Rocky non ha un umano di riferimento ma un'intera comunità che lo ha accolto: è un cane libero e felice e non un "randagio", inteso nell'accezione negativa che si continua a dare a questo termine. Partendo da lui, un singolo individuo, e allargando l'orizzonte a un'intera comunità di cani e persone, la BBC è arrivata in Sicilia per raccontare la vita degli "stray" italiani e realizzare "The dogs of Palermo", una puntata del podcast "Documentari".
Georgia Walker, giornalista freelance che collabora con l'emittente di Stato britannica, ha realizzato una testimonianza preziosa di quello che dovrebbe essere visto come un patrimonio unico in Italia: il cane di quartiere e, in generale, i cani senza umani di riferimento "fissi". La reporter ha passato un'estate a Palermo per andare a vedere con i suoi occhi una realtà che ancora esiste non solo in Sicilia, ma in gran parte del Centro Sud del nostro Paese e che viene vissuta ancora come un "problema" a causa soprattutto dell'assenza delle istituzioni per una sana e rispettosa gestione del fenomeno.
I cani liberi del centro sud Italia, una realtà unica da preservare
Questo podcast arriva dal mondo anglosassone in cui, come nel nostro Nord, il cane libero è un ossimoro considerandone l'assenza e la percezione che si ha del cane come solo "animale di proprietà".
Ciò che emerge dal racconto di Walker ci invita infatti alla riflessione su come invece è la vita di un animale altamente sociale ma ben capace di non dipendere dall'umano se non per scelta e che si è co evoluto con noi ben prima di diventare un "pet" o un "animale da compagnia" nelle nostre case.
Il racconto della giornalista britannica ci permette in particolare di riflettere su quella che potrebbe e dovrebbe essere considerata una risorsa su parte del nostro territorio, dove ancora è possibile incontrare i cani liberi, in realtà da Roma in giù e anche in Abruzzo e Marche.
«A Palermo ci sono diversi tipi di cani: quelli non socializzati con le persone e altri come Rocky che è un cane di quartiere. Animali che sono conosciuti da tutti ma che non hanno un proprietario – spiega Walker proprio a inizio del suo documentario – Giocano con i bambini, si fanno accarezzare e girano per le bancarelle dei mercati. Questi cani hanno catturato la mia immaginazione, sono diversi dagli altri che ho incontrato nella mia vita. Questi cani "disturbano" la nostra nozione delle città come appartenenti solo agli umani, nell'era dell'Antropocene in cui l'essere umano domina e devasta il Pianeta, loro possono mostrarci come si può vivere con un'altra specie in una relazione di reciprocità e di rispetto».
La storia dei villaggini, l'educatrice cinofila: «Una famiglia di cani accolta dalle persone del quartiere»
La giornalista descrive così le storie di relazioni tra cani e persone sul territorio che nascono da una scelta reciproca di conoscersi e frequentarsi: semplicemente rapporti di vera amicizia interspecifica come quella che racconta tra i cani Pluto e Stella e il signor Lucio nella zona di Santa Rosalia, la cagna Margherita che è in strada da quando la sua persona di riferimento è morta a causa della pandemia da Covid-19 e poi approfondendo la saga dei villaggini, un branco che non c'è più da quanto prima è morto Matisse e poi Balù, i primi cani di quartiere seguiti da Giorgia Matesi, educatrice cinofila e responsabile della Lav a Palermo.
«Una mattina sono stata contattata da una ragazza inglese che mi ha detto di aver scelto da poco di vivere a Palermo e di voler conoscere la realtà dei cani di quartiere, avendone conosciuto uno, Rocky – spiega a Kodami Giorgia Matesi – Ci siamo incontrate in clinica, dove mi ha parlato del documentario che aveva intenzione di realizzare, mentre noi attivisti eravamo impegnati nel fare gli esami del sangue a Melina, cagna della zona della Cala. Con l'occasione le ho quindi presentato la nostra amica Melina e il nostro volontario Ferdinando che la monitora sul territorio. Da quel momento, Georgia è stata presente in molti momenti del monitoraggio di diversi cani di quartiere di Palermo».
