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Perché una giudice ha deciso che l’intelligenza artificiale non ha diritti d’autore

In un tribunale di Washington la giudice Beryl Howell ha rigettato una causa dell’informatico Stephen Thaler: voleva depositare dei brevetti creati da un software di intelligenza artificiale.
A cura di Valerio Berra
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Il dibattito è aperto dall’autunno del 2022, quando per la prima volta software come Midjourney e ChatGPT hanno dimostrato la potenzialità creativa dell’intelligenza artificiale. Su Fanpage.it vi abbiamo mostrato diversi esempi. I modelli di intelligenza artificiale possono creare fotografie realistiche ai limiti delle fake news, quadri in grado di vincere concorsi e temi che potrebbero superare un esame di Maturità. Tutti lavori che secondo una corte di Washington non sarebbero protetti da copyright.

La giudice Beryl Howell ha rigettato la causa avviata da Stephen Thaler, un informatico che rivendicava i diritti d’autore per tutto quello che era stato prodotto dal suo software Dabus. Thaler voleva solo una scorciatoia per arricchirsi in fretta? Non esattamente. Dabus non è un progetto come Midjourney o ChatGPT, si tratta quasi di una campagna di sensibilizzazione.

Howell definisce il suo Dabus un inventore artificiale che vuole stimolare una riflessione sui diritti d’autore ai tempi dell’intelligenza artificiale. Negli ultimi anni Howell ha provato a registrare dei brevetti creati dall’intelligenza artificiale in tutto il mondo, così da vedere come reagiscono i diversi sistemi giuridici:

“Il progetto dell'inventore artificiale include una serie di test legali che cercano diritti di proprietà intellettuale per le creazioni dell'intelligenza artificiale in assenza di un inventore umano. Questo progetto ha lo scopo di promuovere il dialogo sull'impatto sociale, economico e legale di queste tecnologie”.

Niente umani, niente copyright

La giudice Beryl Howell ha chiarito che senza un autore umano non è possibile definire un diritto d’autore: “Gli esseri umani sono una parte essenziale per richiedere il copyright”. Principio che però è vero in parte, come abbiamo già raccontato in altri casi. Anche se queste intelligenze artificiali si fregiano dell’aggettivo “generative” di fatto non generano molto di nuovo ma uniscono elementi dei dataset con cui sono state allenate, che siano numeri, testi o immagini. E questi, molto spesso, sono stati effettivamente creati da “autori umani”.

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