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L’Italia per ripartire deve imitare il modello La Doria

L’Italia che scivola sempre più in basso riempie le pagine dei giornali e impensierisce i mercati. Ma esistono anche storie come La Doria che dimostrano che crescere è possibile, anche continuando a produrre in Italia. Scopriamo come…
A cura di Luca Spoldi
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L’Italia che non cresce e che anzi vede sempre più calare la sua produzione industriale, l’Italia che dipende troppo dalle sue banche, l’Italia su cui grava un debito pubblico “monstre” che l’assenza prolungata di crescita (che Moody's scommette non ci sarà nè quest'anno nè il prossimo) rende ogni giorno meno sostenibile riempie le pagine dei giornali, assieme ai problemi che marcano sempre più stretto le due principali voci di spesa (sanità e pensioni), destinate di questo passo a ridursi sia in valore assoluto sia in termini percentuali sul Pil. Ma oggi non voglio parlarvi di tutto questo, quanto parlarvi di una storia molto diversa, quella di La Doria. Per chi non la conoscesse La Doria è una società “tradizionale”, impiegata in quello che potrebbe e forse dovrebbe essere uno dei settori portanti di un eventuale rilancio dell’economia italiana, l’alimentare. Nata nel 1954 a Sangri, in Campania, la società, controllata dalla famiglia Ferraioli, complessivamente azionista al 70%, si è specializzata in tre produzioni: quella dei sughi pronti a base di pomodoro, quella dei succhi di frutta e quella dei legumi.

L’azienda salernitana oltre ai propri marchi (La Doria, La Romanella, Vivi G, Cook Italian), negli anni ha sviluppato la produzione per “private labels” (ossia prodotti coi marchi di clienti quali Conad, Esselunga, Carrefour, Auchane Selex in Italia, ma anche Tesco, Sainsbury, Morrison, Waitrose, Asda, Lidl e Ica all’estero) diventando il primo produttore italiano e tra i primi in Europa di legumi conservati, pelati e polpa di pomodoro e il secondo produttore italiano di succhi e bevande di frutta, posizioni che il recente acquisto di Pa.fi.al., proprietaria dei marchi Delfino e Althea, rafforza ulteriormente. Al netto dell’acquisizione si prevede infatti che La Doria, dopo aver registrato nel 2013 un fatturato di 604,4 milioni e un Ebitda (margine operativo lordo) di 43,4 milioni, possa chiudere il 2014 in ulteriore crescita con un giro d’affari di 640 milioni di euro (+6%) realizzando un Ebitda attorno ai 52,5 milioni (+20,7%), mentre Pa.fi.al. (il cui 100% sarebbe stato valutato 65,2 milioni di euro) lo scorso anno ha registrato un fatturato di 71,7 milioni di euro, per il 93% legato a prodotti private labels, con un Ebitda di 8,2 milioni e un utile netto a 3,6 milioni.

Per inciso La Doria è sbarcata sul listino di Milano (dove stasera ha chiuso a 6,73 euro per azione in rialzo del 6%) nel 1995 quando il giro d’affari era ancora pari a 207 miliardi di vecchie lire (circa 107 milioni di euro): in meno di vent’anni, nonostante l’euro, i governi italiani, il crollo delle Torri Gemelle, la crisi mondiale del 2008, quella del debito sovrano del 2010 e la repressione fiscale legata alla “cura tedesca” la famiglia Ferraioli ha sestuplicato il fatturato, riuscendo a crescere sia per linee interne (è del 2011 il lancio sul mercato inglese del marchio-ombrello Cook Italian che porta sui banconi dei grandi magazzini inglesi conserve di pomodoro, pasta e olio italiani) sia per acquisizioni (da Pomagro a Sanafrutta senza dimenticare l’acquisizione dello stabilimento ex Star di Sarno) e dando una crescente importanza dei mercati esteri. Il 78,5% del fatturato 2013 (salito al 79,5% nei primi sei mesi del 2014) è stato infatti realizzato su mercati internazionali (per il 64,5% in Gran Bretagna e paesi scandinavi), ampliando nel tempo la gamma con prodotti a maggior valore aggiunto.

Una “ricetta vincente” fatta di competenza, qualità e sbarco sui mercati esteri, adottata da un gruppo che realmente fa del "made in Italy" (non solo a livello di marchio ma anche di produzione) che potrebbe essere la strada in grado di traghettare molte altre Pmi italiane verso mari più sicuri di quelli in cui troppo spesso navigano. Certo, La Doria ha saputo e potuto sfruttare anche il sostegno delle banche italiane, in particolare dopo il suo sbarco in borsa. Ma soprattutto la famiglia Ferraioli ha saputo muoversi con decisione senza però fare mai il passo più lungo della propria gamba, come testimoniano i numeri della semestrale al 30 giugno scorso, chiusa con una posizione finanziaria netta negativa per 82,3 milioni di euro rispetto ai 10,85 milioni di fine dicembre a fronte di un il patrimonio netto salito a 165 milioni dai 153,3 milioni di fine 2013 e dunque con un rapporto debito/patrimonio ulteriormente calato da 0,7 (fine 2013) a 0,5, il tutto senza sacrificare i ricavi (saliti nel semestre a 314,7 milioni di euro dai 304,8 milioni di un anno prima), margini (Ebitda pari a 23,8 milioni contro i 17,7 del giugno 2013) e utili (7,3 milioni come l’anno precedente, che però aveva beneficiato di 1,5 milioni di proventi straordinari). Decisamente un modello a cui occorrerebbe guadare con attenzione.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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