Balù è uno dei protagonisti su cui si concentra di più la giornalista nella parte finale del podcast. Quando l'ultimo del branco infatti si ammala, Matesi a malincuore comprende che per prestargli le cure adeguate è da portare in un luogo sicuro, lì dove la sua casa – la strada – non consente di seguirlo attentamente a causa del tumore che ormai è in fase terminale. «I villagini erano un branco di 4 cani con cui cominciò la mia esperienza di monitoraggio nel 2012 – continua l'educatrice cinofila – Due meticci di pastori guardiani e due meticci di molossi che vennero trovati da neonati sotto un ponte, poi portati in una periferia palermitana da un signore che cerca rame tra la spazzatura. Sono diventati una famiglia vagante che ha scelto di stanziare vicino ad un bar e di vivere per tutta la vita insieme, finché la morte (per cause naturali) non li ha separati e poi, spero, ricongiunti nell'aldilà».
Walker si è ritrovata così a vivere il momento in cui persone che altrimenti non si sarebbero mai unite sono partite insieme dal quartiere per andarlo a trovare. «C'è Martina, 23 anni, che porta le medicine; Mario, un pensionato e Giuseppe ovviamente (colui che lo ha sempre seguito ndr). In macchina le persone parlano dei cani del loro quartiere e quando arriviamo Balù li riconosce tutti», racconta nel podcast. Dalle parole di Walker ciò che più colpisce, però, nel descrivere il momento del ricongiungimento sono le feste da parte degli umani più che del cane: della stessa intensità di quelle del loro amico a quattro zampe.
Cani e umani, uno scambio basato sul rispetto e la condivisione
La Palermo dei cani che viene fuori dal racconto di Georgia Walker è una realtà in cui le anime degli umani e dei cani si incrociano, si parlano e stringono un'alleanza che ha alla base un patto antico: il rispetto della libertà e dell'individualità. L'analisi che emerge, precisa e commovente, è avvalorata anche dalla testimonianza di Michele Minunno, educatore cinofilo pugliese che ha una lunga esperienza con i cani che vivono nella sua zona. «I soggetti liberi vengono visti ancora come "poveri cani" ma se iniziamo a guardarli in modo diverso e a comprendere che sono esattamente come il "cane vero" dovrebbe essere, possiamo arrivare a capire qualcosa anche di noi stessi. Se perdiamo questi cani, perdiamo anche una parte di noi», afferma Minunno nel podcast, specificando anche che «quando prendiamo un cucciolo in famiglia dobbiamo capire che crescerà e avrà una sua personalità ma comunque sarà influenzato da noi. I cani che vivono con le persone non scelgono, i cani liberi sono più maturi e più equilibrati».
La giornalista anche in un post su Facebook ha evidenziato quanto sia rimasta coinvolta nella relazione che lei stessa ha instaurato con i cani liberi di Palermo, sottolineando che non si era mai considerata prima una "dog person" e che aver avuto l'opportunità di vivere direttamente questa esperienza le ha concesso di comprendere, come racconta nel podcast che «questi cani non mettono insieme solo un gruppo di sconosciuti ma due specie».
Colpita proprio dalla loro indipendenza e capacità sociale, Walker ha anche parlato con Fabio e Lella, due milanesi che non avevano idea, come lei, della bellezza di incontrare i "randagi" e scoprire di sentirsi scelti a loro volta dai cani. «Georgia Walker con questo podcast ha raggiunto un obbiettivo per noi fondamentale – commentano a Kodami i due fondatori di Troglodita Tribe, "Società per Azioni felici" – è riuscita a rendere l'atmosfera di convivenza orizzontale che si crea con i cani liberi di quartiere. Si possono ascoltare voci umane e animali che si intersecano, si possono percepire gesti di accoglienza e relazione che si moltiplicano, raccontandoci come questi cani entrano a tutti gli effetti nel cuore del quartiere dove hanno scelto di vivere».
I due si sono trasferiti in Sicilia ormai da dieci anni e «il nostro sguardo di attiviste antispeciste è stato subito attirato da questo magnifico fenomeno che viene dal basso, che viene dal sud, che devia in modo costruttivo dall'idea di catturare, dal desiderio antropocentrico di tenere tutto sotto controllo con la reclusione», continuano a spiegare a Kodami.
Fabio e Lella hanno anche realizzato un libro che descrive l'importanza e il ruolo dei cani di quartiere e nel podcast ricordano la loro prima esperienza diretta nell'incontrare un gruppo di animali liberi a Pozzallo. «C'erano tre cani sulla spiaggia – raccontano nel podcast – all'inizio eravamo preoccupati e da milanesi abbiamo subito pensato "qualcuno li starà cercando". Ma dopo averli osservati abbiamo capito che erano davvero felici e autonomi, erano… "veramente cani"».
