Tra ottobre e novembre del 2018, la tempesta Vaia devastò vaste aree delle foreste alpine delle regioni del nord-est, abbattendo milioni di alberi. Un evento catastrofico, che ha innescato una serie di cambiamenti negli ecosistemi forestali, trasformando il paesaggio e aprendo la strada a una grave epidemia di bostrico tipografo, un coleottero parassita che attacca gli abeti rossi. A distanza di anni, alcune specie hanno saputo però adattarsi a questo nuovo contesto.
Tra queste, spicca il picchio nero, una specie fondamentale per gli ecosistemi forestali. Secondo uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Animal Conservation, nato dalla collaborazione tra Museo delle Scienze di Trento (MUSE), Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino e Università degli Studi di Milano, il 60% della popolazione di picchio nero nidificante nel Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino, nella provincia autonoma di Trento, ha iniziato a costruire nidi proprio sugli alberi infestati dal bostrico.
Perché il picchio nero è una specie chiave per boschi e foreste
I picchi neri (Dryocopus martius), come altri picidi, svolgono un ruolo cruciale nei boschi: scavano cavità nei tronchi che vengono poi riutilizzate anche da molte altre specie, tra cui altri uccelli come il picchio muratore e le cince, piccoli mammiferi come scoiattoli e ghiri, e persino insetti sociali e impollinatori come le api. Nelle foreste alpine, dominate dalle conifere, questi rifugi sono quindi indispensabili, dato che i tronchi di abete rosso difficilmente sviluppano cavità naturali e tutti gli altri animali non sono in grado di forarli autonomamente.
L'importanza del picchio nero, la specie di picchio più grande presente in Italia, risiede anche nelle dimensione delle cavità che crea, adatte anche specie più grandi e minacciate, come la civetta capogrosso, ormai sempre più rara. Prima della tempesta Vaia, le foreste della regione erano gestite con tecniche innovative che puntavano a conservare elementi chiave per la biodiversità. Tuttavia, la tempesta e l'epidemia di bostrico (Ips typographus) hanno messo in crisi queste pratiche, portando a un'intensificazione dei tagli per rimuovere il legname infestato.
Nidi negli alberi infestati dal bostrico: rischi e opportunità per il picchio nero
Lo studio, frutto di un progetto pluriennale tra MUSE, Università degli Studi di Milano e Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino, mostra però come il picchio nero abbia saputo sfruttare l'epidemia di bostrico per trovare nuovi siti di nidificazione. Dopo che il 50% degli alberi usati come nidi pre-Vaia è stato distrutto, gli uccelli hanno iniziato a colonizzare i tronchi infestati, trovando nel legno indebolito dal parassita un substrato ideale per scavare con facilità le loro cavità.
Il bostrico tipografo, o bostrico dell'abete rosso, è un coleottero parassita le cui larve si nutrono di legno scavando intricate gallerie che interrompono il flusso della linfa, in particolare negli abeti rossi, ma anche larice, abete bianco e pino silvestre, uccidendoli nel giro di poche settimane. Oltre a nutrirsi dei tessuti sottocorticali degli abeti, sotto la corteccia e sulla superficie del legno ricava, scavando anche camere nuziali dove si riproducono.
Tuttavia, questo nuovo adattamento potrebbe trasformarsi in una trappola ecologica. La progressiva rimozione degli alberi infestati, necessaria per contenere l'espansione del bostrico e favorire la rigenerazione delle foreste, rischia di cancellare molti dei nuovi siti di nidificazione usati dai picchi neri e da tutte le altre specie che dipendono da queste cavità. Un elemento imprevisto e che, secondo gli autori dello studio, deve essere tenuto in considerazione negli interventi forestali.
«In questo contesto estremamente dinamico – hanno spiegato Chiara Bettega e Luigi Marchesi del MUSE, tra gli autori principali dello studio – comprendere gli effetti nel tempo di questo tipo di eventi sulle comunità biologiche degli ecosistemi forestali e degli ambienti ad essi legati è essenziale, sia per indirizzare le nuove modalità di gestione delle aree interessate, sia per favorire la ripresa delle foreste, anche in termini produttivi e paesaggistici, così come per il mantenimento di elevati livelli di biodiversità».
Un progetto per salvaguardare i nidi e la lezione Vaia
Per evitare che la gestione forestale post-Vaia comprometta quindi la biodiversità, è stato avviato un progetto sperimentale nella foresta di Paneveggio. In collaborazione con l'Agenzia provinciale delle foreste demaniali, i ricercatori stanno identificando e marcando gli alberi infestati che ospitano cavità di picchio nero, preservandoli dal taglio insieme a piccoli gruppi di alberi circostanti. Questa strategia mira a garantire che le foreste continuino a offrire habitat adatti ai picchi e alle specie che dipendono dalle loro cavità.
Nel lungo periodo, il progetto potrebbe rappresentare un modello di gestione forestale sostenibile, capace di bilanciare esigenze produttive e conservazione della biodiversità. Come sottolineano i ricercatori, Vaia e il bostrico ci ricordano quanto gli ecosistemi siano dinamici e interconnessi. L'adattamento del picchio nero è un esempio di resilienza, ma anche un segnale di allarme: la sopravvivenza di molte specie dipende dalle scelte che faremo nella gestione delle foreste.
Preservare specie ed elementi chiave, come i nidi di picchio nero, non è solo una questione di tutela di una singola specie, ma un investimento per il futuro di intere comunità biologiche e dei servizi ecosistemici da cui tutti dipendiamo.