UN PROGETTO DI
video suggerito
video suggerito
26 Marzo 2025
12:13

Cani meticci e incroci di razze più comuni in Italia, l’etologo Bonanni: “Patrimonio che rischia di scomparire”

I cani 'originari' sono proprio i meticci, ovvero gli animali che ancora vivono liberi in Italia. Riuscire a distinguere le razze da cui alcuni soggetti possono essere derivati non è semplice e bisogna fare un lungo ragionamento legato alle diverse tipologie che esistono sui territori a seconda della loro storia evolutiva e della selezione operata dagli uomini. Ci siamo rivolti a Roberto Bonanni, biologo, etologo e ricercatore indipendente che da anni studia i branchi di "cani da villaggio"

Intervista a Dott. Roberto Bonanni
Biologo, etologo e ricercatore indipendente

Immagine

"Di che razza è?". E' una delle domande più comuni che si sentono porre le persone che vivono con un meticcio o che, di fronte a un cane libero, in tanti si pongono osservandolo e cercando di immaginare ‘cosa contenga' il suo DNA. Il dato di fatto è che la nostra mente è abituata a pensare ai cani solo come appartenenti, appunto, a una razza piuttosto che a un'altra. Ma gli incroci che vivono sul territorio italiano non sono tutti frutti di accoppiamenti tra cani che avevano un ‘pedigree' e, anzi, molti di loro sono figli di generazioni diverse che nel corso del tempo si sono accoppiate e che hanno dato vita a cani che hanno una loro morfologia e precipue caratteristiche.

Il discorso, in realtà, è molto complesso ma bisogna partire proprio da questo bias cognitivo che ci fa essere convinti che un randagio sia necessariamente il frutto di un accoppiamento avvenuto da cani che appartenevano a una razza precisa mentre, appunto, bisognerebbe capovolgere questa percezione e pensare che i cani liberi – in qualsiasi parte del mondo – sono loro gli avi dei cani che poi sono stati selezionati dall'essere umano.

Partiamo dunque da questa notizia per certi versi sorprendente: i cani meticci sono i "veri cani". Che cosa vuol dire? Che bisogna comprendere che all'origine di qualsiasi razza ci sono stati degli individui che non sono nati dalla selezione operata dalla nostra specie, che si sono evoluti insieme a noi e che hanno modificato i loro comportamenti in base alla vicinanza con l'uomo che nel tempo poi ha favorito determinate vocazioni e morfologie rispetto ad altre, fino poi ad arrivare alla selezione vera e propria che risale ai primi dell'Ottocento.

Premesso ciò, sul territorio italiano ci sono diverse tipologie di cani che possiamo distinguere, in linea di massima, in base alla loro storia individuale e alla distribuzione di determinati genotipi sul territorio. Prima di tutto però occorre saper ricostruire o provare a risalire alla storia singola e collettiva allo stesso tempo di questi animali. Perché un primo passo è sapere anche che tra quelli che sono in giro ci sono soggetti abbandonati, altri afferenti a qualcuno ma liberi di vagare (cd "cani padronali"), i randagi veri e propri – che sono animali che vivono sul territorio senza nessun umano di riferimento – e infine considerando anche i cosiddetti "ferali" o "semi ferali", ovvero quelli che con le persone non ci vogliono nemmeno avere a che fare, che si tengono a distanza dalle comunità umane e che si avvicinano solo per le risorse alimentari.

Chi sono "i cani da villaggio"

Immagine
Dingo australiano

Tutte queste tipologie possono essere racchiuse in una definizione: "Cani da villaggio". Roberto Bonanni, biologo, etologo e ricercatore indipendente, spiega così le differenze e l'origine dei cani che non solo in Italia ma in gran parte del mondo vivono in libertà, ricordando che stiamo parlando di almeno l'80% di tutta la popolazione canina sulla Terra: "Sono i soggetti che, pur essendo associati agli insediamenti umani ed essendone dipendenti, almeno in parte da alimenti di derivazione umana, sono liberi di muoversi e di riprodursi in assenza di controllo umano".

