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25 Febbraio 2025
17:53

Gli animali considerati brutti e pericolosi vengono discriminati dalla ricerca: a loro vanno meno fondi

Secondo un nuovo studio condotto dalle Università di Hong Kong e Firenze gli animali considerati "brutti" e "pericolosi" vengono discriminati dalla ricerca scientifica. Quasi il 94% delle specie a diretto rischio di estinzione non ha ricevuto alcun sostegno, e in parte è dovuto al "pretty privilege" animale.

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Il pretty privilege esiste anche nella ricerca scientifica sugli animali. Secondo un nuovo studio condotto dalle Università di Hong Kong e Firenze esistono profondi squilibri nella distribuzione squilibrata dei fondi globali destinati alla biodiversità. Per la prima volta una delle ragioni è stata individuata nel fascino esercitato dagli animali oggetto di studio.

Il pretty privilege e gli animali carismatici: ai "brutti" meno fondi

Il pretty privilege è un concetto recente nato negli Stati Uniti e utilizzato per indicare i vantaggi di cui godono le persone attraenti, uomini o donne che siano, che rispondono ai canoni estetici standardizzati. Questa nozione è mutuata dal white privilege elaborato negli anni 80 dalla studiosa e attivista femminista Peggy McIntosh per spiegare i privilegi di cui tipicamente godono i maschi bianchi nella società occidentale.

Inconsapevolmente e in misura variabile usiamo però questo bias cognitivo per interpretare tutto il mondo intorno a noi, e non solo all'interno delle relazioni con i nostri conspecifici. Anche se gli animali non possono essere incasellati nelle medesime categorie sociali di bellezza esistenti per l'essere umano – e ovviamente non ottengono benefici economici e sociali in ragione del loro aspetto estetico – è stato dimostrato che esistono alcune specie che più di altre sono capaci di attirare l'attenzione delle persone, e quindi anche di ricevere maggiori fondi destinati alla loro conservazione. Nel linguaggio comune vengono definiti animali carismatici, e il rappresentante più noto è tipicamente il delfino, diventato proprio per questo il volto di campagne e progetti, ma sono ascrivibili a questa categoria anche tartarughe marine, elefanti e molti altri.

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Animali considerati affascinanti e amici dell'uomo hanno maggiori probabilità di venire studiati e protetti rispetto a quelli "brutti" associati all'idea di pericolo come pipistrelli, serpenti, lucertole, e moltissimi insetti, ad eccezione delle farfalle.

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Secondo lo studio pubblicato su PNAS, i finanziamenti mondiali per la conservazione della biodiversità animale e vegetale sono indirizzati solo a un piccolo numero di grandi specie, mentre quasi il 94% delle specie a diretto rischio di estinzione non ha ricevuto alcun sostegno. Ad attirare più attenzione sono gli animali iconici, mentre a farne le spese sono specie meno affascinanti ma fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi, tra cui anfibi, invertebrati, piante e funghi.

Non deve stupire, dal tempo sempre siamo abituati ad associare ciò che troviamo "bello" a ciò che è "buono", e come tale meritevole di attenzione e tutela. Questa idea risale all'antica Grecia e al concetto di kalòs kai agathòs, secondo cui la perfezione fisica coincide con quella morale. Per cui il delfino, grazie al suo "sorriso" iconico è stato percepito come indicatore positivo della biodiversità marina e oggi è diventato una potente attrazione per l'ecoturistico. Al contrario, il pipistrello per le sue abitudini notturne e la predilezione per gli ambienti scuri e umidi da sempre è associato alla sporcizia e alla malattia, tanto da essere associato alle prime leggende sui vampiri.

Stefano Cannicci, docente di Zoologia dell’Università di Firenze, spiega: "I dati dicono che tra i vertebrati più a rischio di estinzione ci sono gli anfibi (salamandre e rane), ma i fondi a loro dedicati sono meno del 2% del totale. In generale, gli animali che noi consideriamo ‘brutti’ o pericolosi (pipistrelli, serpenti, lucertole, e moltissimi insetti escluse le farfalle) sono scarsissimamente finanziati in termine di conservazione".

Lo studio denuncia una distribuzione squilibrata dei fondi

Lo studio internazionale condotto dalle Università di Hong Kong e Firenze è il primo di questo genere e per la prima volta denuncia una distribuzione squilibrata dei fondi globali, sia pubblici che privati, destinati a salvaguardare l’esistenza delle varie specie. La ricerca è stata in parte sostenuta dal centro nazionale National Biodiversity Future Center, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca con fondi dell’Unione Europea nell’ambito del programma Next Generation EU (PNRR).

"Abbiamo analizzato – spiegato Cannicci – 14.566 progetti di conservazione che abbracciano un periodo di 25 anni, dal 1992 al 2016, confrontando l’importo dei finanziamenti per specie con il loro status nella ‘lista rossa' delle specie minacciate stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), istituzione che valuta i livelli di rischio di estinzione e di cui faccio parte".

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"Per la prima volta – prosegue lo zoologo dell’Ateneo fiorentino – si è analizzato lo sforzo mondiale di conservazione delle specie e degli ambienti andando a studiare la distribuzione dei fondi dedicati alla conservazione, e non contando il numero di articoli pubblicati: dei 1.963 miliardi di dollari assegnati complessivamente dai progetti, l’82,9% è stato destinato a vertebrati. Piante e invertebrati hanno rappresentato ciascuno il 6,6% dei finanziamenti, mentre funghi e alghe sono appena rappresentati, con meno dello 0,2% per ciascuna delle specie".

Anche all’interno di molti dei gruppi maggiormente finanziati esistono grosse disparità: i mammiferi di grossa taglia, che rappresentano solo un terzo dei mammiferi minacciati, secondo l’IUCN, hanno ricevuto l’86% dei finanziamenti.

Una grossa percentuale dei fondi analizzati riguarda il più ricco e importante programma di fondi per la conservazione europeo, quello dei progetti LIFE, che in realtà sono la spina dorsale dei fondi per la conservazione delle specie italiane, e che quindi ci riguarda direttamente.

"Investire i fondi sulla conservazione di poche specie non preserva gli ecosistemi che li supportano: che senso ha conservare un animale ma non gli animali o le piante che mangiano?” si domanda il ricercatore, che conclude: “Per affrontare in modo efficace la sfida della tutela della biodiversità gli autori dello studio propongono che siano destinate complessivamente più risorse alla conservazione, ma anche che le organizzazioni governative e non governative lavorino per riallineare, sulla base delle conoscenze scientifiche, le priorità di finanziamento verso le specie a reale rischio di estinzione e attualmente trascurate".

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