Eviterò la tentazione di valutare la “sostenibilità” del “manifesto” elettorale del Movimento 5 Stelle, perché lo trovo in parte contraddittorio al suo interno, con numerose misure demagogiche e allo stato dei fatti non sostenibili dalle finanze pubbliche (come il reddito di cittadinanza, in astratto assolutamente giusta come misura e perfettamente accordabile alla riforma del mercato del lavoro, nel concreto privo di risorse in grado di garantirlo, a riprova che le riforme che si chiedono oggi, persino da parte dei “grillini” si sarebbero dovute varare anni fa, e questa è certamente la colpa più pesante e grave della classe politica italiana nel suo complesso, nessuno escluso) ma anche con spunti oggettivamente interessanti e per di più caratterizzato da un rovesciamento delle prospettive (da un approccio “top down” che fa derivare i singoli interventi concreti da una politica economica in teoria definita a priori ma troppo spesso risultata del tutto assente in questi ultimi 15-20 anni, a un approccio “bottom up” che semmai fa emergere una politica economica settoriale come somma di singoli interventi concreti) che forse potrebbe costituire un buon viatico per passare finalmente dalle teorie e dalle promesse elettorali ai fatti.
Non sono infatti in grado di dire (e mi pare nessuno ad oggi lo sia) se prevarranno le voci di chi chiede un atto di responsabilità che porti a sostenere o prendere parte a (o finanche guidare) un esecutivo in grado di varare almeno quella serie di norme (taglio dei costi della politica, varo di normative contro il conflitto d’interessi, nuove “lenzuolate” per liberalizzare settori e professioni, ridefinizione del ruolo e del peso dello stato sociale, riforma elettorale) che sembrano poter accumunare almeno due (Pd e M5S) dei tre grandi raggruppamenti emersi dalle recenti elezioni (col Pdl che sembra tentato dal proporre un’alleanza “alla tedesca” a uno o entrambi gli altri schieramenti, mentre la lista civica dell’attuale premier Mario Monti sembra destinata comunque dai numeri ottenuti ad un ruolo marginale). O se al contrario non prevarrà la tentazione di “rompere tutto”, a prescindere dai 2 mila miliardi di euro di debito, dai 300 miliardi di euro di titoli che dovranno essere emessi nel corso dell’intero 2013 dal Tesoro Italiano, magari con la segreta ma non troppo tentazione di dichiarare un “default tecnico” che di fatto sarebbe prima di tutto un default per quei due terzi circa del debito in mano a banche e famiglie italiane, con tutte le conseguenze del caso.
Posso e voglio invece farvi notare come i miei colleghi delle principali banche d’investimento mondiale stiano seguendo con molta attenzione l’evolversi della situazione. Non solo Moody’s, che ha già segnalato come “mercati del debito sovrano dell'area euro restano vulnerabili a ulteriori shock di fiducia da parte degli investitori” e sembra prefigurare possibili tagli del rating sovrano italiano in caso di una ulteriore empasse politico-economica, ma anche, come detto ieri, gli uomini di banche come Credit Agricole e Credit Suisse continuano a tenere d’occhio che succede nel Belpaese. I mercati per ora non sembrano dar molto retta (anche stasera la borsa italiana ha recuperato terreno, con lo spread Btp-Bund sceso al 3,28%), ma sono fragilissimi come si vede osservando l’andamento assolutamente irregolare degli indici di borsa (e dello spread tra Bund e titoli dei sovrani periferici come Italia e Spagna) nell’arco di una singola seduta. A cauterizzare i mercati per ora è soprattutto l’azione vigile di Mario Draghi, pronto a spiegare nuovamente, come ha fatto oggi a Monaco di Baviera (guarda caso di fronte a un pubblico in gran parte tedesco) che la Bce non ha alcuna fretta di alzare i tassi e che se il bilancio della Banca centrale europea potrà restringersi “naturalmente” entro fine anno per il graduale rimborso anticipato dei prestiti a tre anni ricevuti l’anno passato da oltre 800 banche europee, con un’inflazione destinata a rimanere “ampiamente sotto il 2%” per i prossimi 12 mesi, non c’è motivo né voglia di abbandonare la politica di stimoli monetari ad una crescita reale che resta asincrona e fondamentalmente debole.
Tutto tranquillo, dunque? Ma anche no: ancora una volta gli uomini di Credit Suisse, in un report dedicato allo scenario dei mercati, sono tornati oggi a parlare dell’Italia sottolineando come il risultato elettorale italiano “prefigura un’instabilità politica (che) ha complicato ancora di più la situazione a seguito delle nuove elezioni” e come l’economia fatichi a stabilizzarsi anche se un recente studio del Fondo monetario internazionale ha mostrato come “rispetto a uno scenario di fondo caratterizzato da un’assenza di riforme, l’implementazione completa delle riforme andrebbe a far salire il Pil reale italiano del 5,7% in un orizzonte di cinque anni e del 10,5% nel lungo termine”. Chiaramente l’importante sarebbe non bloccare del tutto il cammino delle riforme e semmai accelerarle, magari ricordando come gli impatti maggiori sembrino poter derivare “dall’incremento della concorrenza e dalla deregolamentazione in alcuni settori/professioni (+4,4% in 5 anni)”, mentre anche le riforme del mercato del lavoro e l’incremento della partecipazione della forza lavoro femminile potrebbero “ancora avere un impatto consistente (1,1% in 5 anni)”.
Insomma: il quadro resta incerto, il dialogo tra i tre blocchi politici più rappresentati nel neoeletto Parlamento finora assomiglia a un dialogo tra sordi e sopra le nostre teste resta la spada di Damocle rappresentato dal debito accumulato nei decenni passati, per rimuovere il quale semplicemente non si può sperare di basarsi su provvedimenti “anti casta” e “anti evasione” (dai primi si otterrebbe un risultato numericamente modesto, mentre i secondi restano di difficile quantificazione dopo decenni di “annunci” in tal senso). In compenso se verranno rafforzate le misure a favore di una maggiore concorrenza e più in generale di una maggiore flessibilità dell’economia (che non si ritorca contro i lavoratori, come accaduto finora secondo ricerche condotte anche dalla Sda Bocconi), una speranza di vedere un po’ di luce dopo un lungo tunnel esiste, tanto che sempre gli uomini del Credit Suisse hanno segnalato come nell’attuale situazione di incertezza possano esistere “interessanti opportunità d’investimento” dato che la “difficile governabilità post elezioni inverosimilmente chiarirà la situazione agli investitori”.
Non che questo significhi che vedremo la borsa italiana salire ininterrottamente, anzi: l’incertezza rischia di penalizzare chi avrebbe maggiormente guadagnato da un governo di centro-sinistra a guida Bersani ipotizzato fino alla scorsa settimana come esito più probabile, ossia i titoli finanziari. “Ciononostante, dopo la recente svendita, la valutazione dovrebbe cominciare a fornire un sostegno, quando problemi politici si saranno placati”. Tradotto in parole povere: se nessuno sarà tanto irresponsabile da condurre volontariamente il paese nel baratro, la ripresa potrebbe non essere così lontana (seconda metà del 2013? inizio del 2014?), dopo molti annunci a vuoto. Soprattutto se, aggiungo io, si riuscirà a concordare coi partner europei un cammino credibile di più graduale rientro dal debito, così da non buttare alle ortiche i sacrifici finora fatti. Ipotesi che finirebbe col danneggiare seriamente anche gli interessi dei nostri partner comunitari.