L'esperto, che da anni osserva i cani liberi e studia il loro comportamento, precisa anche che "è stato recentemente dimostrato che molte popolazioni di cani da villaggio sono geneticamente distinte dalle razze canine che sono, invece, popolazioni a riproduzione strettamente controllata dagli esseri umani. Ciò vuol dire che le frequenze geniche delle due popolazioni sono significativamente diverse come conseguenza del fatto che sono state sottoposte a pressioni selettive differenti nel corso dell’evoluzione; ci sono varianti genetiche che si riscontrano solo nei cani da villaggio e altre che si riscontrano solo nei cani di razza".

La popolazione dei cani da villaggio, come accennavamo nella descrizione fatta nel precedente capitolo, è piuttosto eterogenea: "Possono comprendere sia individui affiliati agli esseri umani che possono anche essere utilizzati come cani da lavoro – continua Bonanni –  sia individui randagi senza persone di riferimento, poco socializzati con gli esseri umani o non socializzati affatto. Questi ultimi vengono spesso detti “cani semi-selvatici”. Poi ci sono i cani selvatici veri e propri, come i dingo australiani, che vivono in ambienti naturali e che sono del tutto indipendenti dagli esseri umani dal punto di vista alimentare".

A seconda poi della zona dove questi cani si trovano, e ormai possiamo limitarci a parlare di solo determinate zone del Sud, del centro e in alcune regioni del Nord come la Toscana, possiamo poi avere un'idea di quali origini possano avere (cani da pastore, molossi, cani da guardiania, cani da caccia, etc.) e così provare a identificare tra le tipologie, e con più difficoltà tra le razze, chi possono ricordarci in base alle ipotetiche origini dei loro genitori, nonni e chissà quanti avi precedenti.

Cosa si intende per incroci?

Immagine
Branco di cani liberi

L'esperto poi dà una definizione su cosa significhi incrocio: "Si tratta di un termine generico che indica l’accoppiamento tra due cani appartenenti a due popolazioni geneticamente distinte (es. due razze diverse) ma può, ovviamente, riferirsi anche alla prole derivante da questo accoppiamento".

Un incrocio dunque è il frutto di due cani che appartengono a tipologie o razze differenti. E' una distinzione molto importante che può essere compresa con alcuni casi che possiamo ipotizzare. E' facile infatti dire che un meticcio è il frutto di un accoppiamento tra un Pastore Maremmano e un Golden Retrivier, ad esempio, ma invece per incrocio si intende anche un cane che nasce dall'incontro magari proprio tra un meticcio e un cane di razza o ancora – proprio per sottolineare la differenza tra razza e tipologia – tra un molossoide e un lupoide.

Chi è il cane meticcio?

La parola “meticcio” del resto, che è il modo colloquiale con cui si indicano sostanzialmente cani che non hanno una razza precisa con cui essere "etichettati", deriva dal latino mixtīcius che vuol dire appunto “mescolato”. A coniarla furono gli antichi Romani, che come Egizi, Greci o Persiani, erano soliti usare i cani durante le battaglie anche ma che si affiancavano di soggetti che fossero utili anche per la pastorizia e la guardiania.

"Quando si parla di meticci – spiega l'etologo – ci si riferisce, di solito, a cani che hanno antenati appartenenti ad almeno due popolazioni canine diverse, ad esempio due razze diverse e/o anche antenati appartenenti a una o più popolazioni di cani di villaggio. L’argomento è molto complesso poiché la maggior parte dei cani meticci risultano imparentati con molte razze canine ma ciò potrebbe anche essere dovuto ad incroci avvenuti prima del riconoscimento ufficiale delle razze stesse nel Diciannovesimo secolo".

Una selezione, dunque, che da parte nostra si è sempre più standardizzata a partire dagli albori del 1800 ma sin dall'antichità l'uomo ha incrociato individui delle varie tipologie che già esistevano ai tempi: dai piccoli catuli ai cani umbri, etruschi e salentini, fino ad arrivare al molosso d’Epiro, usato dai Greci come cane da pastore e da guardia. Ognuna di queste diverse geneologie di cani  si è sviluppata in aree geografiche differenti e gli animali, non dimentichiamolo, hanno seguito gli umani nei loro spostamenti in tutto il mondo: Oriente, Europa, Americhe e fino alla Nuova Guinea.

