Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca come 47° Presidente degli Stati Uniti potrebbe compromettere la biodiversità in maniera irreversibile, e a farne le spese non saranno solo le specie animali, ma anche gli esseri umani, un "effetto farfalla" che di cui la scienza sta scoprendo la portata negli ultimi anni.
Lo spoglio non è ancora concluso, ma sino a ora Trump ha raggiunto l'obiettivo di conquistare 270 grandi elettori assicurandosi così una vittoria netta e la maggioranza dei seggi al Senato.
Rispetto al 2021 quando concluse il suo primo mandato, i dossier che attendono il neo presidente alla Casa Bianca sono decisamente aumentati, e uno riguarda l'Endangered Species Act, il testo che stabilisce le misure di protezione per fauna selvatica e piante a rischio. Si tratta di un testo fondamentale per la gestione delle specie minacciate che negli Statu Uniti attua anche le disposizioni della Cites, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione.
Nel 2020 Trump cancellò le tutele previste per un gran numero di specie arrivando anche a snellire la procedura per eliminare la protezione anche per gli animali rimanenti, mentre nel 2024 Biden decise di ripristinarle. Adesso si teme un nuovo passo indietro.
I precedenti di Trump: come ha cambiato la gestione delle specie protette
Trump spostò le competenze che l'Endangered Species Act delegava al governo federale ai singoli Stati, dando a ognuno di essi molta libertà nel gestire la fauna e gli habitat. Quello dell'autonomia dal governo centrale è un mito fondante degli Stati Uniti, ancora ben radicato nelle comunità che vivono nella periferia americana e che Trump ha saputo sfruttare durante a sua campagna elettorale. A portare alla vittoria Trump è stata proprio una fisionomia politica e culturale ben definita, molto più rispetto alla sua avversaria Kamala Harris.
Trump vuole offrirsi come portatore dei valori del cittadino medio che vive lontano dalle grandi città, nell'America rurale, e lo ha dichiarato nel discorso d'insediamento prima ancora dell'arrivo dei risultati ufficiali: «Vorrei ricordare questo giorno come il giorno in cui il popolo ha ripreso il controllo del Paese». Quando ci si chiede come ha fatto Trump a vincere le elezioni, e in maniera così clamorosa, possiamo ipotizzare che sia stato anche perché è riuscito a parlare agli elettori che vivono in contesti rurali.
Per queste persone è difficile accettare le politiche di conversione green proposte da Biden: agricoltori e allevatori considerano da sempre la fauna selvatica come una minaccia alle proprie attività. Mettere al centro questa economia, a danno di lupi e altri grandi carnivori, ha consentito a Trump di fare presa in maniera trasversale sui cittadini, a prescindere da etnia e sesso.
Nell'identikit che Trump ha fornito agli elettori in questi anni rientra anche il profilo del negazionista del clima. Solo pochi giorni fa, durante un comizio nell'Iowa, aveva fatto sapere che non destinerà destinati al fondo globale per ridurre le emissioni i 3 miliardi di dollari promessi da Biden. Il tycoon ha fatto dello smantellamento degli investimenti green voluti dall'amministrazione precedente un caposaldo della propria campagna elettorale. E c'è da credergli considerati i suoi precedenti.
Le proteste degli ambientalisti durante la prima presidenza Trump
A fare le spese di questa politica durante il primo mandato sono state le farfalle monarca, l'allocco maculato americano, e altri animali a rischio che oltre a vedersi privati delle tutele hanno anche sperimentato la distruzione dei loro habitat. Per questo negli anni le ong ambientaliste sono entrate nel dibattito pubblico come mai prima. Lo ha fatto il Center for Biological Diversity, una delle più influenti negli Stati Uniti, che nel 2020 decise addirittura di denunciare Trump: «Nessun altro presidente ha utilizzato i poteri esecutivi per incitare altri a violare le leggi ambientali come l'Endangered Species Act, quindi abbiamo adottato misure senza precedenti». L'amministrazione Biden ha ripristinato molte delle tutele cancellate, ma il timore è che ora si faccia nuovamente un passo indietro.
