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Italia: per ripartire devi riformare lavoro, credito e fisco

Dice giustamente Mario Draghi, presidente della Bce: banche e governi devono approfittare della ritrovata stabilità dei mercati per varare quelle riforme necessarie a colmare i gap competitivi. In Italia però…
A cura di Luca Spoldi
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Incontro dei ministri delle Finanze dell'Eurozona

Dice egregiamente Mario Draghi, dallo scranno di presidente della Banca centrale europea: governi e banche dovrebbero approfittare del periodo benigno che le misure straordinarie varate da Eurotower sono riuscite a far tornare sui mercati finanziari (malgrado la malcelata ostilità da parte tedesca che misure straordinarie come le due Ltro con cui Draghi ha fornito oltre mille miliardi di euro alle maggiori banche del vecchio continente vedono come il fumo negli occhi) per fare le riforme necessarie a far ripartire l’economia da un lato e per pulire definitivamente i propri bilanci tagliando i dividendi e continuando nel frattempo a fornire sostegno all’economia reale.

Un invito che Draghi ha lanciato oggi parlando a Parigi dopo aver ricordato a tutti che la crisi non è figlia della globalizzazione e dell’apertura dell’Eurozona al resto del mondo (negli anni Novanta, ha ricordato Draghi stamane, l’export pesava solo per il 15% del Pil aggregato di Eurolandia, ora rappresenta il 23%, segno che merci e servizi del vecchio continente continuano a trovare acquirenti in tutto il mondo), bensì degli squilibri accumulatisi negli anni tra paesi che a causa di una costante erosione di competitività hanno visto crescenti deficit di bilancia commerciale e paesi che grazie alla crescita della propria competitività tali deficit hanno nutrito col risultato di veder aumentare i propri saldi positivi di bilancia commerciale.

Tra le cause che hanno generato una perdita di competitività secondo il banchiere centrale europeo vi sono i costi unitari del lavoro, che sono cresciuti mediamente del 28% dalla nascita dell’euro nei paesi contraddistinti da deficit commerciali, ossia 2,5 volte di più di quanto accaduto nei paesi con surplus commerciali (dove dunque le retribuzioni sono comunque cresciute senza tuttavia mettere in crisi il sistema). La “competitività è una questione chiave della politica economica in ogni paese della zona euro” e “in tempi di ristrettezze economiche – ha concluso Draghi – non c'è altra scelta se non affrontare le perdite strutturali di competitività con urgenza”. Anche perché la politica monetaria (della Bce) può “assicurare stabilità dei prezzi, ridurre il premio per il rischio e assicurare che tutti i canali di trasmissione funzionino” correttamente, ma non può, evidentemente, andare oltre e procedere d’imperio al varo di riforme che per natura sono politiche e vanno dunque condivise dal corpo elettorale di ciascun paese.

Draghi nella sua analisi pensa al quadro europeo e non può dunque scendere nei dettagli paese per paese, ma certo sarebbe interessante capire come l’ex numero uno di Via Nazionale agirebbe al posto di Mario Monti: difficilmente aumenterebbe le tasse e semmai cercherebbe di ridurle almeno sui redditi da lavoro (come del resto sta cercando di fare, sia pure finora molto limitatamente, lo stesso premier italiano). Non sarà un caso che l’appello di Draghi a rimuovere le cause che hanno portato a una perdita di competitività e ad un aumento del costo del lavoro giunga proprio nel mezzo dello sforzo per chiudere la crisi del debito sovrano europeo, tentativo che finora, sotto il pressing tedesco, ha guardato, purtroppo, più agli aspetti ragionieristici procedendo a ulteriori inasprimenti fiscali che non all’introduzione di riforme strutturali nei paesi deficitari del Sud Europa (forse per non creare nuovi concorrenti alla Germania?).

Nel frattempo il governo italiano sembra voler provare ad accelerare il confronto proprio sul tema della riforma del mercato del lavoro, una riforma che il ministro competente, Elsa Fornero, vorrebbe incentrare sulla riforma degli ammortizzatori sociali proponendo una nuova indennità di disoccupazione “a tempo” (1.119 euro lordi mensili di importo massimo, della durata di 12 mesi estendibile al massimo a 18 mesi per gli over 55enni, con importi destinati a ridursi automaticamente del 15% ogni sei mesi). Un’ipotesi che al momento è poco più che un “desiderata” per cui sarebbe opportuno non sbilanciarsi in lodi o in rimproveri eccessivi, pena doversi poi ricredere. L’impegno riformatore mi pare tuttavia lodevole e tanto più sarà apprezzabile quante maggiori occasioni di lavoro riuscirà a produrre, ma a poco servirà se non si ridurrà sensibilmente il livello generale dell’imposizione fiscale sui redditi da impresa e su quelli da lavoro, prima causa tanto del crollo verticale degli investimenti fissi lordi (in questo caso assieme alla difficoltà nell’accesso al credito, specie per le piccole e medie imprese) sia dell’aumento del costo del lavoro nel Belpaese. Un discorso a parte meriterebbe poi il tema della riforma del sistema formativo italiano e in particolare lo sbilanciamento che ancora appare esistere tra la "passione" per le lettere che dimostrano molti studenti universitari italiani e il numero insufficiente di ingegneri e laureati in economia e matematica che sfornano le università italiane, ma non voglio divagare troppo.

Vale tuttavia la pena di ricordare a chiunque si occuperà della materia che, come ha sottolineato ancora stamane l’istituto statistico tedesco Zew (il cui indice di fiducia continua a crescere), è merito di un mercato in salute se la domanda interna è in grado di mantenersi vivace e dunque sostenere l’espansione e attrarre nuovi investimenti fissi lordi. Quindi sarà utile che tutti si sforzino affinché il mercato del lavoro sia messo nelle condizioni di funzionare il meglio possibile, ma lo sia anche il mercato del credito, cui purtroppo temo non giungano affatto gradite le parole di Draghi visti i rapporti incestuosi tra banchieri e politici, rapporti che passano molte volte attraverso fondazioni bancarie che sono ancora oggi azioniste di riferimento della pressoché totalità degli istituti di credito italiani e che di dividendi hanno bisogno per sostenere un’attività “istituzionale” di “distribuzione delle risorse” sul territorio che a me ricorda il più delle volte la cura del proprio collegio elettorale da parte di politici (quali in effetti sono spesso questi “banchieri”, in qualche caso in grado con la propria presenza nei Consigli d’amministrazione di condizionare anche l’attività ordinaria delle banche collegate). Riforma del lavoro, riforma del credito, riforma del fisco: le vere sfide per il governo e il paese sono queste.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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