L’Istat assicura: “A fine 2013 saremo fuori dalla recessione”
L'Istat vede rosa e pronostica la fine della recessione in Italia entro il 2013. "Alla fine dell'anno avrebbe termine la fase recessiva iniziata nel secondo semestre del 2011", ha affermato il presidente facente funzioni dell'istituto di statistica, Antonio Golini, nel corso di un'audizione in Senato sul ddl stabilità. Allo stesso tempo ci sarà un calo "seppur limitato" del Pil su base annua: -1,8% rispetto al livello del 2012. A ciò seguirà "una debole variazione positiva" e a fine anno dovrebbe quindi "terminare la fase recessiva iniziata nel secondo semestre del 2011". L'andamento trimestrale del Prodotto interno lordo italiano "dovrebbe segnale nel terzo trimestre un calo, seppur limitato, seguito da una debole variazione positiva nel quarto trimestre. Alla fine dell'anno avrebbe quindi termine la fase recessiva iniziata nel secondo semestre del 2011", sottolinea Golini.
Ma le buone notizie finiscono qui. Il dato più preoccupante dell'analisi Istat esposta da Golini è quello riguardante il numero di individui in assoluta miseria. L'Istat infatti sottolinea come dal 2007 al 2012 sia raddoppiato, passando da 2,4 a 4,8. In tal senso, viene evidenziato come la recessione abbia determinato "gravi conseguenze" sull'intensità del disagio economico. "In particolare – ha aggiunto Golini – nell’ultimo anno, l’aumento si estende anche a fasce di popolazione che, tradizionalmente, presentano una diffusione del fenomeno molto contenuta grazie al tipo di lavoro svolto e/o al secondo reddito del coniuge".Ad ogni modo, quasi la metà dei poveri assoluti risiede a Sud (2 milioni 347mila, quando nel 2011 erano 1 milione 828 mila). "Di questi oltre un milione (1,058) sono minori (erano 723 mila nel 2011) con un’incidenza salita in un anno dal 7 al 10,3 per cento".
Golino rileva anche che la situazione è peggiorata anche se si guarda ai consumi: la quota di famiglie che ha ridotto qualità o quantità dei generi alimentari acquistati aumenta dal 51,5% del primo semestre del 2011 al 65% del primo semestre 2013, con una punta del 77 per cento nel Mezzogiorno. Un’evidenza simile si osserva sopratutto nel caso dell’abbigliamento e delle calzature.