Qual è il vero impatto degli allevamenti intensivi sull’allarme inquinamento in Pianura Padana
La Pianura Padana si è colorata di rosso. È una delle aree europee con i peggiori livelli di inquinamento atmosferico. Sabato 18 febbraio le mappe di Copernicus, il progetto di monitoraggio sui dati dell’aria creato in collaborazione con l’Unione Europea, hanno mostrato che la concentrazione di PM 2,5 ha raggiunto i 76 μg/m³ microgrammi al metro cubo, il valore limite è 25 μg/m³. Sono particelle microscopiche presenti nell'aria altamente nocive per la salute. Secondo l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’inquinamento da particolato PM 2,5 è causato soprattutto dal riscaldamento e dagli allevamenti intensivi.
"I sistemi di riscaldamento obsoleti sono sicuramente il problema principale, incidono però anche le deiezioni e il liquame degli animali che rilasciano ammoniaca nell'atmosfera", ha spiegato a Fanpage.it Marcella Guarino, professoressa di Costruzioni rurali del Dipartimento di scienze e politiche ambientali presso l'Università Statale di Milano. Eppure è possibile ridurre l'impatto ambientale degli allevamenti intensivi, "basterebbe sfruttare la tecnologia che già abbiamo a disposizione", sottolinea Guarino, "potremmo innescare un processo virtuoso, bisogna investire e dare incentivi agli allevatori per raggiungere questo obiettivo".
Pariamo dagli ultimi dati. Secondo Arpa Lombardia sabato 17 febbraio il particolato fine (PM 2,5), tra le sostanze più pericolose, ha avuto una concentrazione media giornaliera pari a 76 μg/m³, ovvero più di tre volte il limite ritenuto accettabile dall'Organizzazione mondiale della sanità. Come incidono su questo dato gli allevamenti intensivi?
Il particolato secondario, PM 2,5, si genera dall’ammoniaca prodotta dagli allevamenti intensivi, che, una volta rilasciata nell'atmosfera, si lega all'ossido di azoto generato dall'inquinamento industriale, dal riscaldamento o dalle auto. Quando parliamo di allevamenti intensivi noi dobbiamo però considerare diversi elementi potenzialmente inquinanti. Per prima cosa l’edificio, la struttura dove vivono gli animali, poi la rimozione del refluo, perché l’ammoniaca è contenuta nell’urina, e lo stoccaggio, dove sono conservati i liquami.
E quale incide di più?
Il vero problema per quanto riguarda la formazione di particolato secondario è dato dalla distribuzione in campo del refluo. Anche perché la regione Lombardia ha deciso che gli stoccaggi devono essere coperti, quindi non producono più emissioni. Se noi lasciamo in campo le deiezioni degli animali è un problema, a meno che non vengano interrate.
In che senso interrate?
Ci sono delle macchine apposta, si immagini un trattore che trascina una botte, sulla botte c’è un tubo che scende nel terreno e il liquame viene rilasciato, c’è poi un’altra parte della macchina che copre questo liquame con la terra che è stata alzata. L’emissione si riduce a zero. Si elimina totalmente il problema.
Totalmente?
Se interriamo il liquame l’emissione di ammoniaca dal refluo viene eliminata. Questo però è solo metà del problema.
L'altro 50% a cosa è dovuto?
Il 25% è dovuto alla conservazione, ogni giorno il liquame esce dalla stalla e va all’interno di una vasca di contenimento. Ci sono anche dei casi virtuosi. Molti allevatori hanno le vasche coperte per generare biogas, creano quindi un’energia da fonte rinnovabile, ed eliminano le emissioni. Metano, protossido, ammoniaca, quando liquame esce dopo digestione anaerobica non ha più né odore né gas.
L’altro 25% invece?
Viene dalla struttura, sono diverse a seconda di bovini suini e avicoli. Visto che l’ammoniaca è contenuta nei liquami, meglio pulisco la struttura e meno emissioni avrò. Per esempio si possono mettere degli scraper all’uscita, l’aria viene convogliata da questi grossi ventilatori in un impianto che abbatte le emissioni di ammoniaca. Questo può essere fatto per tutti gli allevamenti a ventilazione forzata, quindi avicoli o suinicoli.
