Stai lavorando da ore al pc, illuminato solo dalla luce fioca dello schermo, quando all'improvviso la corrente salta, il monitor si spegne e tutto quello che hai fatto è perduto. Il lavoro che dovevi consegnare non arriverà, e i reparti che in ufficio dipendevano da te dovranno riorganizzarsi di conseguenza, non sempre riuscendoci. Un processo simile avviene anche in natura quando un animale si estingue.
L'ecosistema somiglia a un grande ufficio in cui ognuno ha un compito specifico e collabora con gli altri per svolgerlo al meglio. Se però le condizioni generali iniziano a cambiare ecco che chi occupava una certa scrivania può essere accompagnato alla porta. Quando in natura un animale perde il proprio ruolo all'interno dell'ecosistema si hanno ripercussioni a catena irreversibili e inaspettate, anche su altre specie, compresa la nostra. Ad esempio, in India la scomparsa degli avvoltoi ha causato la morte di mezzo milione di persone.
Qui entra in gioco il backup. Se hai usato un sistema di backup mentre lavoravi puoi recuperare i tuoi file nonostante sia andata via la corrente. Anche per la natura è stato sviluppato un sistema analogo, si tratta delle Genome resource banking (GRB), dette banche genomiche o biobanche.
Queste fungono da "backup" contro le vulnerabilità della popolazione animale, aiutando nel ripristino di specie in via di estinzione e prolungandone la vitalità genetica. Come spiegato in uno studio pubblicato su Science esistono però anche valutazioni di tipo etico relative a questo sistema.
Come funzionano le biobanche
Le biobanche sono depositi in cui il materiale genetico viene raccolto e conservato. Questo materiale può presentarsi in varie forme: campioni di DNA, colture microbiche, polline e semi e anche gameti ed embrioni utili per la fecondazione in vitro e la maternità surrogata.
Il tutto poi viene conservato con modalità che variano a seconda dell'utilizzo che poi se ne farà. Per i campioni provenienti da specie animali, il metodo principale è la crioconservazione, che prevede il congelamento del materiale utilizzando in genere azoto liquido. In questo modo vengono conservati proprio i gameti, gli embrioni e persino cellule viventi.
La funzione più importante di un biobanca è quella di proteggere la biodiversità sia animale che vegetale. Per questo svolge un ruolo cruciale in diversi campi, dalla ricerca di base allo sviluppo agricolo, al progresso della biomedicina e ovviamente alla conservazione ecologica.
Proprio in questo ambito ha trovato numerose applicazioni per cambiare il destino di specie destinate all'estinzione a causa dell'esiguo numero di individui rimasti in natura, o della scarsissima variabilità genetica all'interno di una popolazione.
Dai rinoceronti agli orsi: le applicazioni nel mondo animale
L'esempio più noto quando si parla dell'utilizzo delle biobanche nel mondo animale è quello del rinoceronte bianco della sottospecie settentrionale (Ceratotherium simum simum). Nel 2018 è morto l'ultimo maschio della specie e oggi restano in vita solo due femmine: la popolazione è stata quindi dichiarata estinta, tuttavia una speranza c'è ancora grazie alla lungimiranza di un gruppo di ricercatori.
Nel 2015 infatti un team internazionale composto da 20 scienziati sviluppò una vera e propria road map per fare "rinascere" il rinoceronte bianco settentrionale. Fu utilizzato un approccio che combina diverse tecnologie, tra cui la riproduzione assistita. Sono stati prelevato biomateriali di rinoceronti vivi e deceduti sotto forma di gameti crioconservati da usare successivamente per la produzione in vitro.
Oggi, gli studiosi del progetto BioRescue, dedicato proprio a sviluppare tecniche di riproduzione assistita per la fauna, stanno mettendo in pratica questa strategia, e i primi risultati sono incoraggianti: la femmina Curra è stata fecondata e la gravidanza è proseguita fino alla sesta settimana, quando poi la rinoceronte è morta a seguito di un'infezione. Nonostante questo evento i ricercatori hanno avuto la prova che questo processo funziona, e potenzialmente può riportare in vita un animale estinto di cui si conserva il materiale genetico.
