Uno studio ha scoperto chi è la vittima perfetta per le fake news: l’identikit
Sono dei bot o delle persone reali? Da questa domanda è partita lo studio "Supersharers of fake news on Twitter". Un titolo, un programma, ovvero individuare i "superdiffusori" (traducendo letteralmente dall'inglese "supersharers") di fake news sugli account statunitensi di Twitter. Che oggi si chiama X, lo sappiamo, ma che all'epoca dello studio, nel 2020, non era ancora stato rivoluzionato dall'arrivo di Elon Musk.
La risposta è semplice: sono degli esseri umani i responsabili della disinformazione che è stata la piaga di uno dei social più utilizzati al mondo. Più precisamente, sono donne anziane e repubblicane.
L'identikit dei superdiffusori di fake news
Oltre 650.000 account presi in considerazione su Twitter dai ricercatori. Tutti appartenenti a statunitensi registrati alle liste elettorali. Così gli studiosi sono riusciti a confrontare i profili sul social con i dati anagrafici e di voto degli utenti. Dall'analisi incrociata, si è scoperto che solo una briciola dei profili ha diffuso l'assoluta maggioranza dei link che portavano a siti disinformativi: appena lo 0,3% degli account (quindi 2107) era responsabile dell'80% della condivisione di siti di fake news. Gli scienziati li hanno definiti "superdiffusori".
L'identikit non mente. Oltre il 60% appartiene a donne, l'età media degli utenti in questione è di 58 anni (20 in più rispetto alla media dei profili analizzati) e due su tre sono registrati come elettori repubblicani. Insomma, un'identità molto lontana da quello che ci si potrebbe aspettare: "Si potrebbe pensare – scrivono i ricercatori – che la condivisione massiccia di questi link arrivi da individui giovani, maschi ed esperti di tecnologia che si sentono esclusi dalla società tradizionale". E invece.
Quante notizie da siti di disinformazione condividevano nel 2020
Un algoritmo per studiarli tutti. Grazie al machine learning, i ricercatori hanno analizzato una grande quantità di tweet (come si chiamavano prima che Twitter diventasse X) di contenuto politico. Da questo gruppo di post sono stati presi quelli in cui era presente un link a una notizia. Poi hanno confrontato il sito a una lista di testate che notoriamente condividono disinformazione.
Nel periodo preso in analisi – cioè in corrispondenza con le elezioni presidenziali americane del 2020 – "solo" il 7% delle notizie condivise su Twitter era preso da siti disinformativi. E, hanno scoperto i ricercatori, quattro su cinque sono state ripubblicate dai "superdiffusori". Com'è possibile che sia stato un gruppo così ristretto di utenti a condividere l'80% della disinformazione sul social? La ragione è da cercare anche nella frequenza e quantità di post pubblicati dai profili che rispondono all'identikit: in media, 16 link contro uno al giorno di tutti gli altri utenti.
Pochi, ma prolifici. E anche interconnessi. "Stanno effettivamente gridando al vento, mentre nessuno ascolta, o hanno trovato un grande pubblico online?", questa la domanda dei ricercatori. La risposta non è tranquillizzante: il 5% di tutti gli account presi in esame seguivano almeno un superdiffusore. E i tweet di questi ultimi ricevevano più ricondivisioni, mi piace e risposte. Una ricerca che guarda al passato, ma che getta un dubbio su un futuro non troppo remoto: chi sono i superdiffusori di disinformazione su X in occasione delle elezioni americane del 2024?