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Sportiello (M5S): “L’effetto Ferragnez mostra una cosa ovvia sulle foto dei minori sui social”

La proposta presentata dal Gilda Sportiello, deputata del Movimento 5 Stelle, verrà discussa a giugno di Parlamento. “Questa legge non ha un intento punitivo. È un’occasione per creare un dibattito su come i contenuti postati dai genitori possono danneggiare i figli”.
Intervista a Gilda Sportiello
Deputata del Movimento 5 Stelle e firmataria di una proposta di legge per regolamentare la presenza dei minori sui social
A cura di Velia Alvich
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Gilda Sportiello, deputata del Movimento 5 stelle, ha presentato una proposta di legge per mettere dei paletti alla presenza dei minori sui social, che verrà discussa fra i banchi del Parlamento a giugno. Innanzitutto per tutelare il diritto all'immagine dei più piccoli di fronte allo sharenting, la pratica di condividere costantemente l'immagine dei propri figli online. Ma anche per regolamentare il fenomeno dei baby influencer: giovani, a volte giovanissimi creator che fanno un vero e proprio lavoro, da cui guadagnano anche somme considerevoli.

O, in certi casi, che prestano inconsapevolmente la propria immagine sul web per fare guadagnare un genitore influencer. Un quadro per adesso senza regole che ha fatto a lungo parlare, specialmente in relazione al caso dei Ferragnez e della costante esposizione dei due figli della (ormai ex) coppia davanti a milioni di utenti.

Come è nato il disegno di legge? Cosa le ha fatto capire che era il momento di portare la proposta in Parlamento?

In realtà è qualcosa a cui sto lavorando da tempo. Basta aprire i social per capire che c'è la necessità di agire. Per esempio, esistono profili dedicati ai minori gestiti completamente dai genitori, in cui i figli sono coinvolti non per loro volontà. Molto spesso vengono proiettati sentimenti da adulti su bambine e bambini. In alcune occasioni assistiamo anche all’espressione di un vero e proprio ruolo lavorativo dei minori nei casi in cui addirittura si generano profitti. La Francia è uno dei Paesi che ha agito. Adesso tocca all'Italia perché siamo di fronte a un aumento esponenziale di questo fenomeno.

Crede sia cambiato qualcosa nella sensibilità pubblica, specialmente dopo i recenti episodi di cronaca? Esiste un “effetto Ferragnez”?

L’effetto Ferragnez può essere la dimostrazione di quello che era già palese, sotto gli occhi di tutti. È incredibile come anche gli aspetti della crescita più privati e intimi finiscano in rete con la complicità dei genitori, che molto spesso dimostrano anche di non essere consapevoli di quello che stanno facendo e del rischio a cui stanno esponendo i propri figli. Nel momento in cui si pubblica un contenuto sui social, questo è ormai fuori dal controllo dei genitori e può finire in qualsiasi rete. Anche quelle pedopornografiche, come dimostrano alcune ricerche.

Quali altri rischi corrono i bambini?

La crescita psicofisica dei bambini e delle bambine corre un grave rischio, perché molto spesso nel tempo si accorgono che la propria identità è completamente diversa da quella che viene rappresentata attraverso i social. Potrebbero voler ricorrere anche al diritto all'oblio, ma sappiamo benissimo che è difficile farlo. Bisogna avere anche dei requisiti di età. Ho proposto di abbassare questo limite cosicché, non appena il ragazzo e la ragazza cresciuti volessero scrollarsi di dosso questa identità digitale, costruita a loro insaputa, potrebbero farlo.

Come ci si può assicurare che fino ad allora il genitore faccia l’interesse del figlio?

Nel caso dei baby influencer, per esempio, ci sono delle norme che fanno riferimento alle regole sul lavoro che potrebbero essere usate anche quando i contenuti che li riguardano vengono pubblicati sui social network. Ci sono dei bambini e delle bambine che sono diventati degli influencer pur non avendo la capacità di sceglierlo, ma che generano dei profitti importantissimi. In quel caso la proposta di legge prevede di destinare questi profitti a un conto corrente intestato al minore, ma che sia gestito da un curatore nominato dal tribunale. Una volta raggiunta una certa età, il minore potrebbe usufruire di una parte di questi soldi, sempre tramite la decisione del tribunale, per degli scopi che riguardano i suoi esclusivi interessi.