"Inoltre – continua Bonanni – i cani da villaggio possono incrociarsi con i cani di razza o, più probabilmente, nel corso della loro evoluzione si sono incrociati con gli antenati degli attuali cani di razza. Recentemente è stata proposta una distinzione tra cani di villaggio “indigeni” che hanno poche varianti genetiche derivanti da antenati di razza e cani da villaggio “meticci” che ne hanno molte di più. Occorre, però, sottolineare che, a differenza dei cani di razza, i cani meticci costituiscono una popolazione aperta, ovvero non isolata dalle altre a livello riproduttivo per volere umano. In questo senso, la popolazione dei cani meticci è diversa dalle cosiddette razze ‘crossbred' che sono delle razze canine ottenute facendo accoppiare tra loro cani appartenenti a razze differenti". 

Per comprendere bene le origini del "cane dei cani", ovvero il meticcio, ecco il video che abbiamo realizzato su Kodami per la nostra serie "Che razza di storia" in cui l'istruttore cinofilo Luca Spennacchio spiega le origini di tutti gli incroci che, ancora oggi, esistono al mondo:

Video thumbnail

Quali sono le razze che si sono incrociate più comuni in Italia?

Immagine
Un meticcio maculato

E' difficile e scorretto dare una risposta univoca a questa domanda. Come si sarà già compreso da quanto scritto, l'origine dei cani dipende da tanti fattori. Sicuramente si può pensare a una distinzione per tipologie, ovvero distinguere sul nostro territorio varietà diverse come molossoidi, cani da pastore, levrieroidi o lupoidi.

Si tratta, semplicemente, di ricordare ancora una volta che i cani hanno affiancato gli uomini da sempre e che a seconda poi dello stanziamento delle comunità umane sono stati selezionati per l'uso che ne veniva fatto (cani da guardiania, da pastore, da caccia, etc.) e che, di conseguenza, ci siano poi stati soggetti che si sono riprodotti a loro volta senza la nostra interferenza.

Come spiega Bonanni, infatti "la parentela tra i meticci e le razze si può rilevare solo tramite studi genetici e non ci sono studi di questo tipo su larga scala e in tutta Italia che permettano di rispondere alla domanda. Se parliamo di razze, ci sono varie tipologie da conduzione originarie del Nord (es. Pastore della Lessinia, Cane Luvin, Pastore Bergamasco ecc) e altre da guardiania tipiche del Centro-sud (Pastore Abruzzese, Pastore della Sila ecc) ma non si conoscono censimenti che riportino la distribuzione di questi cani su tutto il territorio italiano".

I meticci sul territorio italiano: quali sono le differenze tra Nord e Sud del Paese

Immagine
Un Pastore Maremmano Abruzzese

Sud, Centro o Nord, dunque, l'unica ipotesi che si può fare è pensare alle razze tipiche di un territorio e ragionare eventualmente sulla morfologia, ovvero sull'estetica del cane per ipotizzare una vicinanza genetica. Facciamo qualche esempio, così da capire quanto è difficile poter fare una distinzione netta tra le varie aree ma potendo almeno identificare delle eventuali origini a seconda del territorio.

Rispetto al centro dell'Italia non si può non pensare all'Abruzzo, territorio in cui sono stati selezionati dei cani da pastore unici al mondo: i Pastori Maremmani Abruzzesi. In quelle zone è molto facile incontrare animali liberi simili a questa razza, frutto di accoppiamenti non controllati. In Toscana o nelle Marche, dove si pratica ancora con frequenza l'attività venatoria, sarà più facile notare individui che ricordano braccoidi, cani da seguita, cani da riporto e altre tipologie di cani da caccia. Nel Sud dell'Italia anche si può fare una distinzione sulle razze più presenti e in Sicilia, ad esempio, in determinate zone come nell'etneo si trovano cani che hanno sembianze che ricordano il Cirneco dell'Etna o cani dalla morfologia snella e maculata che potrebbero essere incroci di cani da pastore, molossi e levrieroidi.

Come si comportano i cani liberi?

