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Lo hanno chiamato Hachiko e il motivo è presto detto: la sua storia è simile a quella raccontata nel famoso e omonimo film ma il protagonista, in questo caso, non è un cane che rimane per sempre ad aspettare il suo umano di riferimento ormai morto ma un gatto.
Si tratta di un micio rosso che è stato portato in clinica da alcuni volontari in Russia, a Makhachkala, nella zona del Daghestan. L'animale dal 2018 era molto conosciuto da tutta la comunità locale perché viveva nel cimitero dove aveva eletto la sua casa sulla tomba della persona con cui viveva e che da ormai sei anni non c'è più.
Dopo la morte del suo umano di riferimento, questo gatto arancione si era dunque stanziato all'interno dell'area funeraria e secondo le testimonianze raccolte dall'AP, nonostante si fosse provato a trovargli una nuova famiglia, l'animale era sempre riuscito a ‘fuggire' e ritornare al suo posto.
Questa volta l'Hachiko dei gatti però ha dovuto, suo malgrado, accettare e, per le conseguenze che avrà sulla sua libertà di scelta, anche subire l'aiuto dei volontari. Il gatto, ormai anziano, aveva bisogno di essere curato e rimesso in forma e per questo è stato prelevato e portato in una clinica veterinaria dove è attualmente ricoverato. Dopo la guarigione però, che secondo i veterinari avverrà nell'arco di un paio di mesi, il micio però non sarà reimesso in libertà. Gli animalisti, infatti, hanno deciso di trasferirlo a San Pietroburgo per trovare una casa in cui vi sia una famiglia disposta ad accoglierlo.
Di tutta questa storia il ruolo dell'interpretazione umana del comportamento di un altro animale è di evidente impatto. A fronte infatti del dato di fatto che non sappiamo esattamente ancora oggi come gli altri esseri viventi vivono il lutto, è stato però dimostrato che sia un ‘sentimento' che ci accomuna ad altre specie. E' emerso recentemente da uno studio scientifico, ad esempio, che proprio i gatti soffrono per la morte degli altri animali.
Il nostro intervento sulla salute e sulla libertà di scelta di Hachiko, però, sono le due ‘certezze' empiriche in questo caso e in molti altri che hanno epiloghi simili soprattutto relativamente non alla correttezza di aiutare gli animali in evidente stato di sofferenza legato alla salute ma rispetto al loro destino. Lì dove infatti decidiamo che un gatto è capace di provare sentimenti così simili ai nostri tanto da stabilire senza l'aiuto della scienza che sia il legame che aveva avuto con il suo umano a non farlo allontanare dalla tomba, e dunque gli attribuiamo la facoltà di scegliere consapevolmente cosa fare in base alle sue emozioni, non lo riteniamo capace di scegliere come e dove morire.
Il punto è molto delicato ma dovrebbe indurci a riflettere sul ruolo che ci siamo dati – anche se a fin di bene – come tutori di altri animali (o ritenendoci ad essi superiori?) che riteniamo in ogni caso da proteggere a prescindere e pure quando come nel caso del gatto Hachiko ci dimostrano di sapere esattamente cosa desiderano fare della loro vita.