È possibile riconoscere a un gruppo di elefanti in cattività gli stessi diritti dei detenuti? È su questo che si sta interrogando la Corte Suprema del Colorado dopo che un gruppo di attivisti ha sollevato la questione per gli elefanti Missy, Kimba, Lucky, LouLou e Jambo del Cheyenne Mountain Zoo.
Giovedì 24 ottobre la Corte si è riunita e nelle prossime settimane si pronuncerà sulla richiesta di habeas corpus avanzata dalla NonHuman Rights Project per gli elefanti detenuti nello zoo per un periodo compreso tra 38 e 52 anni.
Lo scopo dell'associazione è proprio quello di cambiare lo status giuridico degli animali non umani da oggetti a soggetti di diritto. Nel caso dei cinque elefanti del Cheyenne Mountain Zoo, gli attivisti hanno scelto di portare avanti la battaglia legale senza denunciare lesioni al benessere degli animali, ma di tutelare le libertà personali dell'individuo, secondo il principio dell'habeas corpus che proteggere gli individui oggetto di un'ingiusta detenzione.
Il direttore esecutivo della NonHuman Rights Project, Christopher Berry, vorrebbe avere il via libera dei giudici per trasferire gli elefanti in un santuario dove possano avere più spazio a disposizione e «permettere loro di tornare a essere elefanti, per quanto possibile, visto che non possono più essere liberati negli habitat naturali da cui sono stati prelevati».
La direzione dello zoo si oppone e sottolinea che l'intento di Berry e dell'associazione non è circoscritto a cinque elefanti ma mira a mettere in discussione la cattività di qualsiasi animale.
I precedenti in tal senso, però, sono incoraggianti per gli attivisti.
Animali soggetti di diritto: i precedenti
L'organizzazione per i diritti degli animali aveva già provato a chiedere l'habeas corpus per Happy, elefante dello zoo del Bronx rimasta sola per molti anni. In quel caso però la Corte di Appello di New York non ha riconosciuto Happy come una "persona" e le ha quindi negato i relativi diritti. Per i giudici di New York Happy è a tutti gli effetti una proprietà dello zoo che la possiede, non ha diritti da esercitare per porre fine alla sua detenzione solitaria.
La sentenza di New York afferma espressamente che riconoscere simili diritti a un elefante «avrebbe un impatto destabilizzante sulla società contemporanea» e come tale va limitato.
Prima ancora, nel 2011, aveva fatto scuola il caso del selfie scattato dal macaco cinopiteco soprannominato Naruto. Il primate, appropriandosi della macchina fotografica lasciata incustodita dal fotografo David Slater, si è scattato un selfie che ha fatto il giro del mondo. Questa è stata poi pubblicata dal fotografo ma a quel punto è iniziata una battaglia legale per i diritti dell'immagine che gli attivisti volevano riconoscere a Naruto, in quanto autore dello scatto.
La Peta, associazione di tutela animale tra le più note al mondo, si è quindi rivolta alla Corte federale di San Francisco contro Slater. Anche in quell'occasione i giudici stabilirono che, almeno negli Stati Uniti, gli animali non hanno una posizione giuridica rigettando quindi le richiesta dell'associazione.
Nonostante questi insuccessi gli attivisti di NonHuman Rights Project hanno scelto di continuare a lottare per il riconoscimento giuridico degli animali non umani.