Italicum, terremoto nel PD: si dimette Speranza, la minoranza non cede
Ore 00:20 – Renzi ottiene il via libera sull'Italicum dall'assemblea dei deputati del Partito Democratico, ma a votare per la sua proposta sono solo in 190. Gran parte della minoranza non ha partecipato al voto, mentre la componente vicina a Roberto Speranza alla fine ha evitato di abbandonare l'assemblea.
Ore 22:45 – Bersani: "Se andate avanti così, sappiate che io non ci sto". A lanciare l'ultimo avvertimento al Presidente del Consiglio è l'ex segretario Bersani, che dunque certifica che anche i "suoi" deputati si opporranno alla prova di forza sull'Italicum. Da primi calcoli, sembra che i deputati ribelli siano circa 60: un numero sufficiente per affondare la legge alla Camera.
Ore 22:40 – Anche Civati ed altri esponenti della minoranza, tra cui D'Attorre e Fassina, hanno abbandonato l'assemblea dei deputati del Pd: a questo punto è chiaro come la spaccatura non sia più rimarginabile con un compromesso "di metodo". Ma i renziani sembrano determinati ad andare avanti ed uscire con un "voto – mandato" dalla riunione di stasera.
Ore 22:30 – Interviene Pier Luigi Bersani, criticando duramente la scelta di non sospendere l'assemblea dopo le dimissioni di Speranza: "Che partito siamo se non ci fermiamo a discutere delle dimissioni del capogruppo alla Camera?". Nel frattempo i deputati che fanno riferimento alla corrente di Speranza, Area Riformista, hanno abbandonato l'assemblea in segno di protesta. Dello stesso avviso Rosi Bindi: "Come si fa a decidere di una cosa del genere senza il capogruppo alla Camera?". Il clima, intanto, è quello che è:
Ore 22:10 – Cuperlo chiede modifiche su ballottaggio e capilista bloccati. Lo sfidante di Renzi alle ultime elezioni primarie del Partito Democratico e leader di parte della minoranza non usa giri di parole nel suo intervento in Assemblea e conferma la contrarietà sulla legge elettorale che è uscita dalla discussione al Senato della Repubblica. E sulle dimissioni di Speranza attacca: "Si tratta di un fatto serio, mi auguro che ci sia una riflessione anche da parte del segretario". Proprio per questo, Cuperlo ha chiesto che fosse sospesa l'assemblea, ma ha dovuto incassare il secco no di Renzi (e il voto contrario della maggioranza dei deputati).
Ore 21.50 – Roberto Speranza ha presentato le sue dimissioni da capogruppo Pd. Intervenendo all'assemblea dei deputati Dem subito dopo Renzi, Speranza ha parlato di "un profondo dissenso sull'Italicum". “Quando siamo partiti c'era tutta la maggioranza e Forza Italia, oggi siamo solo noi. Per questo Renzi avrebbe dovuto ascoltare di più il partito”, ha detto Speranza facendo riferimento alla rottura del Patto del Nazareno sulle riforme. “Non sono nelle condizioni di guidare questa barca perciò con serenità rimetto il mio mandato di presidente del gruppo e non smetto di sperare che questo errore che stiamo commettendo venga risolto”, ha aggiunto annunciando le sue dimissioni. “Credo nel governo e credo nel Pd e nel gruppo – ha detto ancora – ma in questo momento è troppo ampia la differenza tra le scelte prese e quello che penso”.
Ore 21.15 – Renzi: “Vita del governo legata a Italicum” – “Sono qui per chiedere che l'assemblea del gruppo confermi la linea che la direzione ha dato”: il voto della legge elettorale senza modifica. È questa la posizione del premier Matteo Renzi, intervenuto all'assemblea del gruppo Pd spiegando che la sua volontà è chiudere la discussione sulla legge elettorale in modo definitivo. “Oggettivamente la mediazione sulla legge elettorale c'è stata ed è in linea con il dibattito interno al Pd. Ora la nostra discussione deve essere depurata da toni di Armageddon”, ha aggiunto Renzi. “Questo governo – ha detto ancora – è legato a questa legge elettorale nel bene e nel male”. Sel, Forza Italia, Lega e FdI a Mattarella: “Fiducia sarebbe un golpe”. L'Assemblea del gruppo del Pd alla Camera si concluderà con un voto sull'atteggiamento da tenere sull'Italicum, votazione che dovrebbe tenersi verso le 23. Il capogruppo Roberto Speranza potrebbe fare un passo indietro subito dopo la riunione e rimettere il suo mandato già questa sera.
