Iran condanna a morte ricercatore Università di Novara. La moglie: “Pensano sia una spia”
Ahmadreza Djalali è un medico iraniano di 45 anni, con un dottorato di ricerca conseguito al Karolinska Institutet di Stoccolma. Per quattro anni ha lavorato a Novara, all’Università del Piemonte Orientale, come ricercatore capo al Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi. Ed ora è stato condannato a morte dai giudici di Teheran. Secondo quanto riferito dalla moglie al Corriere della Sera, è accusato di essere una spia. “Sono passati nove mesi dall’arresto di mio marito in Iran — dice Vida Mehrannia che con Ahamdreza ha avuto due figli che oggi hanno 5 e 13 anni —. All’inizio non ho denunciato la cosa perché un poliziotto ha chiamato la mia famiglia a Teheran avvertendo che non dovevo parlarne, e io temevo di danneggiare la situazione. Ma non posso più tacere: ieri Ahmad ha chiamato sua sorella, le ha detto che sarà giustiziato con l’accusa di collaborazione con Paesi nemici. Pensano che sia una spia. Ma è solo un ricercatore”.
Djalali avrebbe collaborato all’estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei paesi che soffrono la povertà e sono funestati da guerre civili e disastri naturali, garantiscono i colleghi che hanno lavorato con lui e che adesso hanno lanciato un appello per ottenere la sua liberazione, a cominciare da Roberta Petrino, presidente dell’Eusem, la European society for emergency medicine, nonché presidente regionale del Simeu. La Regione Piemonte si è subito mobilitata per Ahmadreza Djalali: “Chiediamo l'immediata revoca della sua condanna e la sua scarcerazione, sollecitando il Governo e l'Unione europea a intervenire presso le autorità iraniane”, è la richiesta dell'assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta.
Inizialmente si pensava che il 45enen fosse stato vittima di un incidente, poi però è emersa la drammatica verità. Djalali era stato rinchiuso, senza processo, nella prigione di Evin, in isolamento e senza avvocato. "Per tre mesi — racconta la moglie — è stato tenuto in isolamento assoluto. Poi è stato spostato nel Reparto 7, con gli altri prigionieri e per la prima volta gli hanno permesso di avere un avvocato che però non ha accesso al suo file e non può parlarci del caso perché è di sicurezza nazionale". Tre giorni fa è stato riportato nel Reparto 209 e qui, secondo la moglie, gli è stato confermato dal giudice che verrà impiccato dopo il processo che si terrà tra un paio di settimane. I colleghi fanno appello ai governi di Italia e Svezia, e all’Alto Rappresentante Ue Federica Mogherini.