;Resize,width=638;)
Il dodo è probabilmente l'animale estinto per colpa degli esseri umani più famoso di tutti i tempi. Questo bizzarro uccello incapace di volare, endemico delle isole Mauritius nell'Oceano Indiano, è infatti diventato il simbolo per eccellenza dell'impatto devastante delle attività umane sugli ecosistemi e la biodiversità. Descritto per la prima volta nel 1598 dai marinai olandesi, il dodo scomparve nel giro di pochissimi decenni, sterminato non solo dalla caccia diretta, ma soprattutto dall'introduzione di specie aliene prima assenti nel suo habitat.
Oggi, a distanza di secoli, il dodo vive ancora nella cultura popolare, sia come una vera icona della fragilità della natura, ma anche come un animale avvolto da una sorta di aura di leggenda e mistero. Le ricostruzioni del suo aspetto sono spesso incerte, basate soprattutto su vecchi racconti di esploratori e rappresentazioni artistiche che lo dipingevano come un uccello goffo e impacciato, cosa che continua ancora oggi a incuriosire il pubblico e a renderlo riconoscibile. Ma com'era davvero il dodo? E soprattutto, esiste la possibilità di riportarlo in vita?
Chi era il dodo e dove viveva

Il dodo (Raphus cucullatus) era un uccello appartenente alla famiglia dei columbidi, la stessa di cui fanno parte piccioni e tortore. Nonostante la sua enorme fama, in pochi sanno che il dodo era quindi un parente molto stretto di animali che ancora oggi vediamo nelle nostre città. Ma a differenza dei suoi cugini volatori, il dodo si era adattato alla vita a terra, perdendo nel corso dell'evoluzione la capacità di volare. Vivendo in ambienti privi di predatori, volare era una caratteristica poco utile e troppo dispendiosa.
Il suo aspetto era davvero peculiare: un corpo robusto, zampe forti e un becco grande e ricurvo, che probabilmente utilizzava per nutrirsi di frutta, semi e piccoli invertebrati. Le sue ali erano ridotte a semplici moncherini, del tutto inutili per il volo, e la coda era caratterizzata da un buffo ciuffo di penne ricciute. Le testimonianze e i racconti dell'epoca lo descrivono con un piumaggio grigiastro e zampe gialle, ma alcuni studi recenti suggeriscono che potesse essere più snello e colorato di come lo abbiamo sempre immaginiamo.
Il dodo viveva esclusivamente sulle isole Mauritius, un vero paradiso terrestre privo di predatori e ricco di specie endemiche e uniche al mondo. Qui, tra fitte foreste e abbondanti risorse alimentari, poteva muoversi senza timore, costruendo il suo nido e deponendo le sue uova direttamente sul terreno. Per milioni di anni, questo ecosistema isolato aveva permesso al dodo di prosperare indisturbato. Ma la sua storia cambiò drasticamente con l'arrivo dei primi esseri umani.
Perché si è estinto il dodo

L'estinzione del dodo è infatti una delle storie più emblematiche dell'impatto umano sulla natura e la biodiversità. Ma contrariamente a quanto si pensa, non furono solo gli uomini a cacciare e a sterminare direttamente il dodo fino alla sua scomparsa: il vero problema fu l'arrivo sulle isole di specie aliene introdotte accidentalmente, come ratti, maiali e cani. Furono questi predatori a dare il colpo di grazia a questa specie, un fenomeno purtroppo ancora oggi ricorrente soprattutto sulle isole.
Quando gli olandesi iniziarono a esplorare e colonizzare le Mauritius. all'inizio del 1600, il dodo era già in difficoltà. La caccia diretta, pur essendo comune, non fu però determinante: la sua carne veniva infatti descritta come poco appetibili. Il dodo veniva infatti chiamato Walghvogel, che in olandese significa uccello insipido o ispido, in sostanza non buono da mangiare. Il vero flagello furono i predatori introdotti dagli esseri umani, come i ratti e i maiali, che razziavano senza sosta i nidi del dodo, distruggendo le uova prima che potessero schiudersi.

Inoltre, animali come capre e altri erbivori introdotti sempre dagli europei, entrarono in competizione con il dodo per le risorse alimentari, degradando ulteriormente il suo habitat. A questo si aggiunse poi anche la deforestazione: l'isola, un tempo coperta da foreste lussureggianti, fu progressivamente disboscata per far posto agli insediamenti umani e alle piantagioni. Nel giro di pochi decenni, il dodo si trovò senza un rifugio sicuro e senza abbastanza risorse per sopravvivere.
L’ultimo avvistamento ufficiale di un dodo vivo risale al 1662, appena 64 anni dopo la sua scoperta e la sua descrizione. Con tutta probabilità, alcuni piccoli gruppi di dodo potrebbero essere sopravvissuti ancora per qualche altro decennio, ma entro il 1700 la specie era ormai definitivamente estinta. Un tempo abbondante e presente ovunque sulle Mauritius, il dodo è scomparso per sempre in meno di un secolo dal suo primo incontro con un essere umano.
Riportare in vita il dodo: è possibile?

Negli ultimi anni, l'idea di "riportare in vita" il dodo non è più solo fantascienza ed è diventata sempre più concreta. Grazie ai progressi nella genetica e nella biotecnologia, alcuni scienziati stanno studiando concretamente la possibilità di "resuscitare" questa specie attraverso la cosiddetta de-estinzione. Il progetto più ambizioso è quello della Colossal Biosciences, una società specializzata in biotecnologie che sta lavorando alla clonazione di diverse specie ormai estinte.
L'idea, semplificando molto, sarebbe quella di sequenziare il DNA del dodo, recuperandolo da resti museali, e inserirlo nel genoma di una specie simile ancora vivente, come il piccione delle Nicobare (Caloenas nicobarica), uno dei suoi parenti più stretti. Attraverso poi modifiche genetiche, si potrebbe ottenere così un uccello con caratteristiche simili a quello del dodo. Non sarebbe un vero e proprio dodo, ma una sorta di surrogato il più vicino possibile alla specie originale. Ma la de-estinzione del dodo pone diversi altri interrogativi.

Anche se fosse possibile ricreare un animale simile al dodo, è giusto farlo? E dove potrebbe vivere? L'habitat delle Mauritius è ormai completamente stravolto rispetto a 400 anni fa e introdurre nuovamente il dodo potrebbe non essere così semplice. Inoltre, riportare in vita una specie estinta può essere davvero una soluzione per la conservazione della biodiversità? O sarebbe meglio concentrare gli sforzi di tutela delle specie a rischio oggi? Gli esperti sono molto divisi su questo tema,
Ma al di là delle possibilità tecnologiche e dei proclami delle grandi società di biotecnologie, il dodo resta indiscutibilmente un simbolo potente della fragilità della natura. La sua storia senza lieto fine ci ricorda quanto sia davvero facile distruggere un ecosistema e quanto sia poi difficile, se non impossibile, rimediare agli errori del passato. Forse la vera eredità lasciataci dal dodo non sta nel suo DNA che potrebbe servire a "riportarlo in vita", ma nel fare in modo che tutte le altre specie oggi minacciate da noi non facciano la sua stessa fine.