Immagine

Molti dei cani senza riferimento umano che vivono in Italia e in tante parti del Pianeta, vivono in branchi ma nel nostro paese sono soprattutto gli animali non socializzati con gli esseri umani a formare branch,i probabilmente perché ricevono meno interferenze da questi ultimi. "Anche se i processi che possono portare alla formazione di branchi sono molto variabili – sottolinea l'esperto – spesso i gruppi di cani vengono costituiti attraverso il reclutamento dei nuovi nati e quindi comprendono, in buona parte, individui imparentati. Questi gruppi sociali presentano un’organizzazione molto complessa e, in effetti, una delle cose che mi hanno colpito di più osservandoli è stata la loro elevata coesione sociale: i membri di un branco possono sviluppare dei legami sociali forti che li portano a rimanere insieme anche per molti anni".

C'è chi resta ma c'è anche chi se ne va e anche in questo Bonanni, in anni di osservazione, ha notato differenze nel comportamento a seconda dei singoli individui: "Una certa percentuale può lasciare il branco natale, di solito dopo aver raggiunto la maturità sessuale, per unirsi ad altri branchi; questo comportamento di dispersione è molto importante per garantire il flusso genico tra gruppi e tra popolazioni diverse. I branchi che abbiamo studiato presentano una struttura sociale gerarchica basata sull’anzianità, in parte simile a quella dei lupi, nel senso che i giovani tendono a sottomettersi ai cani più anziani, di solito affidandosi alla guida di quelli più tolleranti socialmente. Abbiamo riscontrato che la struttura sociale del branco e i legami sociali tra i compagni di gruppo promuovono la coordinazione nei movimenti collettivi e la cooperazione nella difesa delle risorse, come il cibo e le tane dei cuccioli, contro branchi rivali e potenziali predatori, nel senso che i cani tendono a seguire i movimenti dei loro affiliati più stretti e ad agire insieme ad essi quando svolgono queste attività".

Bonanni e i suoi colleghi hanno anche osservato che "le interazioni competitive, sia quelle tra compagni di branco che tra cani appartenenti a gruppi differenti, sono di solito ritualizzate e che i conflitti tra compagni di gruppo vengono spesso seguiti da riconciliazione".

Il numero dei cani su un territorio poi dipende dalla frequenza riproduttiva che ha a che fare con la socializzazione tra gli animali: "Le relazioni sociali tra compagni di gruppo hanno la funzione di regolare le attività riproduttive: combinando dati comportamentali e genetici, abbiamo riscontrato che la maggior parte degli accoppiamenti avvengono tra compagni di branco, particolarmente tra quelli che hanno un legame sociale stretto e che non sono imparentati tra loro".

Ed è proprio la tendenza dei cani liberi ad evitare di accoppiarsi con i parenti stretti potrebbe contribuire a spiegare perché i soggetti di entrambi i sessi sono attratti soprattutto da partner sessuali che occupano i vertici della gerarchia basata sull’anzianità, in quanto i giovani membri del branco hanno una buona probabilità di essere i loro figli. "Una delle conseguenze di queste strategie riproduttive – precisa Bonanni – è che le popolazioni di cani di villaggio sono caratterizzati da indici di consanguineità molto più bassi di quelli riscontrati nelle razze canine. Infine, sottolineo che tutte queste competenze sociali sono state riscontrate in cani non socializzati con gli esseri umani e quindi mai educati da essi, il ché supporta l’idea che si siano evoluti per un tempo significativo in assenza di uno stretto controllo umano".

Non tutti i cani liberi hanno bisogno del nostro intervento

Immagine

Al dottor Bonanni, poi, abbiamo posto una domanda molto delicata perché in tanti pensano che i cani liberi vadano necessariamente ‘salvati'. E' difficile, infatti, far comprendere alle persone che sono amanti degli animali che prelevare soggetti che non hanno alcuna affiliazione nei confronti degli esseri umani e che vivrebbero serenamente sul territorio senza nemmeno intromettersi nella vita delle comunità locali non hanno, appunto, bisogno di essere prelevati. Questi animali, poi, inseriti in contesti urbanizzati difficilmente troverano una dimensione in cui poter vivere una vita dignitosa. Spesso, infatti, un cane con questa storia alle spalle finisce in famiglie che loro malgrado non riescono a gestire il disagio e lo stress e – nella maggioranza dei casi – ‘Fido' finisce la sua esistenza in canile.

