Jobs Act, intesa all’interno del Pd. Renzi: “Grande passo in avanti”
UPDATE – “Il primo gennaio entreranno in vigore le nuove regole sul lavoro in Italia. È un grandissimo passo in avanti”: così il premier Matteo Renzi, a Bucarest, a margine dell'incontro con il primo ministro della Repubblica di Romania, ha risposto ai cronisti che gli hanno chiesto un commento sulle mediazione di queste ore sul Jobs act. Quello che sta emergendo “è tutto quello che e stato deciso qualche settimana fa nella direzione del Pd. Bene cosi andiamo avanti”. “L'Italia – ha aggiunto Renzi – deve cambiare e sta cambiando. Sta cambiando le regole del gioco e la mentalità ma non servirà a niente cambiare se non costruiremo un'Europa più forte e vicina a cittadini. Se finalmente l'Europa sarà meno legata alla burocrazia alle logiche dei tecnici sarà più vicino alle esigenze dei cittadini”. Ncd, però, nel pomeriggio ha alzato la voce: “Se il testo è quello letto nelle agenzie è inaccettabile”, così il presidente della commissione Lavoro, Maurizio Sacconi, oggi a palazzo Chigi assieme a Nunzia De Girolamo. Ncd chiede un vertice, “o la maggioranza si rompe”. Vertice che per il ministro Boschi non serve: “Stiamo discutendo con tutti in Parlamento. Non servono nuovi vertici di maggioranza”, ha replicato il ministro per i Rapporti con il Parlamento.
Dopo le polemiche nella Direzione Nazionale di ieri (con la spaccatura evidente tra maggioranza e minoranza, sia sul nuovo incontro del Nazareno che sul metodo con cui il Governo intende proseguire nei prossimi appuntamenti parlamentari), sembra tornato il sereno in casa democratica. Stando a quanto rilanciano gli addetti ai lavori, citando dichiarazioni dei diretti interessati, sembra infatti che le due “anime” del Partito Democratico abbiano trovato un accordo sul contestatissimo Jobs Act, la riforma del lavoro impostata dal ministro Poletti (qui il nostro approfondimento).
L’intesa sarebbe stata raggiunta a partire dalla rinuncia da parte del Governo all’utilizzo della questione di fiducia sul passaggio alla Camera dei deputati del Jobs Act. Una scelta accompagnata dall’apertura sostanziale sull’articolo 18, con la maggioranza che avrebbe accettato la richiesta di inserire “le specifiche sui licenziamenti disciplinari” per i quali varrà ancora l’articolo 18, chiarendo almeno in parte uno dei passaggi più discussi ed “indeterminati” della legge delega. Non è chiaro invece se le parti abbiano affrontato anche il tema del finanziamento degli ammortizzatori sociali e della legge sulla rappresentanza sindacale (questioni che potrebbero tornare durante la discussione in Aula).
In questo modo, come rileva la maggioranza, si dà attuazione a quanto deciso nella direzione di ieri e si scongiura la prova di forza della fiducia (che sarebbe stata posta, peraltro, su una legge delega, così come avvenuto al Senato della Repubblica). Prospettiva che era stata giudicata insostenibile dai vari Fassina ("Mettere una fiducia in bianco su una delega che riguarda i diritti fondamentali dei lavoratori diventa, a mio parere, un problema di rilievo costituzionale"), Civati ("Così, come al Senato, il premier del Pd non recepirà nemmeno alla Camera il documento del segretario del Pd, presentato dal responsabile economia e lavoro del Pd e votato dalla direzione del Pd") e Boccia ("La fiducia io non posso votarla, sarebbe un errore. Il mondo andrà avanti, ma nella vita bisogna assumersi responsabilità").
Una mediazione che non convince tutti all’interno della minoranza del partito e resta da capire quale sarà il giudizio dei Sindacati (considerando i prossimi appuntamenti previsti, a partire dallo sciopero di domani fino ad arrivare alla mobilitazione generale del 5 dicembre).