Perché vogliamo vedere post tristi e commoventi: cosa rende virali i contenuti sadbait
Da sempre l'essere umano è attratto dalle storie tristi e commoventi. Era così ai tempi della tragedia greca, che secondo Aristotele offriva agli spettatori la possibilità di purificarsi dalle sue più grandi paure senza viverle davvero, ed è così oggi, ai tempi dei social. Insomma, cambia lo scenario, non più il teatro ma lo smartphone, ma non la sostanza.
La prova di questo bisogno umano ancestrale è nei nostri algoritmi: il successo sui social dei contenuti emotivamente forti – poco conta se si tratta di storie vere o inventate – è così forte che è stato coniato perfino un nome per indicarli: gli studiosi della comunicazioni li hanno chiamati contenuti "sadbait". Il perché è abbastanza chiaro: si tratta di post clickbait che sfruttano il sentimento della tristezza o dell'emotività degli utenti. Eppure, sebbene molti di questi contenuti siano creati ad hoc dai content creator per attirare traffico sui propri profili, la loro fruizione da parte degli utenti può avere anche risvolti positivi.
Cosa sono i contenuti sadbait
Anche se ognuno di noi ha un feed diverso, sia su Instagram che su TikTok, dettato dall'algoritmo che studia i nostri gusti e ci propone ciò che più ci piace e che riesce a catturare la nostra attenzione, probabilmente tutti ci siamo imbattuti, anche più di una volta, in post che raccontano storie tristi. A volte, così tanto drammatiche da farci dubitare della loro autenticità.
Ma quello dei post sadbait è un filone ormai strutturato, che ha dato vita a tanti diversi tipi di contenuti: ci sono le storie commoventi, i post di gattini in situazioni di pericolo o in estrema povertà creati con l'Intelligenza artificiale, e poi ci sono i post muti in cui sopra uno sfondo in genere lugubre o malinconico, come un lampione accesso lungo un viale desolato o un tramonto sul mare, si leggono frasi random sulla depressione o le difficoltà della vita. Una cosa però accomuna tutti questi contenuti: piacciono, e anche molto, agli utenti, e per questo le regole dell'algoritmo li premiano, facendoli diventare virali.
Perché abbiamo bisogno di storie triste
Il fenomeno è più sfaccettato di come potrebbe sembrare. Lo dimostra la varietà delle tipologie di contenuti sadbait presenti sui social, tuttavia il motivo del loro successo è in sostanza sempre lo stesso, sebbene con diverse sfumature: Soma Basu, giornalista investigativo e ricercatore dell'Università di Tampere in Finlandia, ha spiegato alla Bbc che nel flusso infinito di contenuti proposti dai social, i post che hanno una forte componente emotiva funzionano da aggancio per l'interesse degli utenti, catturando la la loro attenzione.
Uno spazio di condivisione
Non solo. Secondo Nina Lutz, una ricercatrice che studia il fenomeno della disinformazione alla Washington University, oltre a farci provare emozioni forti, questo genere di contenuti funziona perché spesso diventano uno spazio di condivisione e di apertura per gli utenti. Questo è il caso dei post ispirati ad argomenti come la depressione: anche se in fondo si tratta di semplici frasi, a volte anche un po' scontate, basta aprire la sezione dei commenti per capire che non sono solo quello: spesso decine, se non centinaia, di utenti raccontano la loro esperienza di vita. Prova, tra le altre cose, di una nuova apertura alle tematiche relative alla salute mentale, come i disturbi d'ansia o la depressione, resa possibile anche grazie ai social.
Quindi, a prescindere da quali siano gli obiettivi con cui sono stati creati e postati, questi contenuti sembrano avere una funzione almeno in parte positiva quando aprono uno scambio, uno spazio di condivisione, in cui le persone, forse proprio perché nascoste da uno schermo, riescono a raccontare aspetti difficili della loro esistenza, altrimenti ancora troppo spesso relegati nel silenzio dalla paura del giudizio.