Quando la politica diventa pancia, sdegno gratuito e troppa comunicazione succede che l'agenda delle riforme risenta inevitabilmente del momento storico. E non è un male, sia chiaro, se non fosse che poi, passato il rumore, le leggi promesse finiscono nel cassetto delle promesse non mantenute. Un cassetto zeppo, non c'è che dire. Così ogni volta che si discute del reato di tortura emergono i due soliti schieramenti: da una parte le destre filomilitari che sentono il dovere di difendere la divisa pregiudizialmente e dall'altra chi chiede alla giustizia di rimanere nei confini umani. Un dibattito di per sé anche noioso e prevedibile se non fosse che intanto qualcuno muore di botte, ogni volta.
Così mentre (finalmente) diventa chiaro che Stefano Cucchi sia stato violentemente (e ingiustificatamente) pestato per il divertimento di qualche carabiniere (e proprio di "divertimento" parla la moglie di un militare al telefono con il marito) è curioso andare a riprendere il "reato di tortura". Ve lo ricordate? Eravamo rimasti che l'Europa (era il 9 aprile di quest'anno) aveva dichiaratamente richiamato l'Italia per l'assenza nel codice penale del reato di tortura. Matteo Renzi aveva risposto, roboante come al solito, che il Governo avrebbe risposto alla Corte di Strasburgo nel migliore dei modi, inserendo quanto prima il reato nel codice penale e attivando immediatamente le Camere per lo studio della legge.
E poi? Poi nulla. Anzi, peggio. La Commissione Giustizia in Senato comincia la valutazione di un testo già monco rispetto alle direttive europee, un progetto di legge, tanto per capirsi, che punisce i torturatori solo se le violenze sono più d'una. Insomma: torturare la prima volta è lecito, mentre solo ripeterlo è un reato. Roba da fare accapponare la pelle per la strisciante ottusità di una preoccupazione di "avere le carte a posto" piuttosto che scrivere una legge giusta. E siamo ben lontani dalle richieste dell'Europa. Al solito. Così come non può non destare qualche dubbio la lista delle persone, enti e associazioni audite che si limitano ad alcuni capi delle forze dell'ordine e l'Associazione Nazionale Magistrati. Le associazioni e i comitati che si occupano di carceri e violenza? Niente. Non pervenuti. La legge sparisce dall'ordine del giorno della Commissione e si inabissa. Silenzio totale.
Finché non arriviamo ad oggi, a quelle parole terribile di Stefano Cucchi reso cencio a suon di botte e soprattutto all'incredibile epilogo di un'altra vicenda, questa volta in carcere ad Asti, che vede due detenuti torturati dalla polizia penitenziaria. Nel 2012, dopo il dibattimento in aula, il Giudice scrive nella sentenza che "i fatti in esame potrebbero essere agevolmente qualificati come tortura […] ma non è stata data esecuzione alla Convenzione del 1984 […] né sono state ascoltate le numerose istanze (sia interne che internazionali) che da tempo chiedono l'introduzione del reato di tortura nella nostra legislazione […] in Italia non è prevista nessuna fattispecie penale che punisca coloro che pongono in essere i comportamenti che (universalmente) costituiscono il concetto di tortura". L'associazione Antigone e Amnesty decidono di portare la questione alla Corte Europea e il ricorso viene dichiarato ammissibile. E l'Italia che fa? Accelera il percorso del disegno di legge? No. Magari. Il Governo propone ai due detenuti una transazione amichevole di 45.000 euro a testa.
E il reato di tortura? Dov'è finito?