dei cani che accoglie: «Come associazione abbiamo una seconda casa famiglia, in provincia di Piacenza, e alcuni dei cani andranno lì. Ma stiamo cercando di mettere insieme i fondi per acquistare un terreno nostro sempre in Romagna per portare avanti questo progetto, da soli, come sempre».

Scrivere su whatsappa Dacia Manto per offrire un posto o un’adozione a uno degli ospiti del rifugio: 3515478144.

Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social
api url views