Viviamo con i nostri cani ma non li conosciamo. E la cronaca continua a rimandare casi di aggressioni ad altri cani e persone che impongono una riflessione non più rinviabile. Sul tema recentemente è intervenuta la Lega che con una proposta di legge presentata in Lombardia e ora al vaglio della Commissione Sanità che mira a rendere obbligatorio il patentino per chi vive con 26 razze canine giudicate "pericolose".
Questa iniziativa ha sollevato alcune polemiche all'interno del mondo animalista a causa della criminalizzazione di alcune tipologie come Pitbull e Rottweiler, spostando l'attenzione dall'educazione umana. A riportare il focus sulle persone ci sta pensando l'approccio scientifico della Società Italiana Scienze Forensi Veterinarie che sta realizzando un documento con le buone pratiche per la corretta gestione del cane, a prescindere dalla sua morfologia.
Abbiamo raggiunto la coordinatrice del gruppo di lavoro, la veterinaria esperta di benessere animale Laura Arena, per farci spiegare la metodologia e i risultati a cui puntano: «L'obiettivo è quello di redigere un documento da condividere con il Ministero della Salute su cui basare decisioni meno dettate dall'impulsività e dalle interpretazioni dei media».
Il fine ultimo è quindi quello di capovolgere la visione prevalente che però spesso è l'unica nelle stanze in cui si prendono le decisioni: «Dobbiamo fare più affidamento sui dati scientifici, solo così si può agire in prevenzione e non sull'intervento in emergenza».
Emblema di questo sistema caro a molti settori in Italia, e non solo alla gestione degli animali, è l'abitudine di prorogare ordinanze ministeriali nate in contesti d'emergenza. Succede anche con l'ordinanza del Ministro della Salute 6 agosto 2013 la cui validità da un decennio viene prorogata di 12 mesi in 12 mesi. Il testo concerne la tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani e anche se quest'anno il sottosegretario alla salute Marcello Gemmato ha sottolineato la necessità di investire sulla formazione delle persone «per migliorare la loro capacità di gestione degli animali», queste previsioni restano lettera morta.
Come faceva notare il filosofo ed etolgo Roberto Marchesini, neanche il Ministero è in possesso di dati certi relativi a morsicature e aggressioni, e ciò le mette al pari di aneddoti privi di alcun valore scientifico. I casi di Eboli e di Vercelli, in cui due bambini sono stati uccisi dai cani che vivevano con loro, hanno rimesso al centro l'inadeguatezza delle leggi e le scarse conoscenze della politica: «Le normative in vigore oggi insistono molto sul fare indossare al cane museruole al parco, ma la maggior parte delle aggressioni letali alle persone avvengono in ambito domestico», ricorda la dottoressa Arena.
Secondo l'ordinanza del Ministero, la museruola va sempre portata quando si esce con il proprio cane. Va fatta indossare ogni qual volta sia richiesto dalla pubblica autorità, pena una multa fino a 300 euro. Questo obbligo non varia con la tipologia di cane ma è valida per tutti allo stesso modo.
In soccorso dei decisori politici arriva quindi il tavolo di lavoro su “Cani potenzialmente pericolosi e strategie di prevenzione” costituitosi durante l'ultimo congresso della Società Italiana Scienze Forensi Veterinarie guidata dal docente federiciano Orlando Paciello. E non è un caso che ad occuparsene siano proprio i veterinari forensi.
Chi sono i veterinari forensi
Gli esperti di medicina forense veterinaria si occupano di fornire supporto tecnico-scientifico all'autorità giudiziaria e alle Forze dell'ordine in tutte le questioni relative a uccisioni o maltrattamenti nei confronti degli animali.
Sono questi professionisti che hanno il compito di eseguire le autopsie sugli animali uccisi, ma anche sulle persone uccise dagli animali poiché analizzando le ferite riesco a fornire informazioni utili sulle dinamiche dell'aggressione. Sono quindi le figure con maggiore esperienza nel riconoscere questi episodi e a poter dare un contributo analitico.
«Il documento darà vita a sua volta vita a linee guida per indirizzare gli altri addetti al settore fornendo informazioni su aggressività e potenziale pericolosità – fa sapere Arena – Associare in maniera automatica una morfologia a una categoria di cani, spesso coincidente con la razza, è sbagliato. Vogliamo metterlo nero su bianco».
Aggressività e pericolosità
Non sempre l'aspetto di un cane coincide con la sua indole, e a dirlo sono gli esperti: «La letteratura scientifica ha dimostrato che quando si cerca una corrispondenza genetica tra razza e morfologia il grado di fallimento può arrivare fino al 70%», sottolinea Arena.
Tre sono le linee guida alla base del lavoro secondo la coordinatrice: «Correttezza, etica e dati scientifici. In questo modo è possibile favorire una convivenza responsabile con tutti i cani». Perché ciò sia davvero possibile è però necessario agire sulle conoscenze di base delle persone e dei decisori, a cominciare dai concetti di aggressività e pericolosità.
«Non tutti i cani pericolosi sono aggressivi, e viceversa. La pericolosità è data da un insieme di fattori legati all'animale, come taglia e genetica; dall'ambiente, come la presenza di bambini e anziani; e infine dalla qualità della relazione con le persone con cui vive». Ridurre tutto alla morfologia del cane dunque non solo è sbagliato in termini scientifici, ma è anche pericoloso perché impedisce di vedere i comportamenti problematici.
«L'aggressività di per sé è un comportamento adattativo e assolutamente normale – ricorda l'esperta – Normale però non vuol dire che sia accettabile all'interno della nostra società». Proprio questo bias è alla base di una grande incomprensione: «È molto complicato classificare un animale come "aggressivo" perché un comportamento aggressivo, anche se normale e funzionale, può essere percepito come inaccettabile. È difficile distinguere questi casi dai cani reattivi e impulsivi che hanno invece un'aggressività problematica. Qui entra in gioco il know-how che vogliamo mettere a disposizione delle persone con il gruppo di lavoro».