Le posizioni sono note da tempo e, al momento, lo spazio per una mediazione sembra ridotto ai minimi termini. Da una parte c’è la linea ufficiale del Partito Democratico, con il documento votato nell’ultima Direzione Nazionale che ha blindato l’Italicum, stoppando ulteriori modifiche e scongiurando il rischio di un allungamento dei tempi a causa dell’ulteriore passaggio al Senato che sarebbe necessario. Dall’altra ci sono i vari gruppi della minoranza, divisi su tutto ma uniti nel no alla formulazione dell’Italicum uscita dal Senato (l’Espositum figlio del supercanguro, in sostanza), che chiedono modifiche sostanziali alla legge e minacciano di non votarla alla Camera dei deputati. Posizioni che emergeranno oggi, nel corso di una riunione del gruppo parlamentare che si annuncia infuocata.
Le premesse, del resto, non sono delle più rassicuranti. Ieri il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha liquidato la questione con un “non è il Monopoli” e “bisogna andare avanti”, lasciando che a fare il lavoro sporco ci pensasse la Serracchiani: “Considerare questo passaggio come una sfida non serve al Paese. L'Italicum è il frutto del lungo lavoro fatto anche nel partito per accogliere i contributi della minoranza oltre che di altre forze politiche. Se le posizioni della minoranza rimarranno inamovibili non c'è alternativa alla fiducia”. Il tutto accompagnato dagli ormai tradizionali retroscena sulla possibilità che Renzi, in caso di bocciatura dell’Italicum, si rechi al Quirinale e apra la crisi di Governo (come e perché si dovrebbe tornare alle urne, francamente non è dato sapere).
La minoranza, arricchita dalla corrente che fa capo a Roberto Speranza (capogruppo alla Camera, non si sa ancora fino a quando), non sembra intenzionata a fare sconti e a rispettare l’indicazione della Direzione Nazionale, come conferma D’Attorre: “Io sono convinto che dobbiamo essere coerenti con l'impegno preso. Si tratta di una materia di rango costituzionale, su cui non può esserci una rigida disciplina di partito: se non c'è condivisione, ognuno deve essere coerente con i propri convincimenti”. Secco anche Civati: “Semplicemente i parlamentari devono votare una legge elettorale che di fatto cambia la forma di governo (senza dirlo) e che ha mille difetti. Ai sensi dell’articolo 67 possono farlo come si sentono di fare. E quanto al mandato elettorale, nel 2013 il nostro programma non prevedeva nulla di tutto questo.”
Sono note, in ogni caso, le perplessità della minoranza sull’Italicum, ben riassunte da Miguel Gotor:
In primo luogo nell’Italicum non funziona il meccanismo dei 100 capolista bloccati che produrrà un parlamento a maggioranza di nominati. Infatti, le preferenze, che sono state inserite da Renzi e da Berlusconi in un secondo tagliando della legge, saranno usate da tutti i partiti, ma produrranno effetti elettivi soltanto per la lista vincitrice o quasi. Quindi chi sarà all’opposizione vedrà entrare in Parlamento solo i nominati dai partiti (esattamente come nel «Porcellum»), oppure i candidati scelti dal leader utilizzando il meccanismo delle dieci pluricandidature. Vi è inoltre una palese disparità di opportunità di partenza tra i candidati di una stessa lista presenti sulla scheda divisi in figli e figliastri: il capolista non si sottopone al vaglio dei cittadini, mentre gli altri competitori devono darsi battaglia per conquistare la preferenza degli elettori.
[…] Inoltre l’Italicum, che è stato impropriamente venduto come un «Mattarellum» rivisitato, costituisce in realtà un simulacro dei due principi cardine che qualificano una competizione uninominale degna di questo nome: da un lato, nega il rapporto privilegiato dell’eletto con il territorio perché stabilisce collegi di 600 mila abitanti, quattro volte più estesi del «Mattarellum»; dall’altro, impedisce un’autentica e virtuosa competizione dentro/fuori a livello di collegio in quanto fa rientrare dalla porta ciò che l’elettore, con il suo libero voto, avrebbe voluto buttare dalla finestra.
[…] Il secondo problema di sistema riguarda il ballottaggio che, così com’è configurato, rischia di funzionare più come una nuova elezione che non come un secondo turno vero e proprio. Questo ballottaggio all’italiana ha la particolarità di non eleggere direttamente una carica monocratica (un presidente della Repubblica, un sindaco), ma un organismo collegiale (il Parlamento) che parteciperà solo indirettamente al secondo, ma decisivo momento elettivo, quello che individua il partito vincitore e dunque il futuro presidente del Consiglio.