Una volta che un baby influencer comincia la sua “attività” però non si può fare nulla.

In realtà ci deve essere anche un monitoraggio, un'autorizzazione che deve essere rinnovata ogni sei mesi attraverso la valutazione dei contenuti condivisi o l'ambiente dove vengono realizzati, per esempio. Questa serie di valutazioni può portare alla revoca dell'autorizzazione. Insomma, i baby influencer non potrebbero più fare sponsorizzazioni e condividere i contenuti su internet, se per esempio ci si rendesse conto che vengono esposti a degli ambienti che non tutelano i minori.

È difficile stabilire il confine tra la “semplice” esposizione di un figlio nei social e un eventuale ritorno commerciale indiretto. Come si può valutare oggettivamente se c’è profitto?

Nella proposta ho previsto che vengano emanati dei decreti per individuare delle soglie limite oltre le quali si possa fare la dovuta distinzione.

E come si può capire se c’è una forma di sfruttamento del minore?

C'è anche la possibilità di segnalare. Ovviamente in questi casi la segnalazione può venire non solo dal minore, ma per esempio anche da parte della scuola o dei servizi sociali. Purtroppo non ci si rende conto del danno che si fa, soprattutto sui bambini che iniziano a costruire le loro capacità relazionali, non interagendo con delle persone fisiche, ma attraverso il rapporto con uno schermo, esposti ai commenti dei follower che già colpiscono noi adulti. Cosa succede a un bambino o a una bambina che sta crescendo?

Come pensa che andrà la proposta in Parlamento?

Posso dire quello che mi auguro. Visto che si parla di tutela di bambini e bambine, mi auguro che nessuno ne faccia una battaglia ideologica o pregiudizievole ma si lavori tutti insieme nell'interesse comune e senza logiche di partito. Spero si possa trovare una convergenza e che si intervenga il prima possibile.

Come madre, nella sua sfera privata cosa ha deciso di fare per quanto riguarda le immagini di suo figlio?

Io non espongo mio figlio. Quando nasce un bambino, i genitori vogliono condividere giustamente questo entusiasmo. Ma anche in quell'occasione io ho deciso di non farlo. L'unica volta in cui è accaduto, è capitato mentre al lavoro con mio figlio pur con tutte le precauzioni del caso, per esempio coprendolo. Lui è venuto al lavoro con me così come io andavo al lavoro con mia madre che aveva una bancarella al mercato.

Crede che questa proposta di legge sia il momento per fare anche un discorso “educativo” sulla condivisione dell’immagine dei propri figli online? Magari condividendo anche la sua esperienza personale.

Sì, sono convinta che questa sia l'occasione anche per aprire una riflessione, per creare un dibattito nel nostro Paese. Un’occasione non solo per legiferare, ma anche per riflettere insieme e per condividere anche le ricerche su questo tema. Così che i genitori che non sanno che questi contenuti possono finire in reti molto pericolose, o che comunque possono danneggiare i propri figli, possano utilizzare in maniera più consapevole i social.

Se qualcuno dovesse accusarla di voler vietare che le foto dei propri figli vengano pubblicate sui social, lei cosa risponderebbe?

La legge non ha alcun intento punitivo a prescindere: ribadiamo però ciò che la carta di Treviso già sancisce e cioè che la diffusione di immagini e contenuti può avvenire se è nel primario e oggettivo interesse del minore che ha diritto alla riservatezza e ciò è sicuramente prioritario. Ci sono famiglie che condividono i propri vissuti, in cui i ragazzi sono partecipi: il loro consenso è fondamentale. Insomma, bisogna capire che si tratta di inserire delle norme per dare una tutela ai minori.

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