Riportare in vita persone con l’IA non è mai una buona idea, il filosofo: “Non si gioca con la morte”
In un toccante passaggio di Epistulae morales ad Lucilium, Seneca scrive: "Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire". Eppure gli esseri umani sono stati notoriamente universali e coerenti nel cercare scappatoie per aggirare, superare, imbrogliare la morte. Ora nel 2024 potremmo avere gli strumenti per fare qualcosa del genere. Da qualche anno nei laboratori tech l'intelligenza artificiale viene addestrata con chat, foto, audio, mail, conversazioni, sms, post, reel, note vocali. L'obiettivo è creare un clone virtuale chiamato deadbot, che ci permette di parlare con i nostri cari dopo la loro morte.
La possibilità di comunicare con i defunti è stato per secoli un sogno proibito, pensiamo alle tavola ouija, ai poveri caproni uccisi per bere il loro sangue e accedere all'aldilà, o alle sedute spiritiche. Con i progressi dell'intelligenza artificiale ora è possibile capitalizzare anche la morte. Al momento non c'è nessun vincolo legale eppure i nuovi deadbot sollevano problemi etici e possibili danni psicologici agli utenti che li usano, in estremo potrebbero renderci alla fine meno umani. Per capire meglio l'impatto di questa tecnologia abbiamo chiamato Enrico Giannetto filosofo e storico della scienza italiano.
Partiamo da una definizione. Cosa intendiamo per morte?
La morte è un fenomeno naturale anche piuttosto semplice, lo possiamo analizzare da diverse prospettive, biologica, antropologica, psicologica, esistenziale, religiosa e filosofica. Spesso abbiamo una visione negativa, ma ci sono anche tanti altri aspetti positivi. Diciamo che nella nostra cultura abbiamo inventato l’immortalità perché egoisticamente la fine non ci piace.
A proposito di immortalità. Ora stanno producendo i deadbot, chatbot che ci permettono di parlare con i defunti. Chiamano questo processo resurrezione artificiale. Ne ha sentito parlare?
Sì, certo, sono comparsi anche in diversi casi di cronaca. Questi nuovi chatbot sono legati a un processo più ampio che tende a eliminare la dimensione corporea. Non è infatti tanto una resurrezione digitale quanto un’immortalità digitale, che in futuro potrebbe anche degenerare in una metempsicosi, ovvero la reincarnazione di un anima digitale. Ci sono molti rischi e controindicazioni, non è rispettoso nei confronti di chi è morto, c’è uno sfruttamento dei defunti per diversi fini, psicologici, economici, politici, di propaganda, nel migliore dei casi è un tentativo di esorcizzare la morte nel peggiore è una mercificazione dei morti.
Ed è solo l'inizio, i chatbot sono credibili ma hanno diversi problemi, cosa succederà quando invece miglioreranno?
Beh sarà sempre più difficile capire che si tratta di una simulazione, a un certo punto potrebbero sembrare davvero reali e potremmo accontentarci di questi sostituti digitali. Sarebbe una specie di anestesia.
Può essere invece terapeutico in alcuni casi? Spesso gli psicologi consigliano di parlare a una sedia vuota immaginando che ci sia seduto sopra il defunto.
Potrebbe avere un impatto, ma solo sul piano sintomatologico. Diciamo che sentire o vedere la persona cara che è morta può essere una cura palliativa che risolve appunto il sintomo e quindi il malessere psichico. Però non penso possa dare un'effettiva guarigione, perché non permette di affrontare il reale problema della morte.
Nemmeno utilizzandoli per un breve periodo? Penso per esempio ai moratori in Ubik di Philip Dick.
Credo che alla fine queste alternative tecnologiche creerebbero una dipendenza insuperabile. Non potremmo poi farne a meno perché anestetizzano la nostra sofferenza, non ci staccheremmo.
Quindi tra principali problemi c’è l’elaborazione del lutto.
Esatto. Ci si illude di questa continuità della vita sul piano digitale. L’impatto con la morte è fondamentale. Nietzsche, che è stato uno dei critici più importanti della metafisica dell'immortalità platonica dell'anima, diceva che noi dobbiamo dire sì alla vita in tutti i suoi aspetti, anche alla sofferenza, alla morte, se non siamo capaci di questo diventiamo dei mezzi uomini.
La tecnologia però permette di realizzare un desiderio ancestrale, quello di riportare in vita i morti, pensiamo alle sedute spiritiche, ai medium.
Non è però la stessa cosa, perché noi sapremmo che si tratta di un’illusione digitale. Chi va dai medium pensa davvero di mettersi in contatto con l'aldilà e con i cari defunti. In questo sarebbe solo un palliativo per affrontare la sofferenza.
