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I nostri fiumi e i nostri mari sono diventati, loro malgrado, il punto d'arrivo finale di tutti i nostri rifiuti. Plastica, resti organici, fertilizzanti, droghe e persino farmaci. Tra questi, per esempio, ci sono anche ansiolitici come il clobazam – comunemente prescritto per trattare disturbi d'ansia – che stanno finendo in quantità sempre più significative nelle acque di tutto il mondo, persino in luoghi remoti come l'Antartide.
E le conseguenze di tutto ciò non si sono fatte attendere: uno studio condotto da Jack Brand e colleghi, recentemente pubblicato su Science, ha infatti dimostrato che anche dosi minime di queste sostanze sono in grado di alterare profondamente il comportamento degli animali selvatici. Il caso studio che ha attirato l'attenzione dei ricercatori è quello del salmone dell'Atlantico (Salmo salar) e della sua spettacolare migrazione tra i fiume e i mari.
Durante la delicata fase di spostamento in massa verso il mare – quando i giovani lasciano i fiumi in cui sono nati – l'esposizione al clobazam ha mostrato effetti sorprendenti sul loro comportamento. I pesci contaminati, infatti, sembrano diventare più "coraggiosi" e affrontano più rapidamente gli ostacoli e le barriere come le dighe idroelettriche, riuscendo a raggiungere il mare in un numero maggiore. Ma questo "coraggio", naturalmente, ha un costo.

L'ansiolitico accumulato nel cervello dei salmoni riduce il comportamento di aggregazione in gruppo – noto come shoaling – proprio quello che normalmente aiuta i pesci a fare squadra e a proteggersi meglio dai predatori. In laboratorio, infatti, i pesci studiati tendevano a disperdersi di più, invece che "fare squadra", soprattutto in presenza di minacce. Una scelta individualista che può essere molto pericolosa in natura, dove restare uniti è spesso questione di vita o di morte.
I ricercatori, tuttavia, sottolineano che tutto ciò è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno sicuramente più ampio e complesso: quello dell'inquinamento farmaceutico. Oltre 900 composti attivi tra antidepressivi, antibiotici e ormoni sono stati già trovati nei corpi idrici di tutto il pianeta. Progettati per essere efficaci a basse dosi e per agire su meccanismi neurobiologici comuni a molti animali, questi farmaci non si degradano facilmente e restano nell’ambiente, alterando circuiti cerebrali e comportamenti degli altri animali.
La domanda che ci si pone ora è: cosa accadrà nel lungo periodo? Ancora non lo sappiamo, ma Brand e il suo team stanno già sviluppando nuove tecnologie – come micro sensori e tracciamenti ad alta risoluzione – per capire se questi cambiamenti comportamentali aumentino realmente il rischio di predazione e compromettano il buon esito della migrazione. Una cosa è però certa: quello che buttiamo giù dal lavandino può tornare, invisibile, e può persino cambiare la vita degli animali che nuotano nei nostri fiumi.