«La presidenza di Trump incontrerà una resistenza senza precedenti – ha dichiarato in queste ore Kierán Suckling, direttore esecutivo del Center for Biological Diversity – Trump 2.0 sperimenterà il doppio della lotta da parte dei guardiani del nostro Pianeta, della fauna selvatica e dei diritti umani fondamentali […]. La nostra lotta riguarda la libertà. Non ci fermeremo finché le persone in tutto il paese non avranno potere sui propri corpi, le comunità emarginate non saranno libere dagli attacchi e ogni animale in pericolo non sarà libero di prosperare».
Per Suckling proteggere la natura significa proteggere le persone che la abitano. E la scienza è dalla sua parte.
Salvare la natura per salvare le persone
Gli altri animali non sono i soli che rischiano di pagare un conto salato per le politiche antropocentriche di Trump. Ridurre gli habitat ed eliminare specie ritenute dannose per le attività umane sono azioni che hanno un costo per tutti, anche per la nostra specie. La ricchezza in termini di biodiversità animale e vegetale fornisce ai cittadini preziosi servizi ecosistemici, cioè quei servizi messi a disposizione delle persone dai sistemi naturali. L'esempio preferito dagli economisti ambientali è quello della foresta-climatizzatore, secondo cui le persone che vivono vicino a un'ampia area verde, come un parco urbano in una grande città, accendono di meno il climatizzatore nei mesi caldi, con conseguente risparmio economico e minore inquinamento.
L'esistenza dei servizi ecosistemici è nota da tempo, nonostante ciò la tutela della natura resta sempre ai margini del dibattito economico e politico, soprattutto perché è quasi impossibile calcolarne il valore esatto. A darci qualche informazione in più sono le indagini dei sistemi sanitari: recentemente la scienza è riuscita a stabilire un legame diretto tra la decimazione di una specie e l'impatto sulla salute umana.
Lo scorso settembre uno studio pubblicato su Science ha attestato come la drastica riduzione dei pipistrelli in Nord America avesse provocato un aumento delle morti tra i bambini. Nella contea di Larson, in Nord Dakota, è stato incrementato l'uso di insetticidi fino al 31% per compensare la perdita del controllo naturale dei parassiti da parte dei pipistrelli. Nello stesso periodo, il tasso di mortalità infantile (non dovuto a incidenti o omicidi) è aumentato del 7,9%, una variazione che per gli esperti è imputabile all'effetto dei pesticidi sulla salute dei bambini.
La sostituzione del servizio ecosistemico con uno strumento artificiale ha causato uno scompenso innegabile, ma di difficile previsione. Così come difficile è da prevedere l'effetto della politica trumpiana su persone e animali al di fuori degli Stati Uniti. Du questo si interrogano già da prima dell'elezione i vicini di Trum.
La volontà del neo presidente di cambiare la politica di Biden su inquinamento ed energia verde desta preoccupazione nel panorama internazionale. A domanda diretta dei giornalisti della Reuters durante la Canadian Broadcasting Corp, il primo ministro canadese Justin Trudeau ha risposto: «C'è preoccupazione per l'ambiente in un momento in cui è così importante andare avanti nella protezione. Una presidenza Trump che tornasse indietro sulla strada della lotta al cambiamento climatico rallenterebbe il progresso mondiale in modi che mi preoccupano».
Gli effetti del depotenziamento delle tutele per la fauna selvatica e per la natura potrebbero non limitarsi agli Stati Uniti e ai suoi vicini. In un momento in cui anche l'Europa è chiamata a prendere una posizione su questi temi, ad esempio sul declassamento dello status di protezione del lupo, l'influenza esercitata dalla politica trumpiana non è trascurabile. E questo vale anche per le persone.