«Pace con la Natura»: è questo lo slogan della Cop16, la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità in corso di svolgimento in Colombia dal 20 ottobre al 1 novembre 2024. Si tratta della prima conferenza internazionale sulla biodiversità dell’Onu dopo l’adozione del Kunming-Montreal Global Framework.
Si tiene a Cali alla presenza dei rappresentanti di 196 Paesi del mondo. Sono previsti in totale circa 12 mila partecipanti, tra cui dieci capi di Stato e 140 ministri. Sono questi che negozieranno accordi internazionali con l'obiettivo di preservare la natura e ripristinare gli ecosistemi.
Gli obiettivi della Cop16
Non si può consolidare la pace in un territorio senza fare pace anche con la Natura che ospita. Quella di è la prima Cop sulla biodiversità dopo quella che si è svolta in Canada nel 2022 che portò all'adozione del Global Biodiversity Framework di Kunming-Montreal. L'accordo ha impegnato la comunità internazionale a ripristinare entro il 2030 almeno il 30% di terra e oceani per arrestare il declino della biodiversità e proteggere le comunità locali.
L'incontro che si sta svolgendo a Cali ha quindi tra gli obiettivi quello di creare il primo vero confronto dopo la sottoscrizione dell'accordo e, almeno per il momento, i risultati raggiunti sino ad ora non sembrano essere incoraggianti. Sino ad ora solo 29 su oltre 190 paesi firmatari hanno presentato il proprio piano a tutela della biodiversità.
La Cop 16 si pone quindi l'obiettivo di riannodare i fili del discorso, oltre a quello ben più ambizioso di sviluppare ulteriormente il quadro di monitoraggio e promuovere la mobilitazione delle risorse per il Global Biodiversity Framework. Tra gli altri compiti, la Cop 16 vuole lavorare al meccanismo multilaterale sulla condivisione giusta ed equa dei benefici derivanti dall'uso di informazioni di sequenza digitale sulle risorse genetiche. Un'agenda eterogenea che ha richiamato in Colombia le delegazioni nazionali e anche i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e di diversi gruppi di interesse.
Tra questi c'è anche il WWF, tra le più influenti organizzazioni ambientaliste del mondo. «La COP16 deve rappresentare un momento per sostenere un'azione equa e aumentare la forza politica per arrestare e invertire la perdita di natura entro il 2030 – hanno dichiarato gli attivisti – I prossimi cinque anni sono cruciali per il futuro del nostro pianeta».
Anni cruciali per invertire il trend di perdita di biodiversità. Secondo l'ultimo Living Planet Report (LPR) il mondo ha toccato un nuovo record negativo con la perdita del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di animali selvatici.
I vertebrati selvatici sono diminuiti del 73%
Il Living Planet Report (LPR) è il dossier diffuso dal WWF con cadenza biennale. Si basa sul Living Planet Index fornito dalla Zoological Society of London che analizza i trend di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie di vertebrati dal 1970 al 2020.
Il calo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%). La perdita e il degrado degli habitat, causati principalmente dai nostri sistemi alimentari, rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie. Il cambiamento climatico rappresenta un’ulteriore minaccia in particolare per la biodiversità in America Latina e nei Caraibi, regioni che hanno registrato un impressionante calo medio del 95%.
Il Living Planet Index e altri indicatori simili concordano nel mostrare che la natura sta scomparendo a un ritmo allarmante. Anche se alcuni cambiamenti possano essere di piccola portata e graduali, il loro impatto cumulativo può innescare un cambiamento molto più ampio e repentino, e soprattutto impossibile da determinare con precisione. Sappiamo solo che quando gli impatti cumulativi raggiungono una certa soglia, il cambiamento si autoalimenta, determinando una transizione spesso brusca e potenzialmente irreversibile.
In questo caso si dice che il sistema ha raggiunto il punto critico di non ritorno. Tra i segnali più allarmanti c'è la perdita di biodiversità che in silenzio sta decimando ecosistemi fondamentali per l'esistenza della nostra stessa specie. L'estinzione delle barriere coralline, ad esempio, influisce negativamente sulla piccola pesca e riduce la protezione dei popoli costieri dalle tempeste.
Ma l'emblema dello sfruttamento della natura e dei danni causati è la Foresta Amazzonica, il parco nazionale di foresta pluviale più grande al mondo e patrimonio mondiale dell'UNESCO. A renderla unica è la straordinaria varietà di vita che accoglie: qui si trovano 1.294 specie di uccelli, 427 di anfibi, e 419 di mammiferi.
In Amazzonia però la deforestazione e il cambiamento climatico stanno portando a una riduzione delle precipitazioni e quindi a un profondo cambiamento delle condizioni ecologiche che hanno permesso a tante popolazioni animali di prosperare. «In questa situazione – si legge nel Report – si potrebbe raggiungere un punto critico oltre il quale le condizioni ambientali diventerebbero inadatte per la foresta pluviale tropicale, con conseguenze devastanti per le persone, la biodiversità e il clima globale».
Il punto critico potrebbe non essere così lontano secondo gli esperti: «Potrebbe attivarsi nel momento in cui venisse raggiuntala soglia del 20-25% di deforestazione. Si stima che circa il 14-17% sia già stato deforestato».
I destini degli animali e delle persone che dipendono da luoghi come questi sono strettamente intrecciati. Lo sanno bene i popoli indigeni dell'Amazzonia intervenuti alla Cop16 con i loro rappresentanti per chiedere «finanziamenti diretti» allo scopo di proteggere i loro territori e contribuire a conservare la natura.
L'Amazzonia colombiana rappresenta il 79,5% dei territori indigeni del Paese, e sono proprio queste comunità ad essere intervenute al vertice di Calì con Oswaldo Muca, leader della Organizzazione dei popoli indigeni dell'Amazzonia colombiana (Opiac): «Contribuiamo al 10% della biodiversità e abbiamo il 20% dell'acqua dolce esistente al mondo, abbiamo il più basso tasso di deforestazione del Paese, dei 27 milioni di ettari che proteggiamo, il 45% è un territorio vergine che viene difeso attraverso i sistemi di conoscenza dei nostri 64 popoli indigeni».
Un'eredità pesante di cui Muca e l'Opiac sono consci: «Questo rappresenta anche una sfida per i popoli indigeni amazzonici, per le grandi minacce che stiamo affrontando, come l'estrazione mineraria illegale, il disboscamento per l'allevamento estensivo di bestiame e l'assassinio dei leader indigeni che difendono la conservazione dell'ambiente».
È questo il difficile contesto in cui i leader internazionali della Cop16 sono chiamati a fare «Pace con la natura».