Ho provato a spiegarlo già ieri: nell’attuale crisi del debito l’Italia non può e non deve fare ulteriori concessioni alla Germania e se, come probabile, non saranno gli atti “virtuosi” che pure il governo italiano ha intrapreso a convincere il cancelliere Angela Merkel allora Mario Monti dovrà tentare di forzare la mano e ricordare da un lato che dopo la Gran Bretagna se uscisse anche l’Italia per Berlino sarebbero guai seri, perché l’Italia uscendo finirebbe a pezzi, con inflazione in crescita e disoccupazione in ulteriore aumento, nonché con l’immediata fuga degli investitori dai nostri titoli di stato, ma in compenso “guadagnerebbe”, se è un guadagno, il ritorno a una flessibilità dei cambi che dovrebbe preoccupare la Germania sia perché si ritroverebbe con una “piccola Cina” alla porta, sia perché a quel punto il rischio di un’autentica esplosione dell’Eurozona sarebbe concreto, con conseguenze da brivido.
E’ chiaro a tutti, spero, che si tratta di un’ipotesi estrema, cui non assegnerei al momento più di un 5% di probabilità di realizzarsi, pure debbo ricordarlo ogni volta visto che in molti mi continuano a chiedere “che succederebbe se come c’è scritto nel prospetto dell’aumento di capitale di UniCredit l’Italia uscisse dall’euro”? Un’ipotesi da autentico Armageddon, che come mi confermano amici gestori troverebbe un’unica parziale forma di rifugio per un risparmiatore italiano nel detenere unicamente liquidità su conti correnti in valuta estera (possibilmente all’estero, visto che nulla vieterebbe a quel punto allo stato italiano, date le circostanze straordinarie, di imporre prelievi patrimoniali su depositi di qualsiasi genere e valuta, come del resto già accaduto nel 1992 sotto il governo Amato) o al limite T-bond o Bund, titoli questi ultimi che piacciono talmente tanto da avere da tempo raggiunto rendimenti nulli o negativi in termini reali: a fronte di un’inflazione tuttora sopra il 3% in Italia, investire in T-bond a 10 anni significa al momento guadagnare l’1,95% lordo annuo, ossia perderci circa l’1,35% in termini reali, investire in Bund a 10 anni rende ancora meno, l’1,88% lordo, con una perdita reale dell’1,42% all’anno (in entrambi i casi si guadagnerebbe tuttavia l’eventuale deprezzamento delle “nuove lire” che dovessero seguire l’uscita del Belpaese dall’euro, deprezzamento che in molti stimano tra il 30% e il 40%).
Monti insomma non ha molte pallottole da sparare, se non convincere la Merkel che o si troveranno fondi adeguati per rassicurare i mercati che l’Eurozona ha la capacità di uscire dalla crisi con le sue forze o saranno guai per tutti, indipendentemente dal rigore e dalle “virtù” contabili di ciascuno. Peraltro Monti, magari tramite il suo ministro dello Sviluppo Corrado Passera, farebbe bene a mettere in riga le banche italiane che per problemi legati alla gestione del controllo ancora fanno melina sugli aumenti di capitale e, cosa ancora più grave, su una seria riorganizzazione. Ragazzi, siamo nel 2011 e non è possibile che per avere un piccolo prestito un imprenditore cliente di UniCredit debba aspettare per settimane le decisioni di direzioni situate dall’altra parte dell’Italia (se va bene) o dell’Europa (se non va altrettanto bene), mentre poi l’alta direzione inopinatamente partecipa a “salvataggi” di gruppi familiari come quello Ligresti o Biasi (quest’ultimo facente capo a Paolo Biasi, presidente di Fondazione Cariverona ancora, non si sa per quanto di questo passo, tra i maggiori azionisti di riferimento di UniCredit).
La situazione della banca guidata da Federico Ghizzoni non è del resto eccezionale, nel senso che in Italia i conflitti d’interesse e le ragnatele di rapporti incrociati tra debitori e creditori, imprese e banche, magari con l’intervento di esponenti e partiti politici locali e nazionali non è l’eccezione ma la regola da decenni. Così a Milano qualcuno inizia a pensare che proprio Ghizzoni dovrà sudare la riconferma indipendentemente dalla riuscita o meno dell’aumento di capitale (imponente e giunto in un momento difficile, col rischio di pesare a lungo sulle quotazioni del titolo) e che se non troverà il modo di organizzare in maniere più funzionale il gruppo, badando meno al bilanciamento nella distribuzione del potere tra le varie componenti e più alla razionalità ed efficienza dell’organizzazione potrebbero proprio essere i soci tedeschi, guidati dal presidente Dieter Rampl, a chiedergli di togliere il disturbo e prendere in mano la situazione. Un rischio che mi sembra corra il paese intero se non saprà varare in tempo riforme incisive e in grado di ridare competitività all’economia italiana.