Per i bovini invece?
I bovini da latte in realtà hanno un sistema di pulizia della pavimentazione molto frequente. Si utilizzano i raschiatori. Se puliscono bene e non spalmando sul pavimento il liquame, le emissioni sono basse.
Parliamo di allevamenti intensivi, ma cosa sono e che caratteristiche hanno?
Gli allevamenti intensivi per gli avicoli e suini sono quelli che si rifanno all’autorizzazione ambientale integrata, quindi allevamenti con più di 2.000 suini o 40.000 posti per il pollame. Per l’allevamento bovino non esiste una norma simile, quindi parliamo di allevamenti con un’elevata concentrazione di animali. Ma l’allevamento intensivo inquina meno dell’allevamento estensivo.
Si spieghi meglio.
Nell’allevamento estensivo gli animali sono all’aperto. Quindi se io ho un bovino e lo tengo in un ambiente chiuso raccolgo le sue deiezioni ogni volta, se invece l’animale sta in campagna depone le deiezioni e l’ammoniaca va nell’ambiente.
Ma non è peggio per lo stato di salute degli animali?
Allora, il vero problema per gli animali è la limitazione dell’aria fresca. Gli animali nell’allevamento intensivo soffrono di patologie respiratorie gastrointestinali proprio perché manca il ricambio d’aria naturale e stando in uno spazio ristretto poi si contagiano. Questo succede a polli e suini, non bovini, perché i bovini vivono in una stalla aperta sui quattro lati. Se si costruiscono sistemi adeguati il problema si risolve.
Tornando al PM 2,5, qual è il processo che trasforma l’ammoniaca nelle polveri sottili?
L’ammoniaca viene prodotta dagli animali sottoforma di liquame, va nell’atmosfera, qui si lega agli ossidi di azoto, che vengono prodotti dall’attività industriale, dal traffico, dal riscaldamento delle nostre case. E l’ammoniaca più l’ossido di azoto formano il particolato secondario. Voglio però dire anche un'altra cosa: per fortuna abbiamo il liquame degli animali.
Perché fertilizza.
E certo. Se non avessimo quello dovremmo utilizzare dei concimi di sintesi, senza non avremmo le colture.
E qual è l'equilibrio?
È difficile, c’è la tecnologia che ci deve aiutare.
In che modo?
Interrando, facendo impianti di biogas e biometano, creando un’economia circolare in modo che l’ammoniaca non raggiunga l’atmosfera e invece si trasformi in energia rinnovabile. Non solo, anche distribuendo in campo in modo corretto il refluo e abbattendo l’aria all’interno delle strutture.
Quindi con la tecnologia potremmo arrivare ad allevamenti a impatto zero?
Certo.
La città di Milano, insieme alla Pianura Padana, sono sempre tra le zone più esposte all’inquinamento. Perché?
La Pianura Padana è chiamata anche il "catino". Le Alpi da un parte, gli Appennini dall’altro, noi non abbiamo ricambio di aria, però l'inquinamento è soprattutto dovuto al riscaldamento. Tanto è vero che questo problema noi l’abbiamo d’inverno, in primavera ed estate molto meno.
Però ci sono anche tanti allevamenti nella Pianura Padana, inciderà in qualche modo.
Certo ci sono e incidono, ma sono la causa di meno di un terzo del particolato secondario.
Quindi non sono sono il fattore determinante.
No. Il problema è il riscaldamento e facciamo fatica a digerire questa cosa perché non vogliamo stare al freddo, ma i sistemi sono obsoleti, a Milano c’è pochissimo teleriscaldamento. Se poi vogliamo essere onesti, le emissioni degli allevamenti intensivi sicuramente sono più elevate durante il periodo estivo, perché l’ammoniaca volatilizza con il caldo. Poi ogni attività inquina e sicuramente bisogna ridurre anche le emissioni degli allevamenti.
Quindi cosa si deve fare per ridurre l’impatto degli allevamenti intensivi?
La tecnologia come dicevo è cruciale, possiamo arrivare a impatto zero, bisogna investire e dare incentivi agli allevatori per raggiungere questo obiettivo.