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Persino Zoom chiede ai dipendenti di tornare in ufficio: è la fine dello smart working?

Ironia della sorte l’azienda sta proprio pagando il prezzo dei lavoratori che sono rientrati in ufficio dopo la pandemia, ha licenziato 1.300 dipendenti a febbraio e anche il fondatore e CEO Eric Yuan ha subito una temporanea riduzione della retribuzione.
A cura di Elisabetta Rosso
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Anche l'azienda che ha reso possibile lo smart working chiede ai suoi dipendenti di tornare in sede. Tutti i lavoratori di Zoom che abitano a meno di 80 chilometri dall'ufficio dovranno presentarsi almeno due volte alla settimana. Non è la prima azienda a interrompere il lavoro da remoto, anche Amazon e Disney hanno deciso di diminuire le ore a distanza. Il motivo è semplice: Zoom crede che migliorerà la produttività dei dipendenti. E infatti il portavoce ha spiegato a Business Insider: "Riteniamo che un approccio ibrido strutturato, ovvero che i dipendenti vicini a un ufficio si presentino in loco due giorni alla settimana per interagire con i propri team, sia più efficace per Zoom. Continueremo a sfruttare l'intera piattaforma Zoom per mantenere i nostri dipendenti e i team dispersi per lavorare in modo efficiente". L'azienda ha spiegato che la nuova politica partirà ad agosto, ma le tempistiche saranno scaglionate in base al Paese, ha anche rassicurato i possibili candidati futuri: "Continueremo ad assumere i migliori talenti, indipendentemente dalla posizione".

Ironia della sorte, Zoom sta proprio pagando il prezzo dei dipendenti che tornano in sede. Milioni di aziende, infatti, durante la pandemia di Covid-19 hanno lavorato a distanza utilizzando la piattaforma di videoconferenze. Superata l'emergenza è iniziata una modalità ibrida, molti lavoratori sono rientrati in sede, e così le entrate di Zoom sono diminuite. L'azienda infatti ha licenziato circa 1.300 dipendenti a febbraio, anche il fondatore e CEO Eric Yuan ha subito una temporanea riduzione della retribuzione.

Perché i datori di lavoro vogliono i dipendenti in sede

Un sondaggio condotto nel 2022 dall'azienda aveva rilevato che il 69% dei dipendenti considerava importante poter scegliere se lavorare a remoto o in sede, non solo, il 54% ha affermato che avrebbe cercato un nuovo lavoro se non fosse stato possibile scegliere una soluzione a distanza. Eppure i datori di lavoro hanno paura che il rendimento cali se si lavora sulla scrivania di casa propria.

Natalia Emanuel della Federal Reserve Bank di New York ed Emma Harrington dell'Università dell'Iowa hanno condotto uno studio dimostrando che la produttività dei lavoratori di un call center statunitense è diminuita quando hanno iniziato a lavorare da remoto. Un altro studio condotto da Amanda Pallais di Harvard ha scoperto che "sedersi vicino ai colleghi aumenta quanto gli junior possono imparare qualcosa dai senior". La soluzione però non è vietare il lavoro a distanza. Non è necessario adottare un monitoraggio invasivo delle sequenze di tasti o altri presunti indicatori di produttività. José María Barrero, professore dell'Instituto Tecnológico Autónomo del México per la divisione di amministrazione aziendale e contabilità a Città del Messico, ha spiegato al New York Times: "In realtà quello che devi fare è dare ai dipendenti la capacità e l'incentivo per svolgere bene il proprio lavoro e in modo tempestivo. Bisogna monitorare il loro output, non il loro input."

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