A proposito di sofferenza, i chatbot potrebbero anche essere utilizzati anche se ti lasci con qualcuno?
Sì, si potrebbe ricreare il partner che ci ha lasciato, ma anche in questo casi ci accontenteremmo di un sostituto per non affrontare il problema della separazione e accettare che una persona non ha voluto stare con noi. Noi ci forgiamo attraverso queste esperienze, ci fanno crescere spiritualmente e ci aiutano ad aprirci anche verso la sofferenza degli altri. Sapere cosa è il dolore aiuta a essere compassionevoli.
Questi bot quindi ci renderebbero meno umani?
Beh, perdere la capacità di soffrire vuol dire anche perdere la capacità di amare e chiuderci in un paradiso artificiale. Saremmo più simili alle macchine che non soffrono, che non muoiono, che non hanno i problemi che noi abbiamo come esseri viventi. Potrebbe diventare anche un oppio dei popoli, una tecnologia che elimina il dolore, ci addormenta, non ci fa percepire le ingiustizie del mondo. Diventa una nuova religione.
D’altronde la religione è nata anche per spiegare la morte e promettere l’immortalità.
Certo, la connessione è molto forte, e credo davvero che queste nuove tecnologie stiano diventando una religione del nostro tempo.
C'è anche un'altra questione, chi dovrebbe avere l'autorità di creare queste repliche?
Sì, questo è un problema dal punto di vista legale che dovrà essere normato.
E poi il tema dei dati. Questi deadbot vengono addestrati con chat, mail, conversazioni che magari il defunto in questione vorrebbe che rimanessero private.
Certo, è una mancanza di rispetto nei confronti di una persona. Non vogliamo che tutto venga fuori, c’è un diritto all’oblio. Pensiamo per esempio ai segreti che abbiamo. La morte ha anche delle potenzialità positive, permette una forma di redenzione forzata.
Dal punto di vista etico invece, i chatbot potrebbero essere utilizzati nel marketing, o in politica, mi spiego se io sentissi mia madre che mi consiglia di comprare una marca di cereali rispetto ad un'altra o di votare qualcuno alle elezioni, sarebbe emotivamente più convincente.
Sarebbe un problema enorme. Facciamo un esempio. Immaginiamo un bot di Berlusconi in una campagna politica, visto la sua influenza potrebbe far prendere punti a Forza Italia nelle prossime elezioni. O se venisse riportato in vita il bot di Hitler per alimentare l’odio contro le minoranze. E poi mi chiedo, i politici potranno anche decidere chi può essere riportato in vita con un bot e chi no? Questo è un altro problema etico.
Rimanendo sul terreno dell’etica. È stato creato un deadbot di Giulia Cecchettin e anche di Jennifer Crescente, assassinata 18 anni fa.
Questo è davvero molto inquietante. Una tecnologia del genere si presta alla mercificazione delle persone, può avere un impatto sociale, economico, politico.
Che poi penso anche, sarà mai possibile replicarli davvero, creare l’anima o qualsiasi cosa sia, o resteranno repliche posticce?
Credo che anche considerando i progressi le macchine possano funzionare fino a un certo punto. Lavorano in termini di peso statistico, vanno a riprodurre comportamenti medi di una persona. Io magari nella vita sono una persona tranquilla, questo non vuol dire che no mi arrabbio, può succedere, ma visto che capita in poche circostanze, questo tratto ha un peso statistico minore, e verrebbe eliminato.
Sarebbe quindi una versione piatta.
Sì, piatta, edulcorata, basata su un calcolo.
Lei proverebbe mai a "resuscitare" con l'intelligenza artificiale un suo caro defunto?
No, perché so che è un’illusione meccanica, preferisco avere una relazione vera con le persone care della mia vita attraverso ricordi, il vissuto interiore che sarebbe completamente perduto se ci affidassimo a questi mezzi che ci offrono un surrogato. Se ci pensa, quando una persona muore spesso la sentiamo ancora più vicina, grazie alla dimensione interiore, al ricordo.
Prima ci chiedevamo cos'è la morte. Ecco, immaginando che questi deadbot nel futuro diventino una realtà estesa, esisterà ancora la morte o diventerà qualcos'altro?
Io penso che queste tecnologie andranno avanti e che avranno un peso sempre più forte nelle società del futuro in un modo che non possiamo ancora intravedere. Credo ci sarà una sorta di rimozione totale della morte in quello che Jung chiamava l’inconscio collettivo dell’umanità. Ci accontenteremo di sostituti, avatar immateriali. Ma questo non significa che la morte scomparirà, semplicemente che non avremo più idea di cosa sia davvero. E questo può avere un grave impatto sulla vita.