Il maltrattamento e l'uccisione di animali in ambito domestico sono strumenti di violenza e controllo sulle persone del nucleo familiare, in particolare delle donne. Dai dati diffusi in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne manca però l'analisi di un fenomeno troppo spesso ignorato e di cui non conosciamo la dimensione perché non è mai stato indagato, eppure esiste.
Violenza sulle donne e maltrattamento animale
«I partner abusatori minacciano di ferire e uccidono gli animali domestici per instaurare un clima di controllo e di potere sulle vittime. Si tratta di una modalità predatoria molto efficace perché le donne non se ne vanno di casa per non lasciare l'animale in balia del partner abusante». A parlare è Francesca Sorcinelli, presidente di Link-Italia, associazione di promozione sociale che lavora per far conoscere il link, letteralmente il "collegamento" tra pericolosità sociale e maltrattamento animale.
Secondo questo concetto, ben noto alla comunità scientifica statunitense, le sevizie perpetrate in danno degli animali sono un campanello d'allarme di violenza umana intraspecifica, come l'abuso domestico, l’omicidio, il bullismo, la pedofilia e altri.
«Il maltrattamento di animali – spiega Sorcinelli – è uno specifico indicatore di pericolosità sociale. Se questi comportamenti devianti non incontrano l'argine di una risposta ambientale competente, che quindi le riconosca per quello che sono e le tratti con interventi terapici, psicologici, psichiatrici, ed educativi, allora si andrà verso una escalation».
L'escalation spesso si manifesta in casa. Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Istat, 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza vengono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Gli stupri sono commessi nel 62,7% dei casi dal partner.
La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita. Ma cosa succede quando gli uomini si assicurano di avere il controllo su uno dei membri della famiglia? Lo sa bene Sorcinelli che nel 2021 ha ispirato la Casa dei Buoni, la prima casa rifugio in Italia per fornire protezione a donne con minori e animali al seguito fondata dal nucleo antiviolenza della Polizia Locale. Si tratta della prima, e unica, casa rifugio Link gestita dall'associazione Volunteers Vs Violence in una località protetta della Provincia di Ferrara.
Le case rifugio per donne vittime di violenza con i loro animali
«Le donne abusate non se ne vanno se il loro animale non viene messo sotto protezione. In Italia, come sappiamo, non esistono strutture specifiche per la messa in protezione di donne con animali al seguito, se non la Casa dei Buoni», ricorda Sorcinelli.
In Italia esistono circa 450 Case rifugio attive, lo 0,15 ogni 10mila donne. E solo una di queste accoglie esplicitamente anche i loro animali. Queste strutture garantiscono protezione alle persone che hanno dovuto abbandonare la loro casa a causa della violenza del partner, ma le donne escluse da questo sistema si trovano a dover scegliere se entrare da sole, lasciando cani e gatti in pensioni a pagamento, o a familiari, se ne hanno. Molte però, una volta messe davanti alla scelta, decidono di tornare dai loro carnefici.
Ciò accade a causa del pregiudizio del sistema stesso che impedisce di vedere il profondo legame che si crea tra la persona abusata e il suo animale, speso percepito come un appiglio alla vita. Ma c'è anche un motivo strutturale: «Le case rifugio che non nascono per gestire animali – sottolinea l'esperta – non prendono gli animali perché non sono in grado di gestire un nucleo così complesso. Non bisogna forzare i protocolli delle case rifugio classiche perché si creerebbero dei disastri, è necessario invece creare delle nuove case rifugio Link con operatori specializzati».
Una donna adulta capace di intendere e di volere per essere inserita nel sistema di protezione deve dare il proprio consenso, e questo, per Sorcinelli, è l'obiettivo più difficile da raggiungere: «Gli operatori dei centri antiviolenza sono proprio le figure che fanno maturare alle persone consapevolezza della propria situazione, ma quando ci sono gli animali di mezzo, quel consenso non si sviluppa se non si garantisce una tutela a tutto il nucleo familiare».
In un paese che conta 19 milioni di cani e gatti nelle case degli italiani queste dinamiche non possono essere ignorate dagli operatori che si occupano del primo contatto con le vittime. «Rischiano di fraintendere – denuncia Sorcinelli – e si rischia la vittimizzazione secondaria, cioè la vittimizzazione del sistema che non è in grado di riconoscere l'abuso. Una situazione fin troppo comune quando gli animali sono parte della dinamica violenta».
Un caso che l'esperta conosce bene per avere seguito nel 2012 il caso di Olga*.
Il caso di Olga: dopo le violenze nessuno si è occupato del suo cane
Nel 2012 Olga si è rivolta a Link perché dopo anni di violenza da parte del marito aveva finalmente deciso di liberarsi del suo giogo. Dopo l'ultima violenza aveva quindi chiesto e ottenuto dall'autorità giudiziaria un provvedimento per allontanare il marito dalla casa coniugale in cui la donna viveva con i tre figli minorenni, un cane e un gatto.
Il marito però una notte è entrato di nascosto in casa, una villetta con un giardino, con l'obiettivo di vendicarsi: «Quella notte picchia la donna, e anche i figli. Alla fine il figlio più grande, di 14 anni, prende un vaso e lo spacca in testa al padre, fermandolo». Quando però arrivano le Forze dell'Ordine l'uomo si è già dileguato.
Da quel momento Olga e i suoi figli entrano nel sistema di protezione: non possono tornare a casa perché il marito ancora latitante, ma gli animali non possono andare con loro. «Il gatto viene affidato alla sorella della donna, mentre il cane, un San Bernardo di 9 anni, per molti giorni viene abbandonato a se stesso nel giardino della villetta». Quando Olga esce dall'ospedale è lei a portargli da mangiare e da bere, col rischio che il marito la aspetti lì nascosto da qualche parte. Nel 2012 quindi è intervenuta Link-Italia per consegnare il cane a una famiglia affidataria.
«Nessuno se ne prende carico – denuncia Sorcinelli – Chi si occupa delle persone pensa di non doversi occupare anche degli animali, mentre in realtà per una protezione efficace è necessario difendere tutto il nucleo familiare. L'animale però ancora non viene percepito come parte della famiglia, e questo compromette la vita di tutte le vittime».
*Nome di fantasia per proteggere l'identità della persona.