"Si tratta di una problematica molto complessa – riflette Bonanni – Una delle cose che si possono fare è cercare di convincere la popolazione umana che non tutti i cani randagi che vivono sul nostro territorio sono cani abbandonati. Anzi è probabile che la maggior parte non lo siano affatto ma siano cani nati allo stato libero. Il fatto che i cani di villaggio siano una popolazione geneticamente distinta rispetto ai cani a riproduzione controllata dagli esseri umani è compatibile con almeno due ipotesi: la prima è che i cani di villaggio attuali siano i diretti discendenti di cani primitivi che si sono auto-addomesticati associandosi liberamente agli esseri umani; la seconda è che i cani di villaggio attuali discendano da cani che sono sfuggiti al controllo umano e che si siano riprodotti liberamente per un numero di generazioni sufficientemente elevato da differenziarsi geneticamente dai cani controllati".

In entrambi i casi, secondo l'etologo, va riconosciuto che "si tratta di cani adattati alla vita libera e non cani specificatamente selezionati per vivere nelle nostre case. In una percentuale elevata di casi i cani così che vengono adottati sviluppano gravi disturbi di ansia indicativi di uno stato di basso benessere".

Ultima considerazione è anche che noi esseri umani tendiamo a non riconoscere nel cane una sua autonomia decisionale indipendentemente dal nostro intervento. "Penso che non dovremmo mai dimenticare le notevoli capacità di adattamento alla vita libera dei cani di villaggio – sottolinea Bonanni – Basti pensare a quelli che sopravvivono intorno alla centrale nucleare di Chernobyl, in un ambiente ancora fortemente inquinato da radiazioni ionizzanti e metalli pesanti. Pensiamo anche al dingo australiano che, molto probabilmente, discende dai cani di villaggio del Sud-Est Asiatico, e che si è adattato alla vita in ambienti naturali tanto diversificati che vanno da aree semi-desertiche all’alta montagna".

Perché è importante preservare il patrimonio genetico dei cani liberi

Immagine

Abbiamo rivolto questa domanda al dottor Bonanni, per riuscire a comprendere l'importanza sul nostro territorio nazionale dell'esistenza ancora dei cani liberi. "Le ragioni sono davvero innumerevoli. Ad esempio, perché questi cani hanno un elevato valore scientifico, biologico, storico e culturale. Le razze canine prese nel loro insieme non sono rappresentative della diversità biologica del cane domestico perché i cani liberi (di villaggio e selvatici) sono un qualcosa di diverso. I cani di villaggio possiedono un livello di diversità genetica superiore a quello dei cani di razza e questo può permettere loro di adattarsi ad una maggiore varietà di condizioni ambientali e di far fronte ad una maggiore varietà di agenti patogeni. Alcuni studiosi, cosa molto rilevante, hanno suggerito che si potrebbe cercare di aumentare la resistenza ad alcuni tipi di malattie nei cani di razza permettendo loro di incrociarsi con i cani di villaggio".

Bonanni ritorna anche sul processo di domesticazione, ovvero sul ‘mistero' ancora non risolto che racchiude il motivo per cui cane e uomo sono diventati inseparabili nella loro storia evolutiva. "Per vari motivi, non ritengo che sia possibile comprendere il processo di domesticazione del cane e la sua coevoluzione con gli esseri umani senza studiare i cani liberi. Innanzitutto, oggi molti studiosi ritengono che i cani si siano auto-addomesticati adattandosi in modo naturale agli ambienti antropogenici e, anche se questo tema è dibattuto, ci sono evidenze genetiche che i cani di villaggio costituiscono un gruppo filogeneticamente più antico rispetto ai cani di razza. Quindi, è plausibile che le forme più ancestrali di relazione tra cani ed esseri umani fossero basate su una libera associazione tra le due specie. Infatti, ancora oggi, presso moltissime culture umane diverse da quelle occidentali, i cani vengono lasciati liberi di muoversi e di riprodursi, al punto che i cani liberi rappresentano la maggior parte dei cani del mondo".