Quest'orizzonte dà una speranza anche a popolazioni la cui variabilità genetica è fortemente compressa, tanto da comprometterne la sopravvivenza nonostante gli sforzi. È il caso dell'orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), la sottospecie di orso più rara al mondo presente solo sull'Appennino centrale italiano. Oggi ne restano circa 60 individui, costantemente minacciati dalla pressione antropica.
Questi orsi muoiono per bracconaggio, come nel caso di Amarena nel 2023; per incidenti stradali; e per la frammentazione del loro habitat; ma ad ucciderli potrebbe essere un nemico molto meno carismatico: la scarsa variabilità genetica dovuta all'accoppiamento fra consanguinei. In molti casi è addirittura impossibile tracciare un albero genealogico preciso a causa della stretta parentela tra gli individui.
Nel 2023 il Parco nazionale del Gran Sasso approvò una convenzione che fece molto discutere perché, oltre a prevedere interventi volti a supportare la diffusione dell'orso bruno marsicano nell'Appennino centrale, prevedeva una collaborazione con un dipartimento dell'Università di Léon specializzato in "tecniche di riproduzione assistita".
Come aveva spiegato a Kodami uno dei promotori del progetto, il presidente della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello” Corradino Guacci: «Il progetto prevede l'istituzione di una banca dati genetica dell'orso bruno marsicano. Si tratta di uno strumento fondamentale per proteggere questa specie unica al mondo dal rischio di estinzione. Ma la procreazione assistita resta un obiettivo sullo sfondo». Almeno per il momento, visto il no ricevuto dal Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, l'ente che si occupa attivamente della sottospecie marsicana.
Oltre ai benefici esistono infatti anche delle problematiche di natura etica e scientifica all'impiego delle biobanche. Questi strumenti, neutri per loro natura, assumono una connotazione positiva oppure negativa a seconda dell'uso che se ne fa.
Le problematiche
La prima problematica riguarda il benessere degli animali. Se da un lato la presenza del loro materiale genetico in biobanca può essere un aiuto per limitare la consanguineità delle popolazioni, e il conseguente impoverimento genetico, dall'altro le operazioni per acquisire i campioni in natura non è privo di rischi. Le operazioni di telenarcosi – utilizzate per addormentare l'animale a distanza permettendo così ai ricercatori di avvicinarlo – può essere fatale, così come la procedura per la successiva procreazione assistita. Ogni procedura comporta dei rischi che non sono sempre prevedibili o evitabili, soprattutto in natura.
I campioni raccolti potrebbero anche essere utilizzati per aggirare i divieti circa la cattura in natura di animali selvatici destinati ai giardini zoologici. Queste strutture hanno spesso un ruolo nei progetti di conservazione in quanto funzionano come serbatoi genetici per le popolazioni animali a rischio o potenzialmente a rischio, ma cosa succederebbe se il materiale genetico delle biobanche fosse a loro disposizione?
Nel 1998 è stata effettuata la prima inseminazione artificiale di un elefante in cattività, utilizzando però seme fresco e non materiale conservato in biobanca. Da allora sono stati prodotti diversi elefanti sia asiatici che africani, ma con l'implementazione tecnologica si è ipotizzato di arricchire il patrimonio genetico degli animali in cattività con quello di selvatici liberi in natura. Il primo esperimento ha riguardato un maschio di elefante africano (Loxodonta africana) della savana africana il cui seme è stato congelato e conservato, e successivamente è stato impiegato per quattro inseminazioni in un elefante africano femmina. Il risultato in questo caso non è solo quello di gestire la diversità genetica di mammiferi in via di estinzione.
Infine, c'è la questione della proprietà: a chi appartiene il materiale genetico dell'animale estinto? Non all'animale dato che non può essere soggetto di diritto. Il rischio è che i paesi economicamente e tecnologicamente più sviluppati – che spesso figurano tra i capofila di progetti di conservazione – si approprino del dominio su specie che non gli appartengono, in una nuova forma di dominazione coloniale che passa per il patrimonio di biodiversità.