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Intelligenza artificiale (IA)

Un uomo è riuscito a parlare con il padre defunto ma era solo l’intelligenza artificiale

James Vlahos prima ha trasferito le memorie del padre in un “clone virtuale”, poi ha trasformato il suo lutto in un progetto al servizio di chi deve affrontare la perdita di una persona cara. Ma riportare in vita un defunto tramite l’intelligenza artificiale ha un costo e solleva alcuni problemi etici.
A cura di Velia Alvich
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Il business della morte ha radici profonde. Lasciare un caro alla vita oltre la vita non è più solo un fatto privato o familiare, ma un settore redditizio fatto di oggetti e pratiche. E da un po' sta diventando anche un servizio digitale. Non tanto per chi ha lasciato questo mondo, ma soprattutto per chi ci rimane e deve convivere con il ricordo.

Un mercato, quello della "death tech", la tecnologia della morte, che secondo il sito TechRound vale oltre cento miliardi. E che ogni giorno di più si arricchisce anche grazie all'intelligenza artificiale. Si moltiplicano i chatbot che permettono di parlare con i "defunti digitali". Non solo in Cina, dove è un business florido, ma anche in Occidente, dove comincia a prendere piede.

Come funziona Hereafter AI, l'app per tenere in vita le memorie di un defunto

Morte e intelligenza artificiale non sono una novità, o almeno non lo è per James Vlahos. Nel 2016 stava cominciando a conoscere i segreti degli algoritmi quando ha scoperto che al padre John avevano diagnosticato un cancro terminale. Un evento nella vita dell'uomo che lo ha spinto a unire la sua professione alla preparazione per il lutto. "Ho fatto un progetto di storia orale con lui, dove ho trascorso ore e ore a registrare la storia della sua vita", racconta alla Bbc.

Le memorie del padre sono diventate voce. La voce è diventata un insieme di ricordi digitali. Poi, quando il padre si è spento nel 2017, i ricordi digitali sono diventati per Vlahos un modo per conversare con il padre, ricordando insieme momenti significativi della sua vita terrena. Ma soprattutto, sono diventati un'idea: mantenere vive le memorie tramite un'intelligenza artificiale. Così è nata Hereafter AI (letteralmente, l'intelligenza artificiale dell'aldilà), un'app che permette di registrare la storia propria o altrui per poter essere consultata dai propri cari anche dopo la morte.

Il funzionamento è semplice. Nella prima parte del "ciclo di vita" dell'app, un assistente virtuale fa delle domande alla persona per raccogliere i suoi ricordi. Una sorta di intervista per registrare tutto il possibile prima che le memorie svaniscano nel nulla. Poi, grazie a un avatar (statico), chi rimane in vita può fare delle domande alla versione digitale del proprio caro scomparso, così da farsi raccontare aneddoti e storie del passato proprio con la voce di chi non ce l'ha più. Un progetto, quello del lascito digitale, che si sta diffondendo sempre di più, anche in forme "più avanzate".

Quali sono i problemi della creazione di "defunti digitali"

Hereafter AI, infatti, non è l'unica ad avere pensato a un modo per riportare in vita (virtuale) i defunti. Ci ha pensato anche DeepBrain AI, un'azienda sudcoreana specializzata proprio nella creazione di avatar grazie all'intelligenza artificiale. A differenza dell'app di Vlahos, infatti, DeepBrain AI permette agli utenti di creare dei cloni digitali che sono dinamici e che riprendono il volto, la voce e anche i gesti di chi non c'è più (ma non solo).

“Cloniamo le sembianze della persona con un grado di somiglianza del 96,5% rispetto all’originale”, ha detto Michael Jung, Cfo dell'azienda, "così che i familiari non si sentano a disagio nel parlare con un defunto". Una somiglianza che, però, ha un costo in denaro (creare una copia richiede un investimento da 46.000 euro circa), ma anche un costo etico. Tenere digitalmente in vita una persona morta costringerà presto a farsi domande su chi avrà il diritto di "disporre" dell'immagine virtuale e delle sue memorie, ma anche su quale sia l'impatto sulla vita di chi rischia di convivere per sempre con un lutto che non andrà mai via.

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