I cani liberi, oltretutto, sono importanti anche per comprendere meglio il comportamento del proprio amico a quattrozampe: "In definitiva – conclude l'esperto – non ritengo che sia possibile giungere ad una piena comprensione del comportamento del cane e delle sue esigenze psicologiche senza studiare i cani liberi poiché solo questi ultimi sono pienamente responsabili delle loro azioni".

Quali pericoli corrono i cani liberi. Il rischio della sterilizzazione a tappeto

Immagine

"Purtroppo, ho il timore che, in Italia e in altri paesi occidentali, i cani di villaggio possano estinguersi nel prossimo futuro e che questo potrebbe avvenire prima ancora che gli esseri umani abbiano acquisito una piena conoscenza dello loro biologia, ecologia ed etologia a causa della visione fortemente negativa del randagismo canino (e felino) che è molto diffusa in Occidente". Spiega il ricercatore che fa un riferimento chiaro all'attuale legislazione nonché alla percezione che le persone, anche quelle che si interessano del benessere dei cani liberi, hanno oggi nel nostro Paese. "In realtà, credo che l’avversione verso il randagismo sia almeno in parte legata alla mancanza di conoscenza. Ad esempio, in Italia la Legge 281/91 in materia di animali d’affezione si propone esplicitamente di prevenire il randagismo attraverso il controllo delle nascite; in base alla mia esperienza, tale controllo viene, in pratica, attuato mediante programmi di sterilizzazione a tappeto dei cani e dei gatti liberi, senza un criterio preciso".

Benché questa legge abbia rappresentato un passaggio storico verso una politica di non soppressione degli animali d’affezione da allora molte cose nello stato di conoscenza del cane sono cambiate in Italia e nel mondo. "Nello specifico, a partire dalla seconda metà degli anni novanta ad oggi sono stati pubblicati più studi scientifici sui cani di quanti non fossero stati pubblicati in tutta la storia precedente, e molti di questi studi riguardano proprio i cani liberi. Di conseguenza, non è pensabile – conclude Bonanni – che una legge del 1991 possa essere adeguata allo scopo di tutelare gli animali d’affezione. Preservare i cani liberi è estremamente importante (così come pure i gatti liberi) e penso che sia necessario revisionare la Legge del 1991 in modo che riconosca esplicitamente l’esistenza dei cani di villaggio, il loro diritto a vivere liberi e, soprattutto, ponga esplicitamente un limite massimo alla quantità di cani (e gatti) liberi che si possono sterilizzare".

Bibliografia

Bonanni et al. 2017. Age-graded dominance hierarchies and social tolerance in packs of free-ranging dogs. Behav. Ecol. 28, 1004-1020.

Boyko RH, Boyko AR. 2014. Dog conservation and the population genetic structure of dogs. In: Gompper ME editor. Free-ranging dogs and wildlife conservation. Oxford University Press, Oxford. p. 185-210.

Cafazzo, Bonanni et al. 2014. Social variables affecting mate preferences, compulation and reproductive outcome in a pack of free-ranging dogs. PLoS ONE 9, e98594.

Coutinho-Lima et al. 2024. Multiple ancestries and shared gene flow among modern livestock guarding dogs. iScience 27, 110396.

Morrill et al. 2022. Ancestry-inclusive dog genomics challenges popular breed stereotypes. Science 376, eabk0639.

Natoli et al. 2021. Genetic inference of the mating system of free-ranging domestic dogs. Behavioral Ecology 32, 646-656.

Pilot et al. 2015. On the origin of mongrels: evolutionary history of free-breeding dogs in Eurasia. Proc R Soc Lond B. 282: 20152189.

Pilot et al. 2016. Diversifying selection between pure-breed and free-breeding dogs inferred from genome-wide SNP analysis. G3 (Bethesda). 6: 2285-2298.

Shannon et al. 2015. Genetic structure in village dogs reveals a Central Asian domestication origin. PNAS. 112: 13639-13644.

Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social
api url views