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Sono stato nello strambo mondo di Loud, il primo social basato sui messaggi vocali

L’app ricorda un po’ ClubHouse ma se si schivano gli aspiranti influencer si può trovare qualcosa di interessante. Un’avvertenza: la community è ancora molto acerba, ci vorrà del tempo prima che si sviluppino dei contenuti.
A cura di Valerio Berra
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Lo ammetto. Quando nei giorni scorsi è arrivata in redazione la mail di lancio di Loud è finita dritta nel cestino. Nuova app, fatta in Italia, che si presentava come un’app di “podcasting collaborativo”. Mercato discretamente abbondante di offerte, ormai ci sono anche podcast su come fare i podcast. Poi ho visto un cartellone sulla metro di Milano, fermata Porta Genova. Ho accettato i segnali del karma e ho scaricato l’app.

Il progetto è italiano. La fondatrice è Alessandra Faustini, classe 1989. Ha spiegato che tutto è nato con il lockdown: “Qualcosa è cambiato, ho iniziato a notare un sentimento comune di inadeguatezza tra molti miei conoscenti proprio a causa dei social”. Da qui la scelta degli audio: "È un mezzo intimo che riconsegna umanità alla comunicazione digitale”. I primi passaggi sono quelli tradizionali. Si scarica l’app, si registrano mail e numero di telefono, e si costruisce il proprio profilo. E poi si inizia ad ascoltare.

La cerchia degli aspiranti speaker

Tutto si basa sugli audio. Sono l’unica cosa che si può condividere con gli altri utenti, chiamati louder. Comincio a scorrere l’home page. I vocali si alternano uno dopo l’altro. Ci sono louder che già adottano un approccio da influencer rivolgendosi al loro vasto pubblico: “Mi chiedete sempre come faccio a parlare così, ora vi rispondo”. Controllo il profilo, ha nove follower. Chi prima arriva, meglio alloggia.

Altri louder invece si lanciano in progetti di auto aiuto: “Ciao, secondo voi cosa vuol dire consapevolezza?”. E altri chi chiedono di condividere dettagli privati mentre parcheggiano l’auto: “Parlatemi delle storie d’amore che più vi hanno colpito della vostra vita”. Seguito da interminabili secondi dove lo smartphone cerca posto nella tasca.

Ogni audio compare sulla home dell’app con una piccola anteprima. Ai messaggi si può rispondere con un like oppure mandando un commento audio. Quindi a volte capita di imbarcarsi in filotti di risposte sullo stesso argomento. Spesso è un rischio. Alla prima risposta sull’essenza della consapevolezza ho imparato anche dove si trova il tasto per passare all'audio successivo.

Gli audio WhatsApp degli sconosciuti

Quando stavo per chiudere l’app però sono l’algoritmo ha cominciato a capirmi e mi ha infilato un paio perle davvero non male. Un utente ha condiviso un audio da qualche secondo introdotto da due parole: “Ciao, questo è il rumore del mare…”. E per qualche istante le onde di chissà quale costa mi hanno spostato dalla mia scrivania in un appartamento nella periferia nord di Milano.

E poi è arrivato anche l’audio di una tizia che descriveva una rissa fra chica mala di provincia. Non ricordo bene il contenuto, ma era divertente. Da qui in poi gli audio sto un po’ migliorati e il piacere è stato quasi voyeuristico. Sembrava di passare di nascosto da un gruppo WhatsApp all’altro, catturando gli audio che di solito si regalano solo agli amici.

Il rischio ClubHouse

Una sera di prova non basta. Anche perché c’è già stato un momento in cui un’app basata tutta sugli audio è diventata virale in Italia. Di più. Ricordo perfettamente la foto provata nel febbraio 2021 quando solo gli utenti Apple potevano scaricare l’app. Continuavano a crearsi “room” su qualsiasi argomento, ogni giornalista ne passava almeno tre al giorno. Tranne me. Per fortuna della mia ansia da social, nell’arco di un mese a nessuno importava più nulla di ClubHouse.

I podcast funzionano perché possono essere ascoltati ovunque e quando si vuole. Le stanze di ClubHouse erano in diretta e non sempre si ha un’ora di tempo in mezzo alla giornata per ascoltare qualcuno che sproloquia su un’app. Loud è qualcosa più a metà. La struttura è interessante ma la community dovrà crescere ancora perché ci siano contenuti per cui vale la pena aprire l’app. Per adesso è acerba, e forse è proprio per questo è un buon momento per provarla.

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