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Gastone, un Mastino dei Pirenei, è morto in seguito a un'operazione chirurgica alle zampe in una clinica della zona della Valle dei Laghi, in Trentino. La sua famiglia ha intentato causa contro i veterinari che hanno compiuto un "clamoroso errore" operando l'animale e provocandogli così "gravi sofferenze". I giudici del Tribunale civile di Trento hanno riconosciuto alla famiglia di Gastone un risarcimento di poco meno di 9mila euro, pari ai danni patrimoniali delle operazioni, ma hanno escluso invece il danno morale.
Fanpage.it ha contattato Marisa Perenzoni, l'avvocata che ha seguito la vicenda: "Il cane è stato ritenuto come una res, cioè una cosa, un oggetto. Per questo sono stati risarciti i danni patrimoniali ma non quelli morali. Questa è una sentenza è follia".
"Gastone paragonato a un anello o a una scarpa"
Gastone a causa di una patologia congenita alle zampe posteriori aveva sviluppato diversi problemi di deambulazione. La sua famiglia aveva quindi deciso di iniziare un percorso di cura con la speranza di farlo tornare in piedi. Le operazioni però non hanno avuto successo.
"È stato fatto un intervento errato – spiega l'avvocata – Al punto che è stato poi accertato che il cane non doveva essere operato, non doveva essere messo quel tipo di protesi perché il cane non aveva nessuna possibilità di tornare a camminare. È stato fatto un clamoroso errore veterinario e il cane ha avuto un'esistenza dolorosissima che poi lo ha condotto alla morte".
Con una sentenza lunga ben 45 pagine i giudici hanno riconosciuto le responsabilità dei veterinari e il danno provocato a Gastone che ha vissuto due anni di sofferenze, tuttavia hanno escluso ogni danno morale che in genere viene riconosciuto alla morte di un familiare o di una persona cara.
"Questa sentenza che potrebbe andare bene sul profilo della responsabilità e delle spese, che in realtà sono molte di più, perché la signora ha speso oltre di 30 mila euro solo di cure, ma non va bene rispetto al trattamento del cane che è stato paragonato a un oggetto, come se fosse un anello o una scarpa. Quindi ritengo che faremo impugnazione".
Perché i giudici non riconoscono i danni non patrimoniali
La sentenza del Tribunale civile di Trento però non è una sorpresa, come conferma l'avvocato Salvatore Cappai, civilista ed esperto in diritto degli animali: "La sentenza purtroppo segue l'indirizzo risalente e confermato dalle sentenze della Cassazione del 2008 denominate di San Martino. In queste pronunce si nega il diritto ad ottenere il danno non patrimoniale per la perdita di un animale domestico, e quindi anche per il ferimento o la riduzione della salute".
Nel 2008 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite pronunciandosi attraverso alcune tra le sentenze recenti in materia di risarcimento del danno ha considerato la morte di un animale d’affezione come un fastidio risibile, al pari della rottura del tacco della scarpa di una sposa, di un errato taglio di capelli, o di un disservizio in un ufficio pubblico.
"Questo pregiudizio – prosegue Cappai – è stato considerato dalle sentenze in discorso come un semplice fastidio, paragonato alla perdita di una partita della squadra del cuore o a una lunga attesa in aeroporto. Fortunatamente ci sono anche dei giudici che da questo indirizzo si discostano, e sono sempre di più, e attribuiscono importanza al legame tra persone e animali d'affezione e, di conseguenza, ritengono risarcibile la lesione dello stesso. Un legame ormai costituzionalmente garantito dopo la riforma dell'articolo 9".