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Meglio dell’Italia fanno Indonesia, Sudafrica e Thailandia in materia di benessere degli animali e aver inserito la loro tutela nella nostra Costituzione, ad oggi, non ha prodotto alcun cambiamento dal punto di vista dell'attività politica e legislativa.
E' questo, in sintesi, ciò che emerge dal report di Legambiente dedicato proprio ad un'analisi se vi siano state conseguenze positive a distanza di quasi tre anni dalla modifica costituzionale avvenuta il 22 marzo del 2022 in cui è stato aggiunto un nuovo passaggio nel dettato dell'articolo 9 che ora così recita:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
Il risultato dell'indagine di Legambiente è abbastanza sconfortante, mettendo in evidenza che l'attività legislativa in Italia non ha proprio tenuto conto di quanto stabilito nella nostra Carta fondante: quasi l’80% degli atti approvati, infatti, non rispetta il principio costituzionale richiamato dall’art.9 e solo il 20,5% è in linea con la riforma del 2022.
Andando poi a vedere di quali proposte si parla, l'assenza di risultati abbraccia tutte le specie, compresi gli animali domestici. Le proposte di legge che riguardano questi ultimi, infatti, sebbene siano decisamente più al centro dell'attività politica, sono rimaste bloccate e non si è andati avanti con l'iter necessario per arrivare poi effettivamente a essere discusse in Parlamento. Gli animali selvatici invece rimangono proprio ai margini, tanto che ancora nel nostro Paese il bracconaggio è punito solo con un’ammenda. "Meglio dell’Italia, fanno Indonesia, Sudafrica e Thailandia, dove si va dai 12 ai 40 anni di carcere per il delitto di bracconaggio", specificano nel report.
I numeri, le proposte e cosa emerge: addirittura leggi peggiorative nonostante il dettato costituzionale
L'associazione ha scandagliato le banche dati di Camera e Senato dal 12 febbraio 2022 al 31 gennaio 2024, analizzando così l'interesse alla tematica da parte di due governi, ovvero quello il cui presidente del Consiglio era Mario Draghi e l'attuale compagine diretta da Giorgia Meloni. Nell'analisi rientrano però anche le proposte portate avanti dai singoli deputati e senatori, dai Gruppi parlamentari, le iniziative di legge popolare o anche le iniziative legislative dei Consigli regionali.
Fatti i conti, la conclusione è una fotografia davvero poco degna di un Paese che ha addirittura cambiato la sua Costituzione per il benessere degli animali: "Su 617 atti legislativi definitivamente approvati da metà febbraio 2022 al 31 gennaio 2024, sono 91, appena il 14,75%, quelli in cui si parla di animali".
Ma ciò che emerge è pure che nell'80% di questi 91 il principio costituzionale non è stato proprio contemplato e addirittura nel 12,33% dei casi si è andati "contro" ciò che è stato sancito, peggiorando la tutela ovvero consentendo maggiore margine d'azione che non tiene conto del benessere delle altre creature viventi. Spiegano da Legambiente: "Solo il 20,55% degli atti approvati è andato nella direzione indicata dall’art. 9 della Costituzione".
Come esempio di un netto peggioramento avvenuto in tal senso, viene citata la legge di bilancio del 2022, nota nelle cronache anche come ‘legge far west‘ "che ha previsto la caccia in parchi, aree protette e zone urbane" e la recente legge di bilancio del 2024 "che ha aumentato i rischi di caccia a specie in cattivo stato di conservazione e in periodi di migrazione".
Tra Draghi e Meloni, però, chi ha agito meglio? Si tratta di una ‘gara' molto poco edificante in realtà, ovvero serve a identificare chi ‘ha fatto meno peggio' e l’analisi di Legambiente fa finire sul gradino più alto del podio il governo Draghi che "in 8 mesi ha approvato il 40% di atti legislativi migliorativi per la tutela degli animali, il 60% privi di variazione dello status quo e nessun atto peggiorativo. Il governo Meloni (in 24 mesi) ha approvato il 13,21% di atti legislativi migliorativi, il 69,81% senza variazione dello status quo e ben il 16,98% peggiorativi per la tutela degli animali".
Il focus sul bracconaggio e il rischio per le specie selvatiche
Gli animali selvatici, dunque, sono "invece più quelli ‘sotto attacco' a causa del bracconaggio e ancora privi di un’efficace e proporzionata tutela penale, a partire dalle specie protette". Legambiente chiarisce questo aspetto sempre con numeri e dati alla mano. "Nella Penisola la più grave fattispecie di reato di bracconaggio prevista dalla normativa vigente, ossia l’uccisione dell’Orso bruno marsicano, prevede un’ammenda da 4mila a 10mila euro … Per tutte le altre specie animali protette, a chi commette bracconaggio in Italia, lo Stato “minaccia”, al massimo, ammende da 1.000 e 2.000 euro".
La stoccata finale arriva poi con una chiosa che serve a ricordare che ci sono paesi che nella percezione comune sembrano apparire meno "civili" dell'Italia ma che invece hanno già provveduto a tutelare le specie selvatiche meglio di come avviene nel Belpaese: "L’Indonesia per bracconaggio prevede condanne fino a 12 anni di pena detentiva, il Sudafrica fino a 29 anni di reclusione e la Thailandia addirittura fino a 40 anni di carcere".
Vero è, c'è da dirlo, che in quei paesi gli animali selvatici hanno subito talmente tanto la presenza dell'uomo che solo l'aumento delle pene poteva far sperare che animali come elefanti, leoni e altre specie perennemente cacciate, o addirittura uccise per puro piacere come avviene per la caccia al trofeo o il commercio di avorio, potesse avere un freno. Ma il focus sull'orso marsicano serve proprio a comprendere che il peso specifico dato a un animale che vive solo in Italia è davvero poco da parte di chi, appunto, dovrebbe rispettare e far rispettare quanto stabilisce la nostra Costituzione. Ricordiamo che di questa specie ì sono rimasti circa 50 individui, indicati dall'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) “in pericolo critico di estinzione”.