Shinji Mikami, creatore di Resident Evil: “La cosa più spaventosa di oggi sono gli esseri umani”
È il 1996. Su PlayStation, la neonata console di Sony pronta a contrastare il dominio di Nintendo e Sega, arriva Resident Evil. È un videogioco survival horror con la grafica in 3D. Protagonisti sono Chris Redfield e Jill Valentine, due membri della squadra S.T.A.R.S. (Special Tactics And Rescue Service). Sono bloccati dentro Villa Spencer: tra le sue sale ci sono zombie e altre creature abominevoli. A rimanere impressa, a distanza di anni, è l’ansia di girare tra i corridoi pomposi della magione, mentre si sentono i versi dei morti viventi, che avanzano lenti o si cibano dei compagni sfortunati di Chris e Jill.
Il merito va principalmente all’atmosfera di Resident Evil, ancora oggi inconfondibile: la telecamera fissa alle spalle del personaggio, la save room con la macchina da scrivere per salvare nella memory card, le armi quasi sempre a corto di munizioni, gli enigmi da risolvere. Il tutto è avvalorato da una colonna sonora malinconica e angosciante. Il risultato è un gioco epocale che ha sancito la nascita di uno dei franchise più importanti della storia del videogioco, oltre ad aver rivoluzionato il genere survival horror, nato nel 1982 da Haunted House su Atari 2600.
“Se penso a quello che ho preso dai film, un esempio è ‘Dawn of Dead', da cui ho tratto ispirazione”, dice a Fanpage.it Shinji Mikami, il creatore di Resident Evil nonché “il papà dei survival horror”, così viene definito dalla community videoludica. Il film che cita è quello di Geroge A. Romero, uscito nelle sale cinematografiche nel 1978. Una pellicola importante, che ha portato la figura dello zombie ad abbandonare i confini del folklore voodoo per penetrare nell’immaginario pop come simbolo del consumismo e della disumanizzazione.
Con Romero – e in seguito con Shinji Mikami – lo zombie diventa un mostro apocalittico e sociale, affamato di carne umana. La differenza tra Dawn of Dead e Resident Evil sta nei mezzi con cui questo messaggio viene comunicato. “Quello che è stato preso dai film è legato agli scenari, con la differenza che io [nel videogioco] posso fare le scelte e decidere io come sopravvivere”. La sopravvivenza come elemento dipendente dal giocatore fa sì che le atmosfere in cui opera penetrano dentro, lasciando un maggiore impatto emotivo.
Questa interpretazione del mostro zombie ha poi portato al boom della figura del morto vivente nel corso dei decenni, fino ad arrivare circa agli anni ‘10, come dimostrano i successi della modalità Zombie di Call of Duty e della serie tv The Walking Dead. Oggi però tale mostro sembra non avere più la forza di prima, forse perché sovrastato da nuovi esseri terrificanti. “La cosa più spaventosa del 2024 sono gli esseri umani, e questo è quanto”. Dice il game designer giapponese. Una laconicità che racchiude perfettamente l’angoscia derivata da un’attualità a tutti gli effetti distopica, tra cambiamento climatico, guerre che coinvolgono popolazioni civili e uno stato di violenza e rabbia sempre più presente.
In questo contesto lo zombie perde di valore, lasciando spazio a tutte le brutture dell’essere umano, che è vivo e senziente. Una tendenza che già Mikami aveva intravisto nel 2005 e a cui ha dato forma con Resident Evil 4. In questo capitolo acclamato dalla critica, i morti viventi della prima trilogia vengono sostituiti dai Ganados, nemici più umani, che parlano un idioma ben definito – lo spagnolo – e razionalmente e fisicamente più prestanti, dato che inseguono, braccano e chiamano i rinforzi per matar il protagonista Leon S. Kennedy. Il gioco è disponibile in una versione più moderna chiamata Remake.
Resident Evil è una serie che ha permesso a Mikami di sperimentare con il mezzo videoludico, anche attraverso i limiti tecnici. I primi tre capitoli sono ricordati per la telecamera fissa, scelta derivata dall’impossibilità di creare, negli anni ‘90, scenari aperti e liberamente esplorabili. Un limite che però si è rivelato funzionale per creare sensazioni ansiogene di paura. Poi con Resident Evil 4 su Nintendo GameCube la svolta, grazie alle nuove possibilità tecnologiche della sesta generazione di console, le quali hanno permesso un game design più complesso e strutturato, più incentrato sulla verticalità e la velocità. Un modo diverso ma pur sempre efficace di innescare la paura.
Dato il livello tecnologico raggiunto oggi, viene naturale chiedersi com’è possibile ottenere risultati simili. “È difficile”, dice Mikami. “Perchè quello che fa paura sono le emozioni che provi quando giochi a un titolo. Quindi, la parte difficile anche al giorno d'oggi non è tanto creare qualcosa di tecnicamente elaborato, ma farsi venire un'idea che poi funzioni e faccia effettivamente paura”. Una risposta che rende evidente quanto siano importanti le emozioni nell’esperienza videoludica, molto più della qualità tecnica e grafica.
Oggi Shinji Mikami non lavora più per Capcom e Resident Evil, e il suo futuro è avvolto nel mistero. Considerato però il suo passato, che oltre al franchise con gli zombie include Dino Crisis, The Evil Within e Ghostwire Tokyo c’è profonda curiosità su cosa potrebbe partorire una delle menti più stimolanti e innovative del panorama videoludico.