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Opinioni

Italia-Germania 150 miliardi a zero? Ma anche no: le sofferenze non migliorano

L’estensione massima delle garanzie pubbliche sulle tranche senior delle cartolarizzazioni di Npl che le banche emetteranno entro fine anno potrebbe migliorare il mercato dei crediti non performanti. Ma non sposta di una virgola il problema dei 200 miliardi di sofferenze lorde ancora nei bilanci del sistema bancario italiano…
A cura di Luca Spoldi
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Italia-Germania 150 miliardi a zero? Per favore, evitiamo le iperbole perché davvero non è il caso. Antefatto: l’Italia per mesi ha provato a far passare la proposta di dar vita a una “bad bank sistemica”, ossia ad un fondo “a perdere” in cui le banche avrebbero potuto riversare, a valori presumibilmente prossimi a quelli di bilancio, dunque nettamente superiori all’effettivo valore che il mercato è disposto a riconoscere, gli Npl (Non performing loans, crediti più o meno marci). Siccome la “bad bank sistemica” avrebbe dovuto essere pubblica direttamente (se fosse stata controllata dal Tesoro) o indirettamente (se tra i soci fosse stata chiamata ad esempio Casssa depositi e prestiti, controllata all’85% dal Tesoro), a rischiare l’eventuale minusvalenza sarebbero stati i contribuenti, che negli anni a venire avrebbero corso (o correranno, se mai tale ipotesi tornasse in auge) il rischio di dover coprire gli eventuali ammanchi.

La Commissione Ue, cui ogni stato membro deve prima chiedere via libera per poter concedere aiuti di stato, peraltro nell’ambito di regole decise di comune accordo (sia pure sotto la pressante “regia” della Germania) relative alla procedura da adottare, ormai di “bail in” (prima si escutono azionisti ed eventualmente obbligazionisti e poi creditori non garantiti, dopo può eventualmente intervenire lo stato, come già accadde per il salvataggio di Cipro e poi per le quattro banche italiane “risolte” lo scorso dicembre) e non più di “bail out” (intervento pubblico prima dell’escussione di obbligazionisti e creditori, come fu per il “salvataggio” della Grecia), non ha dato via libera e i contribuenti italiani tirano un sospiro di sollievo. E continuano a tirarlo anche ora che, come rilancia la stampa italiana, la possibilità, questa sì concessa al posto della “bad bank” già a inizio anno, di concedere garanzie pubbliche a tutela di società (banche nello specifico) che risultino ancora solvibili sul debito “senior” che queste potranno emettere è stata innalzata sino a un massimo di 150 miliardi, concedibili da qui a fine anno (salvo ulteriori, probabili, proroghe).

In soldoni: i soldi non ci sono, i 150 miliardi sono il controvalore delle garanzie che lo stato può prestare su un debito “senior” ossia di buona qualità, dunque legato ad esempio alla cartolarizzazione di crediti “in bonis” o appartenenti alle classi meno problematiche degli Npl. Per le garanzie le banche (o altri emittenti) dovranno pagare una commissione, che sarà certamente inferiore a quelle, piuttosto esose anziché no, che ha dovuto pagare, ad esempio, Mps per strumenti “innovativi” come i Monti Bond, ma costituiranno comunque un ulteriore onere finanziario che andrà a pesare sul bilancio dell’emittente dei bond garantiti. L’effetto è comunque positivo, perché la garanzia statale potrà favorire l’incontro tra domanda e offerta aumentando il prezzo che i potenziali acquirenti saranno disposti a pagare per sottoscrivere i bond in questione, ma riguarda una parte dei 360 miliardi di Npl tuttora nelle casse delle banche italiane.

Quanto grande sarà questa parte? Ovviamente sino a massimi 150 miliardi (ma non è detto che si arrivi a tale cifra, visto che una parte di questi bond potrebbero comunque avere acquirenti come il fondo Atlante anche senza garanzie pubbliche), cifra che guarda caso corrisponde a quella parte dei 360 miliardi di cui sopra che non rientra nelle sofferenze (pari a poco più di 200 miliardi), dato che queste ultime possono essere inserite solo in tranche “junior”, ossia di bassa qualità (ossia con un rischio e un rendimento atteso più elevato per i sottoscrittori). Essendo più elevato il rischio, sarà più basso il prezzo offerto e pertanto su questa parte di crediti “marci” la distanza che esiste tra domanda e offerta, non intervenendo neppure la garanzia pubblica, difficilmente potrà ridursi se non in misura del tutto trascurabile. Gli Npl “non sofferenti” in realtà stavano già iniziando a vedere un mercato, come confermano le continue segnalazioni di cessioni di pacchetti più o meno consistenti (290 milioni ceduti da Mps la scorsa settimana, poco prima della “Brexit”, 1,8 miliardi che Banca Carige si prepara a cedere, la metà entro la fine dell’anno, l’altra metà entro l’anno successivo.

Il provvedimento è dunque benvenuto, ma non è la ricetta miracolosa, né tanto meno è la “bad bank sistemica” (ossia sulle spalle dei contribuenti) che le banche stanno ancora tentando di ottenere. Perché tanto accanimento se un giorno sì e un altro pure i nostri banchieri rassicurano circa la solidità dei nostri istituti? Perché mentre sugli Npl alcuni (Intesa Sanpaolo e Unicredit) si sono già attrezzati per guadagnare dalle transazioni, sulle sofferenze, come detto, occorrerà ancora tempo prima che lo spread tra domanda e offerta si chiuda. Nel frattempo chi può continuerà a fare accantonamenti, magari tenendosi in equilibrio con la “necessità” di accontentare gli azionisti, in particolare le Fondazioni, con flussi più o meno consistenti di dividendi. Chi non può continuerà a ricorrere alla Bce per ottenere liquidità e andare avanti, cercando di tagliare i costi (e dunque filiali e personale) ove possibile, senza mai potersi dire del tutto al sicuro da rischio di risoluzione se la congiuntura dovesse peggiorare o la Brexit avesse davvero esisti nefasti.

Per fortuna la Brexit non sembra al momento così terribile come si pensava, ma non perché non sia un evento trascurabile, semmai perché le banche centrali hanno svolto al meglio il proprio compito, convincendo i mercati di essere pronte a usare i “bazooka” ancora prima di averli fatti realmente vedere. Al governo va riconosciuto se non altro di aver saputo giocare di rimessa e sfruttare l’unica occasione in contropiede che si è manifestata, senza però riuscire a fare goal. Non è molto, non si è vinta alcuna partita, ma è sempre meglio della situazione che avevamo di fronte esattamente una settimana or sono. E scusate se è poco.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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