Se gli Stati Uniti chiudono TikTok ci sarà un solo vincitore
“Vincere senza combattere”. È uno dei dettami più popolari nel trattato di strategia militare del filosofo cinese Sun Zi, l’Arte della guerra. Ed è il modo in cui Pechino oggi affronta la prospettiva di messa al bando di TikTok, applicazione social orgogliosamente made in China accusata dagli Stati Uniti di essere un rischio per la sicurezza nazionale del Paese.
Dopo che la Camera dei rappresentanti Usa ha approvato la proposta di legge che di fatto imporrebbe al proprietario cinese dell’app, la Big Tech ByteDance, di vendere il suo ramo statunitense per poter continuare a funzionare sul territorio americano, in Cina il caso è ancora tra le tematiche più discusse sui media tradizionali e sui social, dove viene presentato come una vittoria diplomatica di Pechino contro l’egemonia statunitense.
Chi ha paura di TikTok, rischi tecnici: violazione della privacy
La lotta contro TikTok da parte di Washington si fonda sul timore che ByteDance possa condividere i dati dei 170 milioni di utenti attivi negli Usa con il governo cinese. Questo perché nonostante la divisione TikTok sia una sussidiaria dalla casa madre con sede a Pechino, attualmente presieduta dal singaporiano Shou Zi Chew, la Big Tech rimane comunque soggetta alla legislazione della Repubblica popolare.
A preoccupare è soprattutto la triade normativa sul trattamento e la conservazione dei dati, composta dalla legge sulla sicurezza dati (Data Security Law, 2017), la legge sulla privacy (People Information Protection Law, 2021) e quella sugli algoritmi di raccomandazione (Regulation on Algorithmic Reccomendation, 2022). Norme che consentono al governo di Pechino di supervisionare i dati amministrati da compagnie cinesi e controllarne il trasferimento transfrontaliero (vale a dire quindi anche negli Stati Uniti) per questioni legate alla sicurezza nazionale.
Come sottolineato dall’intellettuale sino-americano fondatore del sito di informazione The China Project Kaiser Kuo, tuttavia, “accedere a questi dati non è una prerogativa del governo di Pechino, che ha solo che da guadagnare dal fatto che un’app cinese stia avendo trazione nel mercato internazionale”. Motivo per cui Kuo ritiene che un eventuale ban di TikTok “farebbe più male agli Stati Uniti che alla Cina”.
I rischi teorici e l’influenza culturale
Se per gli Stati Uniti il social è una potenziale breccia per l’infiltrazione cinese, per la Cina TikTok è il primo vero esempio di un prodotto dell’ecosistema social nativo della Repubblica Popolare diventato un fenomeno globale. Un tassello importante nella strategia di influenza culturale oltreoceano di Pechino, come sono anche i videogiochi e la letteratura fantascientifica che ha trasformato il romanzo di Liu Cixin, Il Problema dei 3 Corpi, nella serie Netflix più chiacchierata di questi giorni. Tutti prodotti culturali che contribuiscono a rafforzare l’immagine della Cina come potenza protagonista e fonte di innovazione tecnologica.
Oltre ai problemi di natura tecnica, la leadership statunitense teme infatti che il social di ByteDance possa essere utilizzato come strumento di soft power da parte di Pechino per diffondere sugli schermi una narrazione pro-Cina. Un’eventualità già documentata su altre piattaforme dove esistono reti di influencer occidentali sponsorizzati da enti governativi cinesi per raccontare una Cina priva di difetti a un pubblico internazionale.
A questo proposito il promotore della bozza passata alla Camera, il repubblicano Mike Gallagher, ha affermato che TikTok servirebbe proprio a “manipolare e mobilitare i cittadini americani per conto del Partito comunista cinese”. Un rischio reale secondo gli analisti del settore ma non ancora confermato, come sottolineato anche nell’ultimo rapporto del centro di ricerca informatica canadese Citizen Lab, che ha trovato “inconcludenti” le prove che TikTok manipoli i suoi contenuti.
Qual è il paradosso dell’affaire TikTok
Il paradosso dell’affaire TikTok è che, in questo caso, l’assist migliore per la propaganda di Pechino è arrivato invece dai cittadini americani. La mobilitazione popolare negli Stati Uniti contro la proposta di legge è stata infatti l’arma migliore a disposizione della Cina per mostrare la “debolezza” americana contro il sistema cinese.
“La Cina comunista ha battuto l’America del mercato libero nel campo del capitalismo”, ha scherzato a proposito il comico sino-malese Ronny Chieng in un siparietto andato in onda sul The Daily Show. È questa la linea che è trapelata sui social in Cina dove sono diventati virali i video di creator e influencer americani intenti a criticare il governo per la censura e la violazione dei diritti digitali americani.
In un raro momento di proliferazione di contenuti in lingua inglese sul web cinese, questi video hanno trovato ampio spazio sui social alimentando l’idea che gli Stati Uniti pecchino di “ipocrisia” e “arroganza”. Qualcosa di simile era già successo con l’audizione di fronte al Congresso Usa di Shou Zi Chew, diventato un eroe per il web cinese quando con il suo “No sir, I’m from Singapore” (no signore, sono di Singapore) aveva mostrato l’accanimento dei funzionari Usa contro l’app e la Cina in generale.
La reazione del governo cinese
Niente di più conveniente per Pechino, che da tempo accusa gli Stati Uniti di ostacolare il modello di “democrazia con caratteristiche cinesi” rivendicato nel Paese. L’iter per approvare la proposta di legge intitolata “Proteggere gli americani dalle app controllate da avversari stranieri” sarà lungo e la sua approvazione in Senato è tutt’altro che scontata. Pechino lo sa bene ed è per questo che nei giorni successivi al voto alla Camera i commenti delle autorità sono stati moderati e rivolti soprattutto a sottolineare la mancanza di fair play statunitense nei rapporti commerciali con la Cina.
“Il disegno di legge pone gli Stati Uniti in opposizione al principio della concorrenza leale e alle regole economiche e commerciali internazionali” ha affermato a proposito il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, additando la logica del governo Usa come “da gangster”. Sulla stessa linea anche il ministero del Commercio cinese, che ha chiesto a Washington di “smettere di reprimere senza ragione le aziende di altri Paesi”.
Anche l’ex portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha accusato gli Stati Uniti di ipocrisi. Tra i contenuti virali pubblicati da Hua c’è, per esempio, una vignetta che affianca il trattamento di Shou Zi Chew di fronte al Congresso Usa all’immagine del Ceo di Apple Tim Cook accolto durante la sua ultima visita in Cina. “Quale dei due è un mercato libero e aperto?” chiede ironica la diplomatica, lasciando ai TikToker l’ardua sentenza.