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Sostituiti da un computer: cosa succede ai lavori che può fare l’intelligenza artificiale

Negli ultimi mesi l’opinione pubblica ha conosciuto le potenzialità di intelligenze artificiali generative in grado di produrre testi, foto e porzioni di codice. Quale impatto avranno sul mondo del lavoro?
Intervista a Maurizio Del Conte
Professore del Diritto del Lavoro all’Università Bocconi di Milano
A cura di Valerio Berra
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Nella versione della Fabbrica di Cioccolato portata al cinema da Tim Burton il padre del protagonista è un operaio in una ditta di dentifrici. La sua mansione è una sola: avvitare tappi sui tubetti che escono dalla catena di montaggio. Un giorno scopre di essere stato sostituito. Nella sua postazione in fabbrica arriva un braccio meccanico. È in grado di avvitare tappi senza chiedere pause, ferie, senza ammalarsi, distrarsi, desiderare dei figli o altre velleità della nostra specie. Le rivoluzioni industriali sono scandite dall’arrivo di tecnologie che cambiano il modo in cui lavoriamo. Le macchine a carbone, l’elettricità e internet. Ora è il momento dell’intelligenza artificiale.

L’Università della Pennsylvania ha pubblicato uno studio sull’impatto delle intelligenze artificiali generative sul mondo del lavoro. Per capirci, parliamo di software come ChatGPT e Midjourney che negli ultimi mesi hanno stupito l’opinione pubblica con foto, testi e porzioni di codice creati da algoritmi. In “GPTs are GPTs: An Early Look at the Labour Market Impact Potential of Large Language Models” in gruppo di ricercatori ha spiegato che queste tecnologie impatteranno su circa l’80% dei lavori. Fanpage.it ne ha parlato con Maurizio Del Conte, professore del Diritto del Lavoro all’Università Bocconi di Milano.

Quali sono i lavori che saranno coinvolti in questa nuova rivoluzione industriale?

L’intelligenza artificiale è una tecnologia molto trasversale, e questa è la prima differenza rispetto alle rivoluzioni tecnologiche che abbiamo già attraversato. Stiamo parlando di una rivoluzione che non riguarda soltanto il manifatturiero ma anche tutto il mondo dei servizi.

E forse anche i lavori creativi.

Solo in un certo senso. L’intelligenza artificiale in fondo crea cose molto standardizzate, quindi non è molto efficace nei mercati dove un prodotto creativo deve distinguersi dalla concorrenza. È uno strumento che può essere usato per produzioni di tipo routinario.

Parliamo di dati. Quanti posto di lavoro toglierà l’intelligenza artificiale?

Credo che ormai esista un consenso generale sul fatto che la tecnologia nel breve periodo distrugge posti di lavoro ma allo stesso tempo crea le condizioni per crearne di nuovi. Le rivoluzioni industriali hanno sempre favorito la nascita di nuovi posti di lavoro. Da questo punto di vista credo che non ci sia nessun tipo di preoccupazione in termi di macroeconomia. Il problema, ovviamente, è tutto nel breve periodo.

Nelle specifico cosa vuol dire?

Ci saranno persone colpite dalla perdita di lavoro perché verra sostituito dalla tecnologia. Altri invece che potranno cambiare in meglio il loro lavoro. Pensi alla logistica. I robot hanno automatizzato il lavoro nei magazzini della logistica. Portano i carrelli e gestiscono gli scaffali. Il numero degli occupati nel settore però è aumentato e i compiti dei dipendenti sono più vari e spesso anche meno faticosi.

Chi rimarrà fuori da questa trasformazione?

Le fasce più colpite sono quelle che si occupano di lavori di tipo impiegatizio e che magari sono in uno stadio avanzato della loro professione. Quando si hanno 50 anni o 55 anni c’è sempre un problema nell’essere riqualificati o pronti a un processo di cambiamento rilevante. Un po’ perché si ha alle spalle un carriera lavorativa già lunga, un po’ perché gli anni che mancano alla pensione non sono molti. Ed è in questa fascia che serve intervenire con delle politiche sulla formazione.

Adesso come funziona la formazione in azienda?

Prima di tutto non può essere lasciata ai lavoratori. Un dipendente le cui mansioni vengono travolte da un nuova tecnologia è difficile che possa capire da solo su quali nuove competenze investire. Al momento sulla formazione siamo molto indietro in Italia. Ci sono servizi pubblici, ci sono servizi privati che si basano su finanziamenti pubblici ma spesso viene tutto lasciato alle aziende. E quindi ce ne sono alcune poche virtuose che decidono di investire e moltissime altre che invece preferiscono licenziare i vecchi dipendenti e assumerne di nuovi già qualificati. Ma questo tema non riguarda solo le rivoluzioni tecnologiche.

In che senso?

In Italia si registrano dei dati che non hanno senso. Abbiamo un problema demografico, stiamo perdendo la fascia di lavoratori più giovani. Eppure c’è comunque un bacino di inoccupati e inattivi, soprattutto nella popolazione femminile. C’è una differenza di circa 20 punti percentuali tra uomini e donne. L’occupazione maschile è attorno al 70%, quella femmine vicina al 50%. Con la formazione dobbiamo aumentare anche gli occupabili, questo è un caso tutto italiano.

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