Un videogame del 2019 ha previsto molte cose del mondo in cui viviamo: le profezie di The Outer Worlds
Inauguration Day. Tra le prime file, ad attendere l’ingresso di Donald Trump in qualità di 47° presidente degli Stati Uniti, ci sono Elon Musk, Sundar Pichai, Jeff Bezos, Tim Cook, Mark Zuckerberg. Sono gli uomini più ricchi del mondo. Ciascuno di loro rappresenta megacorporazioni come SpaceX, Google, Amazon, Apple e Meta. Tra gli esponenti politici, figura invece la premier Giorgia Meloni, unica leader europea presente. Uno scorcio che testimonia l’influenza e il potere delle aziende rispetto agli Stati.
Un videogioco del 2019 aveva già inquadrato questa tendenza oggi diventata palese, ipotizzando un universo in cui a governare non sono più le istituzioni, ma i magnati delle corporation. Vediamo nel dettaglio che tipo di futuro ci attende in The Outer Worlds, un gioco di ruolo distopico Sci-Fi sviluppato da Obsidian, studio californiano che ha lavorato anche a Pentiment e Fallout New Vegas.
Il mondo del lavoro nel futuro di The Outer Worlds
In The Outer Worlds, l’umanità è riuscita a lasciare il Sistema Solare per giungere in quello di Alcione. Tuttavia, dietro questo risultato, non ci sono agenzie governative o internazionali, tipo la Nasa o l’Esa, ma megacorporazioni di finzione. Rizzo’s, Auntie Cleo, Brook & Olson sono solo alcune delle trenta aziende che gestiscono la colonizzazione dei pianeti di Alcione, iniziata nel XXIII secolo. Nei panni del protagonista, gireremo in città spaziali il cui unico mantra è il lavoro. Per questa ragione, i proprietari delle aziende sono considerati dei geni visionari, dato che hanno consentito alle persone comuni di dare un senso alla propria vita grazie ad un’occupazione presso le loro società. Poco importa se sia degradante, sottopagata e metta a rischio la salute: l’importante è non essere disoccupati.
È merito di tale visione se l’intera vita delle persone di The Outer Worlds gravita esclusivamente attorno al lavoro. Non c’è tempo né giustificazione per l’otium, la socialità, la famiglia, men che meno per la malattia. Ogni minuto in cui non si lavora è perso, questo vuol dire rimanere agli ultimi gradini della società. Non a caso, quando decidiamo di operare col personaggio principale a favore dei lavoratori, questi non ringraziano, ma guardano con paura la lotta al sistema, perché comunque, nonostante tutto, le aziende danno loro una professione e dunque un modo per guadagnare e sopravvivere. Una sopravvivenza sospinta dal sogno di essere come coloro che “ce l’hanno fatta”.
Per i proprietari delle corporation è una società perfetta, da cui trarre manodopera a basso costo, i cui esponenti sgomitano per prevalere sui propri pari e ottenere l'agognato riscatto sociale. In termini politici, questo si traduce in totale assenza dei diritti dei lavoratori, in mancanza di tutele ambientali e una retorica aziendalista costante. Il tutto in nome del profitto. Quanto alla creatività e alla cultura, esse stanno svanendo. “La produzione ha divorato il tempo dei lavoratori, che trovano invece intrattenitivo offrire ulteriore lavoro alle aziende, poiché solletica la loro percezione di essere considerati finalmente degni dipendenti” spiega il video di critica videoludica “The Outer Worlds – E se Elon Musk guidasse il futuro?” ad opera del canale Deeplay, “hanno dunque perso qualsiasi capacità di immaginare e quindi inventare il futuro”.
Una distopia non così lontana
Per raccontare questa distopia lavorista, The Outer Worlds utilizza un tono sarcastico e umoristico, e soprattutto ricorre a degli espedienti estetici e concettuali che rendono ancora più potente la sua critica contro di essa. Lo spazio resta una frontiera selvaggia da colonizzare attraverso il potere e la violenza. Un richiamo alla retorica tipica della Guerra fredda del secolo scorso. Anche le città industriali che costellano il Sistema di Alcione hanno un’estetica retro-futurista che guarda al Far West – per tornare al riferimento del dominio della frontiera – ma anche agli inizi del ‘900, anni in cui si forma l’elite industriale americana, composta da personalità come John D. Rockfeller, Andrew Carnegie e Henry Ford, “capitani d’industria interessati alla redditività, efficienza ed espansione delle loro imprese”, come li ha definiti lo storico americanista Arnaldo Testi in "Il secolo degli Stati Uniti".
Attraverso queste scelte stilistiche e narrative, The Outer Worlds pone davanti ai nostri occhi di giocatori e giocatrici una lente che permette di guardare tutto questo con confortevole distacco, come se quello ipotizzato non potesse mai toccarci. E invece, proseguendo nell’avventura, riusciamo a cogliere tutti i significati nascosti dall’umorismo e dello stile retro che criticano un mondo in realtà molto vicino, per percezioni e visioni comuni. Basti pensare al peso che hanno aziende come SpaceX per la conquista spaziale, Neuralink per le biotecnologie o ancora X, Meta e Google per il controllo delle informazioni e del dibattito pubblico,.
Come emerge in "Fantascienza. Storia delle storie del futuro" di Angela Bernardoni e Andrea Viscusi, sin da suoi esordi, la letteratura Sci-Fi ha dimostrato una grande capacità di lettura del presente per ipotizzare il futuro. Pochi esempi tra tanti: Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Il mondo della foresta di Ursula Le Guin e Il Neuromante di William Gibson.
Reinterpretazioni a tratti esasperate che però hanno previsto l’impoverimento culturale, la guerra come mezzo risolutore e la devastazione ambientale nonché l’intromissione totalizzante della tecnologia nella quotidianità. The Outer Worlds si inserisce in questo filone, immaginando un futuro dove al centro c'è il lavoro e l'ammirazione per le aziende, i cui concetti sono già riscontrabili nella nostra attuale società. Quanto visto all’Inauguration Day del 20 gennaio scorso, ce lo ha ricordato in modo amaro.