Nel libro "E il cane incontrò il quartiere, dal sud una nuova idea di convivenza" mettono in evidenza ciò che condividono con Kodami dopo l'esperienza anche di aver partecipato al reportage della BBC: «Il cane di quartiere è una pratica che dobbiamo difendere e sostenere da nord a sud, e non si tratta solo di sensibilizzare, ma di osservare e migliorare un modello reale, sul campo, dove persone e cani liberi dimostrano che non tutto si riduce all'addestramento e all'obbedienza – concludono – La voce di questi cani è forte ed è un invito al quale dobbiamo assolutamente rispondere in modo positivo».
Quello vissuto dai Fabio e Lella è il cosiddetto "mutual gaze" che avviene tra cani e esseri umani, codificato anche scientificamente: lo sguardo reciproco che mette in contatto le due specie e determina anche la cosiddetta "osmosi emozionale" che si traduce in un sodalizio dell'anima che ha radici antiche, tanto che ormai si ritiene che il rapporto di co evoluzione possa avere radici piantate nel tempo fino a 30.40 mila anni fa.
«C'è una doppia via di osservazione – concludono i due nel podcast – se ti senti osservato a tua volta vuol dire che hai cambiato la prospettiva ed è nato un rapporto reale, reciproco e libero».
L'indipendenza dei cani liberi e il nostro senso di responsabilità
Walker nel suo reportage descrive il suo primo incontro in assoluto con un cane libero, quel Rocky di cui parla all'inizio e su cui torna, riuscendo a definirne la personalità come si fa, del resto, tra persone quando si stringe un legame di amicizia e si scoprono le preferenze di chi abbiamo conosciuto profondamente. «Rocky è un cane simil caccia di 3 anni che era stato abbandonato da piccolo a una fermata dell'autobus, seguito tra gli altri da Antonino che ha un negozio all'angolo. I bambini del quartiere lo considerano uno della "gang" … A rocky piace la musica napoletana».
La giornalista affronta anche il tema delicato del coinvolgimento emotivo che le persone hanno nei confronti dei "cani di nessuno". Si chiede infatti: «Ci si sente responsabili?» ma comprende che la vita di questi cani di strada monitorati dalle persone del quartiere è piena e felice, che la loro libertà è compresa da chi li incontra sul territorio e riesce a comprendere anche la cosa più importante, ovvero l'autonomia di questi individui: «Ho portato Rocky in macchina a fare un giro ma in realtà è lui che ha portato me. Ha visto i suoi amici, ho fermato la macchina ed è voluto uscire: mii ha introdotto lui a nuove persone».
I cani liberi stanno sparendo: l'importanza di tutelarli e rispettarli
A Palermo, però, come in altre realtà del Centro sud, i cani liberi stanno sparendo e sono sempre di meno anche quelli di quartiere. Come ci spiega Giorgia Matesi «se perdiamo questi cani perdiamo un collegamento al mondo naturale: i cani ci riportano nel qui ed ora, nel contesto e nell'ambiente. Ci mettono in contatto con il posto in cui viviamo, sono un'ispirazione». L'educatrice poi aggiunge un'ultima riflessione al telefono con noi rispetto alla sua esperienza di tanti anni di monitoraggio: «Ho imparato che possiamo imparare da tutti, anche da persone chiuse nell'analfabetismo totale, ai margini della società, che fanno osservazioni interessanti e che trovano spesso nei cani di quartiere gli unici veri amici. Ho imparato che la paura del "nuovo" porta a minacciare, per cui è lì che si deve lavorare, sulla gestione delle emozioni nel rapporto con la diversità. Ho imparato che si può parlare con tutti, se c'è desiderio di dialogare. Parlo spesso in dialetto per farmi capire e ho imparato che quello che fai e come lo fai è più importante e di ispirazione rispetto a quello che dici».
I cani che Giorgia segue sono vaccinati, sterilizzati, microchippati e monitorati dalla comunità. Proprio nel podcast del resto ha espresso chiaramente quanto sia importante essere parte di un tutto, dove non vi è separazione dagli altri, cani o umani che siano ma comprensione e ascolto: «Cerchiamo di capire il rapporto che hanno con i residenti e le loro abitudini e se ci sono problemi interveniamo perché rimangano nel loro ambiente che è per loro casa. Quando un cane arriva nel quartiere, di solito per abbandono, la prima reazione è paura da parte delle persone che chiamano i vigili. Io osservo la situazione e chiedo alle persone di aspettare, dare al cane un po' di tempo perché si conoscano reciprocamente. Per me i cani di quartiere sono un ponte tra noi umani e gli altri animali. I bambini che crescono con i cani hanno meno paure e maggiore rispetto per tutti».