Uno studio condotto dall'Università Texas A&M-Corpus Christi (TAMU-CC), in collaborazione con la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), ha rivelato la presenza di tracce di farmaci umani, tra cui il noto fentanyl e altri oppioidi, nel grasso dei delfini tursiopi che vivono liberi nel Golfo del Messico.
La scoperta, pubblicata recentemente sulla rivista iScience, solleva molte preoccupazioni non solo per la salute dei mammiferi marini, ma anche per gli ecosistemi acquatici in generale e per le possibili ricadute sulla salute umana.
Farmaci umani in mare: una minaccia invisibile
«I farmaci sono sostanze usate per curare e prevenire malattie, ma il loro uso improprio può causare effetti nocivi, come dipendenza, resistenza agli antibiotici e, nei casi più estremi, mortalità», ha spiega Dara Orbach, biologa marina e autrice principale dello studio. I fentanyl è infatti un analgesico fino a 100 volte più potente della morfina ed è molto usato negli Stati Uniti, dove rappresenta una delle prime cause di overdose non solo negli USA, ma anche nel resto del mondo. Questo e altri farmaci, ormai riconosciuti come microinquinanti e contaminanti emergenti, rappresentano un problema relativamente recente e in crescita ovunque, non solo per la salute umana.
La loro presenza è stata ampiamente documentata negli ultimi anni non solo nei corsi d'acqua dolce, ma anche negli oceani, dove finiscono attraverso gli scarichi urbani e industriali. I delfini, al vertice della catena alimentare marina, come altri predatori sono tra gli animali più esposti a questi contaminanti, che si bioaccumulano nei loro tessuti attraverso la dieta basata soprattutto su pesci, molluschi e crostacei. I ricercatori hanno analizzato campioni di grasso prelevati da 89 delfini, di cui 83 vivi e 6 trovati morti. Tracce di diversi tipi di farmaci (inclusi sedativi e miorilassanti) sono state trovate nel 34% degli animali, con la presenza di fentanyl in 18 delfini vivi e in tutti quelli trovati senza vita.
Fentanyl nel grasso dei delfini, che effetto ha per gli animali?
Il fentanyl è ben noto per i suoi effetti devastanti sugli esseri umani e la sua presenza nei corpi delfini desta comprensibilmente molta preoccupazione. «Abbiamo trovato un delfino morto a Baffin Bay, in Texas, a un anno dal più grande sequestro di fentanyl liquido nella storia degli Stati Uniti, avvenuto nella contea vicina», ha sottolineato Orbach, aggiungendo che il problema potrebbe essere diffuso ormai da parecchio tempo: i campioni più vecchi raccolti nel 2013 rappresentano infatti il 40% dei casi emersi dallo studio, a riprova che la contaminazione potrebbe essere iniziata diversi anni fa.
I delfini, grazie al loro grasso ricco di lipidi immagazzinano facilmente i contaminanti e vengono spesso utilizzati come bioindicatori per monitorare lo stato di salute degli ecosistemi marini. Gli animali che vivono in aree ad alto rischio, come quelle colpite da sversamenti di petrolio, traffico marittimo o fioriture algali, presentano infatti spesso livelli più elevati di contaminazione. «I rischi di esposizione cronica ai farmaci per i mammiferi marini non sono ancora pienamente compresi – ha però aggiunto Orbach – Ma la loro presenza in tre diverse popolazioni di delfini nel Golfo del Messico evidenzia l'urgenza di studi su larga scala per identificare l'entità e le fonti di queste contaminazioni».
Un problema che riguarda non solo l'ambiente
La presenza di farmaci nei delfini tursiopi non è però solo una questione ambientale. Come sottolineano gli stessi autori, questi animali condividono con noi molti elementi della loro dieta, come pesci, molluschi e gamberi, suggerendo che queste e altre sostanze farmacologiche possano entrare nella catena alimentare e, potenzialmente, arrivare sulle nostre tavole e avere ripercussioni anche sulla salute umana. Per comprendere meglio questa minaccia silenziosa, i ricercatori invitano quindi a intensificare il monitoraggio dei contaminanti emergenti, in particolare nelle aree ad alta densità abitativa e nelle zone con importanti attività di pesca o acquacoltura.
«Dobbiamo agire proattivamente per proteggere non solo la fauna marina, ma anche gli ecosistemi dai quali dipendiamo», ha concluso Dara Orbach. Lo studio sui delfini del Golfo del Messico rappresenta quindi un elemento in più su una minaccia emergente e ancora tutta da quantificare. Già nei mesi scorsi, infatti, un altro studio aveva rilevato la presenza di cocaina e benzoilecgonina nei tessuti degli squali in Brasile. Le prove stanno iniziando quindi ad accumularsi come le sostante trovate nei tessuti di squali e delfini: ciò che riversiamo nei nostri mari non resta confinato sott'acqua, ma si inserisce nelle dinamiche ecologiche che uniscono tutte le forme di vita, noi compresi.